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Il primo disco degli Iron Maiden nella formazione originaria, quella con l’anima della band Steve Harris e Paul Di Anno alla voce: la Vergine di Ferro stabilisce la propria presenza sulla scena concertistica e discografica mondiale, colei la quale – piaccia o meno – ha letteralmente rivoluzionato la scena metal a livello mainstream, stabilendo dei veri e propri stereotipi, più che altro malamente imitati da altri musicisti in seguito. Poichè sto facendo riferimento alla formazione storica – quella con Dickinson alla voce – in questa sede bisogna considerare quella che era la formazione dell’epoca, ovvero soltanto due quinti di quella storica che conoscono i èiù (Steve Harris e Dave Murray). Questo disco omonimo, targato 1980, risente di una forte influenza della scena più punk dell’epoca, e mancano a tal proposito sia le “galoppate” musicali epiche che tutti conoscono sia – direi soprattutto – la voce di “Air Raid Siren“: non per questo, pero’, “Iron Maiden” è un disco da sottovalutare. Un lavoro incentrato fondamentalmente su quelli che sono brani intensi, veloci e mai monocorde, con la voce di Di’ Anno si adatta perfettamente a questo scenario e mostra una capacità interpretativa notevole, capace soprattutto di impostare timbri bassi e malinconici, certamente di animo più metal che hardcore, per quanto piuttosto distante dai canoni tipici dell’Inghilterra (ad esempio i Judas Priest). Brani, quelli di “Iron Maiden“, che sono entrati negli ascolti abituali di vari fan, come “Running free“, “Transylvania” e la stessa “Iron Maiden” – quasi a conferma di un’identità che si voleva affermare con grande forza – sono presenti brani meno noti che hanno egualmente fatto la storia: e basterebbe citare la nostalgia rabbiosa di “Remember Tomorrow” o il capolavoro “Strange World” per capacitarsi della grandezza di questo disco. Un nuovo metal per l’epoca riuscitissimo, essenziale ed azzeccato, uno dei capisaldi di quella che sarebbe diventata la “New Wave Of British Heavy Metal“.