Iron Man 3 (3D)

Creato il 30 aprile 2013 da Af68 @AntonioFalcone1

Iron Man 3, dopo le prime due apprezzabili realizzazioni a firma di Jon Favreau, 2008 e 2010, segna il passaggio di consegne a Shane Black, autore di regia e sceneggiatura (coadiuvato riguardo quest’ultima da Drew Pearce) e, soprattutto, vede la Disney in qualità di distributrice, come il precedente The Avengers (2012, Joss Whedon), al quale la pellicola in esame si riallaccia direttamente, in primo luogo a livello contenutistico, per via di un’ironia strafottente e dissacrante, di cui si rende portavoce il protagonista Robert Downey Jr., nei doppi panni di Tony Stark e dell’ “uomo di latta”, volta a mitigare la pomposità retorica propria dell’eroe (ora in lotta più che altro con se stesso), fra invincibilità e purezza adamantina. Black, però, a differenza di Whedon, tende a far prevalere sulla connotazione estetica da comic movie quella propria di vari film d’azione a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, dei quali riprende molti stilemi (Arma letale, per esempio, ’87, diretto da Richard Donner, del quale è stato autore di soggetto e sceneggiatura).

Robert Downey Jr.

Nel rispetto del mantra proprio della Marvel (sui cui albi Iron Man nasce nel ’63, testi di Stan Lee e Larry Lieber, matite di Don Heck e Jack Kirby), in base al quale tutti gli eventi che si verificano all’interno di un film o franchise avranno le loro influenze e conseguenze dirette su quanto avverrà dopo, il plot narrativo riprende elementi propri della saga Extremis ( 2005-2006, scritta da Warren Ellis, per i disegni di Ady Granov) e prevede un prologo che ci riporta indietro nel tempo, al capodanno del ’99, quando Tony era nient’altro che un dandy miliardario col pallino delle invenzioni, intento a partecipare ad una conferenza e relativo party in Svizzera, in compagnia della botanica Maya Hansen (Rebecca Hall).
Avvicinato da un tale Aldrich Killian (Guy Pearce), alla ricerca di un finanziamento per un suo rivoluzionario progetto, Tony, apparentemente interessato, gli dava appuntamento sul terrazzo, per poi lasciarlo in attesa, richiamato com’era dalle ragioni del cuore.

Gwyneth Paltrow

Si torna ai giorni nostri, Stark è intento a perfezionare le sue armature, collaudandone la risposta agli impulsi nervosi del corpo, il rapporto con la fidanzata Pepper (Gwyneth Paltrow) sembra in certo qual modo consolidato, ma le vicende di New York, aver appreso dell’esistenza di colleghi con superpoteri e di un mondo sospeso sopra le nostre teste pronto ad inviare le sue armate, lo hanno profondamente segnato, tanto da soffrire di violenti attacchi di panico.
Intanto, ecco palesarsi dagli schermi televisivi la minaccia di un nuovo nemico, il Mandarino (Ben Kingsley), che dall’Oriente paventa morte e distruzione, iniziando le danze con un attacco al Grauman’s Chinese Theatre di Hollywood e poi radendo al suolo la residenza di Tony, dato per morto e costretto a ripartire da zero, tra varie disavventure e clamorose rivelazioni, con al fianco un ragazzino piuttosto arguto (Ty Simpkins) e l’amico Tenente Colonnello James Rhodey Rhodes (Don Cheadle) nelle vesti di War Machine, dapprima a distanza ed infine insieme nella battaglia finale.

Ben Kingsley

Dopo un avvio piuttosto lento nel porre le carte in tavola, tra il passato che ritorna e diviene consistente minaccia, tormenti interiori e disagi esistenziali, regia e sceneggiatura trovano un percorso comune, alternando spettacolarità (con un 3d inutile, aggiunto in fase di postproduzione), ironia non sempre ben cesellata e grezza psicologia: il conflitto fra maschera e volto, la difficoltà d’esprimere concretamente la propria identità al di fuori di ogni sovrastruttura, che verrà resa possibile tramite una visione pura, primigenia, a livello di bambino (“sono un meccanico”, così si presenta Stark al frugoletto che lo aiuterà nel cammino verso la rinascita), sconfiggendo la paura d’esprimersi realmente per quel che si è (il ricorso ossessivo ad armature sempre più sofisticate, valido rifugio ad qualsivoglia attacco di panico, le quali non a caso verranno fatte fuori nel finale). Un gioco di specchi fra apparenza e realtà comune poi agli altri personaggi (il Mandarino umanizzato in guisa di guitto d’avanspettacolo, villain ad uso e consumo del gioco domanda/offerta nella proposizione di demoni buoni per ogni destabilizzazione, l’ex nerd Killian, miracolato da subitaneo benessere, Pepper improvvisata Iron Girl), sino a coinvolgere l’intero equilibrio mondiale, e si risolve alla fine nell’affermazione di un apporto costante della mente umana come unico superpotere, sia volta verso il Bene, sia a lambire ambiguamente linee di confine col Male.

Iron Man e Tony Stark

Da appassionato lettore di fumetti, le cui modalità di trasposizione dalle strisce al cinema mi hanno sempre affascinato ed incuriosito (il vedere materializzarsi i nostri eroi e le loro gesta, pur nella magica finzione propria del cinema, a confronto con la visualizzazione offerta dall’ immaginazione durante la lettura), ciò di cui ho avvertito la mancanza è un un vero e proprio pathos in crescendo, con una narrazione complessiva che si snoda nella combattuta alternanza tra gag e azione allo stato puro (l’attacco alla villa in quel di Malibu, un salvataggio celeste e il classico botte da orbi finale le sequenze più riuscite), affidandone traino e collante al gigionismo, a volte trattenuto, altre meno, del buon Downey Jr., come scritto ad inizio articolo, mentre gli altri interpreti si attengono al copione e più non dimandare. In buona sostanza un bizzarro pastiche, funzionalmente spettacolare ma convincente solo a tratti nella sua disarmonia, tanto che, curiosamente, tutto diviene veloce e coinvolgente nei titoli di coda (restate seduti sino alla fine), dove ironia, epicità ed umanità trovano un congruo ensemble. Saper godere di una manciata di minuti dopo due ore di visione a corrente alternata: ed ora, caro il mio Tony Stark, ti sfido a singolar tenzone per stabilire chi tra noi due sia il supereroe …

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