foto di Aida Bressi
Pesare le parole (ed i respiri), per non essere invadente e non turbare la sensibilità dell’altra, anche quando l’altra non ha “l’autorizzazione” a fare cose banali, magari assieme a te…
Allora mi torna in mente Is Multiculturalism Bad for Women? ( in italiano: Diritti delle donne e multiculturalismo, Raffaello Cortina ed. 2007 ) di Susan Moller Okin. All’interno del volume, un contributo di Azizah Y. al-Hibri dal titolo: Il femminismo patriarcale dell’Occidente giova alle donne del terzo mondo e delle minoranze?. Ed i mille dubbi e le mille domande si riaffacciano in maniera prepotente…
da S.M.Okin :“La maggior parte delle culture è attraversata da pratiche e ideologie che hanno a che fare con il genere.Supponiamo allora che una cultura appoggi e favorisca in vari modi il controllo degli uomini sulle donne (magari in maniera informale, nella sfera privata della vita domestica).Supponiamo inoltre che ci siano disparità di potere piuttosto evidenti tra i sessi, e che, di conseguenza, siano i membri piu’ potenti-cioè gli uomini- a occupare generalmente una posizione in grado di determinare e articolare le convinzioni, le pratiche e gli interessi di un gruppo. In queste condizioni i diritti di gruppo sono potenzialmente-e in molti casi, di fatto- antifemministi. Limitano considerevolmente le capacità delle donne e delle ragazze appartenenti a quella cultura di vivere in una maniera umanamente dignitosa, pari a quella degli uomini e dei ragazzi, e di scegliere il piu’ liberamente possibile come vivere. Se i fautori dei diritti di gruppo per le minoranze che vivono in stati liberali non hanno affrontato in maniera adeguata questa semplice critica ai diritti id gruppo, le ragioni sono almeno due. Innanzitutto tendono a trattare i gruppi culturali come monoliti [...]In secondo luogo, prestano poca o nessuna attenzione alla sfera privata. [...] Da un punto di vista femminista, quindi, non è per niente chiaro se i diritti di gruppo per le minoranze siano “parte della soluzione”.Potrebbero anche aggravare il problema. Nel caso di una cultura minoritaria piu’ patriarcale all’interno di una cultura maggioritaria meno patriarcale, non si possono addurre, sulla base del rispetto di sé o della libertà, motivazioni valide per cui i membri femminili avrebbero un interesse evidente a preservare la propria cultura. Anzi, la loro condizione potrebbe migliorare se la cultura in cui sono nati dovesse estinguersi (cosi’ che i suoi membri sarebbero obbligati a integrarsi nella cultura, meno sessista, che li circonda)oppure, ancora meglio, se fosse incoraggiata a cambiare in modo da rafforzare l’uguaglianza delle donne.”"
da Azizah Y. al-Hibri: “”Un appello veramente femminista in favore di una riforma nei paesi musulmani o tra gli immigrati musulmani deve rispettare i loro sentimenti religiosi e culturali, riconoscendo il carattere sacro dei primi e la flessibilità dei secondi.Questo significa che, per questioni come quelle sollevate da Okin, l’approccio migliore è che le femministe musulmane riesaminino criticamente la giurisprudenza islamica alla luce dei principi giurisprudenziali stabiliti e della maslaha dei musulmani. [...] Ostinandosi a difendere le argomentazioni femministe laiche, intolleranti verso importanti valori religiosi, le femministe laiche corrono il rischio di diventare patriarcali. A livello piu’ astratto, definisco patriarcato un sistema gerarchico in cui il controllo viene dall’alto. Se le femministe occidentali sono ora in competizione per il controllo della vita delle donne immigrate, e a questo scopo giustificano misure statali coercitive, allora queste donne non hanno imparato le lezioni della storia: del colonialismo, dell’imperialismo e neppure del fascismo.[...]L’islam ha una consolidata etichetta della differenza, con cui posso spiegare la mia posizione ad altri musulmani, senza per questo rivendicare in alcun modo un accesso esclusivo alla verità e senza passare alla coercizione”.