di Maria Gilli
Odessa, il grande porto meridionale dell’impero degli zar, crocevia di popoli, di lingue, di culture, di costumi, la “Marsiglia russa” – così la chiamava Isaak Babel’ che amava tanto la sua città -; Odessa, il cuore magico di questi bellissimi racconti, scritti fra il 1920 e il1932, e quasi tutti pubblicati negli stessi anni.
da flaneri.com
Il porto, il mare fanno da sfondo al ciclo delle storie odessite: il porto da dove vengono i suoni, gli odori “c’era odore di molti mari…”, i sapori “essenze di Marsiglia, caffè in grani, malaga di Lisbona, pepe di Caienna … “; il mare che dilata gli orizzonti, alimenta i sogni, irradia sul povero e malfamato quartiere ebraico della Moldavanka e magnifica quel mondo di piccoli trafficanti, contrabbandieri, rapinatori. Perché, appunto, la Moldavanka è il regno della malavita ebraica di Odessa, con i suoi gangster, i Levka Byk, Froim Grac… e il loro capo, Benja Krik, sopranominato il Re, ed è proprio a loro, ai banditi, “al fior fiore del nostro contrabbandaggio” che sono dedicate quattro di quelle storie, pubblicate nel 1925 sotto il titolo di “Racconti di Odessa“. E’ l’epopea burlesca, parodistica di un mondo alla “rovescia“, visto attraverso gli occhi ammirativi e nostalgici dell’infanzia, dove banditi-gentleman dagli abiti sgargianti “autentici aristocratici della Moldavanka” diventano i protagonisti e compiono le loro gesta – estorsioni, rapine, incendi, sparatorie – spadroneggiando sulla città in un’atmosfera di bonarietà giocosa, gioiosa, surreale. Ma il quartiere ebraico non è solo un covo di malfattori: è tutto un mondo di piccoli bottegai, di locandiere, di lattaie, di venditrici di polli kosher, di artigiani, di carrettieri, di mediatori, palpitante di vita nei suoi cortili soleggiati, ed è questa, la vita della Moldavanka, “nostra madre generosa – una vita piena di neonati ciuccianti, stracci stesi, notti di matrimonio, piena di sciccheria di periferia…” che affascina Bas’ka, la grande e grossa, sempliciotta figlia di Froim Grac, e insieme a lei il nostro autore.
Eppure, questo mondo pittoresco, colorito, con i suoi gioiosi matrimoni ebraici, i suoi funerali sfarzosi e barocchi – non si può fare a meno di pensare a Chagall – è anche un mondo che ha lasciato ricordi traumatici e incancellabili, ed in particolare quelli del grande pogrom del 1905: i racconti “Storia della mia colombaia” e “Primo amore“, dall’impronta fortemente autobiografica, restituiscono molto bene, nella maniera ellittica che è tipica di Babel’, l’atmosfera dolente di quelle drammatiche giornate di violenza e di paura.
Alle storie ambientate ai tempi degli zar fanno da contrappunto le storie ambientate negli anni della Rivoluzione di Ottobre. “Karl/Yankele“, ad esempio, è il racconto divertito e divertente di una vecchia nonna ebrea che approfitta dell’assenza di suo genero Ovsej – Ovsej è un giovane bolscevico che ha deciso di chiamare il figlio appena nato “Karl, in onore del maestro Karl Marx” e non vuole che sia circonciso -; la nonna quindi rapisce il nipote e lo porta di nascosto ad un vecchio “praticone” che gli fa il rituale della circoncisione e gli impone il nome ebraico di Yankele. Di ritorno a casa, il padre scopre la malefatta “sfasciando il bambino, s’era sincerato della propria disgrazia” e intenta un processo ai due vecchi. La tonalità del racconto è ancora quella ironico-grottesca, allegra; la simpatia dell’autore nei confronti dei personaggi traspare di continuo per tutti quanti, anche per il vecchio praticone che “a Odessa era un bene cittadino tale quale la statua al duca di Richelieu“. Eppure è già il tramonto di un mondo che sta scomparendo, il processo ai due anziani è già il processo al vecchio mondo, alla vecchia religione.
Isaak Babel’ – da literaturadeazi.ro
L’atmosfera del racconto “Froim Grac” è ben diversa; i tempi sono cambiati, solo che Froim Grac non lo ha capito e vuole trattare a tu per tu con i “padroni” del nuovo potere bolscevico. Quest’errore segna la sua fine: “rispondimi da rivoluzionario – a cosa poteva servire quest’uomo nella società futura?” chiede Simen, il presidente della Cekà a Borovoj, il giudice istruttore, e Borovoj non può fare altro che rispondere “probabilmente a niente” e mettersi a “raccontare ai cekisti arrivati da Mosca la vita di Froim Grac… e tutte le storie stupefacenti rimaste nel passato“. Leggendo questo racconto viene il sospetto che l’adesione di Babel’ al regime sovietico non fosse così totale, e non ci stupisce che sia stato pubblicato postumo, solo negli anni sessanta.
Gor’kij ammirava molto Isaak Babel’, e finché era vivo riuscì a proteggerlo. Babel’ godeva di un appartamento confortevole, aveva una piccola dacia in campagna, il suo tenore di vita era piuttosto agiato. Eppure non si sentiva al sicuro, lo aveva confidato ad alcuni amici. Il 15 maggio 1939 fu arrestato, il suo appartamento perquisito, tutti i suoi manoscritti sequestrati. Per anni i suoi familiari non ebbero notizie di lui, fino al 1954 quando ricevettero la comunicazione ufficiale del suo decesso avvenuto, diceva la lettera, il 17 marzo 1941 in seguito ad una crisi cardiaca. Il crollo del comunismo e l’accesso agli archivi del KGB hanno permesso di conoscere le circostanze esatte della sua morte: è stato fucilato il 27 gennaio 1940 in un cortile della Lubjanka. I suoi manoscritti non sono stati ritrovati.
Per le citazioni è stata usata la traduzione di Bruno Osimo
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