In Paradiso non c’è posto per eroinomani, blasfemi e suicidi. Quindi non è stata questa gran sorpresa trovarmi tra le fiamme stupratrici dell’Inferno, visto che mi sono tolto la vita con un’overdose e un disco degli Slayer in sottofondo. È stato invece piacevole scoprire che Satana non è poi così implacabile come lo dipingono. Ogni tanto ferma la ruota dei supplizi e ci lascia financo leggere qualcosa. A me una volta ha pure regalato la sua copia personale di “Tutta colpa dell’acido” di Irvine Welsh. Che poi, tra l’altro, l’avevo già letto in vita ma Lucifero aveva quello sguardo che non ammetteva repliche, occhi come abissi e ali nere… Beh, conoscete il tipo! “Tutta colpa dell’acido” è una raccolta di 8 racconti tradotti da Massimo Bocchiola, uscita nel 2010 per la casa editrice Guanda, che ha già in passato pubblicato tutti i suoi libri. Delle otto storie soltanto una, “Amo Miami”, è inedita, le altre sono già uscite in raccolte sparse, come rivela lo stesso Welsh nei ringraziamenti finali. Per chi non conoscesse lo scrittore scozzese basta fare soltanto un nome: “Trainspotting”. Uno dei film più famosi degli anni ’90, è infatti tratto dal libro omonimo scritto da Welsh. Dopo quel successo planetario la critica britannica ha continuato a coccolarsi il proprio pupillo letterario ad ogni uscita. Facile profeta in patria (notoriamente adusa a innalzare anche oltre ogni merito i propri artisti), l’ex punk ed ex tossico Welsh, nel resto del mondo ha suscitato reazioni contrastanti. Alcuni lo amano a prescindere da qualunque cosa scriva, altri, basandosi sul suo viso francamente sfigato, lo additano come un prodotto costruito su misura dal mercato dell’editoria. Ma l’autore scozzese ha una scrittura così energica e viscerale che, se anche fosse vero, questo sarebbe un fatto trascurabile. “Tutta colpa dell’acido” è innegabilmente una furba operazione commerciale, un lucroso aperitivo dato da bere agli assetati fan. Ci si aspetterebbe una serie di racconti poco ispirati e poco originali raccolti solo per far cassa, e invece nemmeno una delle otto novelle risulta forzosa. La scrittura che li anima è ispirata come quella dei suoi maggiori successi, da “Colla” a “Il lercio”.
Vi sono alcuni fili rossi che legano questa alle altre opere. C’è naturalmente il Leith: l’ormai famoso distretto portuale di Edimburgo dove lo scrittore è nato, e che è il vero protagonista di gran parte della narrativa di Welsh. C’è la stessa voglia eiaculatoria di trasgredire, di spingersi fino ai limiti del cattivo gusto, regalando preziosità verbali come questa: «Quella ha riempito più barattoli con i suoi aborti che tua nonna con la marmellata». E c’è la stessa masnada di hooligans, teppisti, drogate ed ubriaconi; e sia che si tratti di personaggi nuovi («Il modo che c’ha Sandra di guardar la bottiglia, ti vien da dire che quello è un vibratore del cazzo, e lei se lo ficcherà su per la bernarda»), sia che si tratti di figure già apparse in libri precedenti, come Gas Terry («C’è dei coglioni tutti pieni d’aria che si dimenticano la regola d’oro: un cazzo in tiro non c’ha coscienza»), tutti sono ritratti con quella forza iconoclasta che rende meno colpevole il torbido universo di Welsh. Il primo racconto della raccolta, ad esempio, è veramente crudele. In “Un guasto sulla linea” la moglie del protagonista perde le gambe perché tranciate di netto da un treno. Ma Malky, che ha perso il lavoro da poco perché è un ubriacone irresponsabile, con un cinismo forsennato pensa solo a far in tempo a vedere la partita Hibs-Hearts e al pronto soccorso progetta di farsi delle amanti visto che la sua vita sessuale sarà azzerata a causa dell’incidente occorso, per colpa sua, alla moglie. Pochi altri scrittori hanno saputo tratteggiare con lo stesso vigore di Welsh la figura dell’ultras scozzese. Un formidabile manuale di sociologia, in tal senso, è lo spassoso racconto “L’incidente di Roswell”. Già l’abrasivo titolo rimanda a Roswell, la sperduta città americana dove avvenne il presunto sbarco alieno. Qui gli extraterrestri parlano però lo slang dei teppisti scozzesi, insegnato loro da un capoccia rapito cinque anni prima. Il loro progetto è di dare il comando del pianeta Terra a una manica di hooligans per poterlo controllare. Essi, come è nella loro natura anarcoide, cercheranno però di approfittare della situazione ma verranno messi in riga dagli alieni più anziani e al capo della rivolta, come da immaginario collettivo, verranno infilate sonde di ogni tipo. In “Senso di colpa cattolico (sai anche tu che ti piace)” Welsh indossa i panni della Nemesi, e si compiace di fustigare con una pena dal sapore dantesco di contrappasso un omofobo reo di aver picchiato un gay che aveva osato provarci con lui. Il castigo sarà terribile: «vagare per la terra come un fantasma omosessuale che s’incula i suoi vecchi amici e conoscenti».
Sia in questo racconto che nel successivo “Amo Miami” lo scrittore scozzese dà una spiegazione troppo freudiana e semplicistica del comportamento riprovevole dei personaggi. Nel primo caso il trauma risale all’infanzia e alla violenza sessuale perpetrata da un prete nei confronti del protagonista da bambino. Un trauma rimosso e mai affrontato che funzionerà da causa scatenante per l’omofobia del personaggio. Non bisogna aver grande memoria storica per ricordare l’incredibile serie di abusi che negli anni Novanta funestò la Chiesa d’Irlanda e che scandalizzò la società britannica, compreso evidentemente lo stesso Welsh. E che l’autore abbia un conto in sospeso con gli esponenti religiosi si evince, come già anticipato, anche da “Amo Miami”, dove un tè allucinogeno fa affiorare alla mente di Albert Black, bigottissimo insegnante di religione ormai a riposo, una fellatio peccaminosa fatta da un compagno d’università. È proprio nell’ultimo racconto del libro che Welsh riprende due dei personaggi più memorabili di “Colla” e “Porno”: il superdotato Gas Terry e Carl Ewart, ormai affermatosi come DJ N-Sign. Nella narrativa dello scrittore scozzese i personaggi che più ritornano (“Porno” in particolare era un enorme crossover dove anche alcuni personaggi di “Trainspotting” trovavano spazio) sono quelli più autobiografici. Lo scatenato Gas Terry rappresenta l’anima più selvaggia e ribelle, un mito a cui il giovane Welsh probabilmente tendeva; Carl Ewart è il controcanto più maturo e responsabile che riesce a conciliare con oculatezza sballo e lavoro. Il racconto che dà il titolo alla raccolta è curiosamente il meno notevole. Trama rimasticata come un chewing gum: Crooky e Calum incontrano il tossico Boaby in un pub, lo portano con loro a una festa, ma egli gli “fa il dispetto” di morire lì. In un trip da “Weekend con il morto” i due allora se lo portano dietro per tutta la notte assieme a due ragazze (vive). Riusciranno ad uscirne puliti e ad andare a letto con le tipe. Racconto borghesuccio per ambientazione ed esiti. La penna di Welsh riprende quota nei rimanenti tre episodi, filtrati perlomeno da un’angolazione interessante e nuova per lui. “Il ragazzo di Elspeth” è il ritratto di un burbero uomo che odia il nuovo fidanzato della sorella senza un motivo reale. La messinscena di questa antipatia è dispiegata con un realismo perspicace, perché raccontata in prima persona. “Baciarsi e far la pace”, in poche succinte pagine riesce a condensare l’aberrante virilità di un disadattato. “Le spoglie di Victor”, invece, è il racconto più delicato della raccolta, una sorprendente disamina dei caratteri dei componenti di un triangolo amoroso. Naturalmente, trattandosi pur sempre di Welsh, non aspettatevi lo zucchero di un sentimental-drama. Victor ama Sarah più per desiderio di possesso che per affetto; Gavin compie l’ancestrale errore di scambiare un’ottima intesa sessuale per amore; Sarah si è lasciata alle spalle Victor ed è andata a letto con Gavin per il sano gusto di divertirsi. Lettura tutto sommato amena, questo “Tutta colpa dell’acido”. Adopero la chiosa finale di questa recensione per ringraziare ancora una volta Satana dell’indulgenza mostrata verso noi reprobi. Chissà se un giorno qualcuno potrà dire lo stesso di Dio.