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ISOLE: Scritture letterarie, momenti d’Ogliastra

Creato il 29 agosto 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

ISOLE3Una selezione digitale di lavori pubblicati nell’antologia ogliastrina ISOLE – Scritture letterarie, momenti d’Ogliastra (AA. VV. a cura di Rina Brundu, Ed. Grafica del Parteolla, 2006) con scritti di Massimo Pittau, Mario Pudhu, Giuseppe Cabizzosu, Franco Pilloni, Roberto Mistretta, Claudio Moica, Martina Secci, Rosanna Fiocchetto, Caterina Ortu, Angelino Usai, Antonio Trudu e molti altri autori e scrittori sardi (et non).

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LA LINGUA SARDA OGGI di Massimo Pittau

L’articolo 6 della Costituzione italiana recita testualmente: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche».

Erano passati esattamente 50 anni dalla data di entrata in vigore della Costituzione nel 1948, prima che finalmente venisse promulgata in Sardegna una legge regionale, quella num. 26 del 15 ottobre 1997, intitolata «Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna», legge che indica e prescrive le linee di attuazione di quella norma costituzionale. Due anni dopo è stata finalmente promulgata pure la legge del Parlamento Italiano num. 482 del 15 dicembre 1999, intitolata «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche».

Per quanto riguarda la lingua sarda quel ritardo di mezzo secolo è ovviamente da rimproverare molto meno alla classe dirigente nazionale di Roma e molto più alla classe dirigente regionale della Sardegna. Noi Sardi abbiamo il grosso difetto di rimproverare agli altri, ai conquistatori, ai padroni, ai dirigenti nazionali le colpe dei malanni che affliggono la nostra Isola, ma in ordine al recupero, alla salvaguardia e al rilancio della lingua sarda la prima e principale colpa di un così lungo ritardo è chiaramente da attribuirsi alla classe politica regionale, quella di tutti i partiti.

Il titolo V della legge regionale prevede la possibilità – non l’obbligo – di adoperare la lingua sarda nella pubblica amministrazione e precisamente recita che «nelle assemblee e negli altri collegi deliberativi regionali e locali che lo contemplino nei rispettivi regolamenti e statuti, potrà essere liberamente usata, nella fase della discussione, la lingua sarda. Le relative amministrazioni garantiscono, ove venga richiesta, la traduzione di tali interventi». Inoltre l’art. 2 recita che «Ove previsto nei citati regolamenti e statuti, degli interventi così svolti dovrà essere garantita la verbalizzazione. Sulla base dei citati ordinamenti, nella successiva fase deliberativa e nei conseguenti documenti potrà essere usata la lingua sarda purché accompagnata, a cura del presidente del collegio, dal corrispondente testo in lingua italiana». Infine l’art. 3 del citato titolo V prevede che «Nella corrispondenza e nelle comunicazioni orali dei cittadini dirette all’Amministrazione regionale e a quelle locali è possibile usare la lingua sarda». Però – commento e preciso io – per le amministrazioni regionale e locali non è previsto alcun obbligo di rispondere al cittadino pure in lingua sarda.

A titolo personale dico di ritenere fondamentalmente “buona” la legge regionale num. 26, anche se esprimo il rammarico perché poteva essere migliore.

Però, venendo alla sua effettiva applicazione pratica, in linea di fatto di tutte le concessioni che la legge prevede a favore della lingua sarda, per quanto tutti abbiamo sotto i nostri occhi, essa viene adoperata in non molti consigli comunali, da parte di pochi consiglieri. Inoltre, non mi risulta che venga fatta pure la verbalizzazione in lingua sarda dei loro interventi.

D’altra parte la sede fondamentale della operazione del rilancio della lingua sarda è indubbiamente la scuola, soprattutto la scuola dell’obbligo. In questo settore così importante e addirittura essenziale quasi nulla o molto poco è stato sinora fatto e si va facendo. La difficoltà della partenza di questa operazione nelle scuole sarde, a mio avviso, dipende dalla grande incertezza che esiste fra gli operatori scolastici circa la varietà della lingua sarda che debba essere adoperata ed insegnata nelle scuole.

Su questo importante argomento è opportuno che io apra una parentesi e faccia una premessa. Io ho conosciuto personalmente Max Leopold Wagner, il Maestro della linguistica sarda, e con lui sono stato in rapporti epistolari negli ultimi 10 anni della sua vita. Egli aveva fatto la recensione positiva di due miei libri ed inoltre mi ha citato spesso e sempre con deferenza nel suo capolavoro, il Dizionario Etimologico Sardo, chiamandomi perfino “l’amico Pittau”. D’altronde in precedenza io avevo dedicato proprio a lui uno dei miei primi libri scritti sul sardo, Il dialetto di Nuoro (Bologna 1956, in seguito rifatto e ristampato col titolo Grammatica del Sardo-Nuorese 1972).

Ebbene, nonostante questa nostra amicizia abbastanza lunga e consolidata, da quando in Sardegna si è imposta la “questione della lingua sarda” io mi sono convinto che al grande Maestro si deve pur muovere un forte rimprovero: egli non ha mai mostrato una sufficiente attenzione alla lingua che i poeti sardi adoperano, sia quelli che si esprimono nella varietà logudorese della lingua sarda sia quelli che si esprimono nella sua varietà campidanese. Il Wagner, per le stesse precise esigenze della “ricerca sul campo” che era solito effettuare, in realtà ha finito con lo studiare quasi esclusivamente i vari dialetti e suddialetti sardi (configurandosi pertanto prevalentemente come dialettologo), mentre ha trascurato quasi del tutto la lingua letteraria adoperata dai poeti sardi. E ciò fece per la ragione fondamentale che questa lingua, a suo parere, è carica di cultismi latini e di forestierismi catalani, spagnoli e italiani.

Ma io obietto che tutte le altre lingue letterarie neolatine (italiano, spagnolo, catalano, francese, portoghese e rumeno) sono anch’esse cariche di cultismi e di forestierismi e ciononostante vengono dai linguisti e dagli storici delle letterature accettate e studiate come tali. Per questo preciso fatto non trova alcuna giustificazione il disinteresse sostanziale che il pur grande Wagner ha dimostrato per le due varietà letterarie della lingua sarda, quella logudorese e quella campidanese. Tutto al contrario, nel II volume Italiano-Sardo del mio Dizionario della Lingua Sarda – fraseologico ed etimologico, uscito di recente (Cagliari 2003), con tutta tranquillità io ho fatto entrare numerosi cultismi e forestierismi sardi, che invece il Wagner aveva trascurato e tralasciato del tutto.

Non lo si può affatto negare: la lingua sarda esiste realmente anche come lingua letteraria, anche se espressa in due varietà fondamentali, il logudorese letterario ed il campidanese cittadino. Queste due varietà letterarie risultano ormai quasi del tutto standardizzate e anche fortemente unificate nel rispettivo ambito di ciascuna. L’uso di una di queste due varietà letterarie ormai è generale da parte dei poeti e anche dei prosatori sardi.

Non si deve poi trascurare il fatto che i poeti sardi sono molto numerosi, sia in Sardegna che fuori, tanto che ormai raggiungono il migliaio, sempre pronti a partecipare ai numerosi premi di poesia che continuano ad esser banditi anno per anno in varie località dell’Isola. Io ricordo che in un concorso di poesia indetto a Sennori, sotto l’egida del «Premio di Poesia Romangia», della cui commissione giudicatrice facevo parte anche io, furono presentati al concorso più di 600 componimenti.

Ma del resto non si tratta di sottolineare solamente l’elevato numero di poeti che scrivono in lingua sarda, ma c’è anche l’obbligo di segnalare e sottolineare gli elevati livelli poetici che sono stati raggiunti da molti di loro. Ormai in Sardegna per gli insegnanti della scuola dell’obbligo ed anche di quella superiore che abbiano voglia di lanciare l’uso e lo studio della lingua sarda, esistono componimenti poetici scritti in sardo (campidanese o logudorese), i quali sono in grado di educare i nostri ragazzi e adolescenti al gusto della poesia e di aprirli all’attività letteraria molto più e molto meglio di quanto non facciano i triti e ormai abusati “Valentino” di Giovanni Pascoli e “T’amo o pio bove” e “Davanti San Guido” di Giosuè Carducci.

Con tutta tranquillità pertanto si possono e si debbono far entrare nelle scuole dell’Isola anche i poeti e la poesia in lingua sarda, senza alcun timore che il livello generale della preparazione linguistica e letteraria dei nostri ragazzi e adolescenti scenda verso il basso, ma anzi con la fondata speranza che essa salga verso l’alto.

«Ma questa lingua sarda bimembre, cioè logudorese e campidanese non è la “lingua sarda unificata”», obietteranno sia qualche fanatico della “unificazione” a tutti i costi sia i nemici tout court del recupero e del rilancio della lingua sarda. «E che significa questo?» dico io. Anche gli antichi Greci, nel periodo del pieno fulgore della loro civiltà, non avevano né adoperavano una “lingua greca unificata”, bensì facevano uso di quattro o cinque varietà dialettali (eolico, ionico, dorico, attico, ecc.), ciascuna carica di autorevolezza e ciascuna comprensibile da tutti i Greci. Se i Greci non si sono sentiti mai a disagio né hanno provato un complesso di inferiorità per il fatto che la loro lingua greca in realtà era distinta in quattro o cinque varietà dialettali, perché noi Sardi dobbiamo sentirci a disagio e provare un senso di inferiorità per il fatto che la nostra lingua sarda è distinta in due grandi varietà letterarie? Ed aggiungendovi pure la varietà gallurese-sassarese – che, come è noto, non propriamente “sarda” – in realtà noi Sardi attuali ci troviamo in condizioni migliori di quelle degli antichi Greci quanto ad “unità” del loro e del nostro parlare. Eppure, col loro pluralismo dialettale i Greci hanno creato quei capolavori della letteratura mondiale che sono l’Iliade e l’Odissea, le tragedie di Sofocle, Eschilo ed Euripide, le commedie di Aristofane e di Menandro, i Dialoghi di Platone, ecc. ecc.; e più in generale hanno creato la loro splendida civiltà, quella che ha dato inizio all’intera civiltà occidentale, della quale adesso noi andiamo giustamente orgogliosi come eredi diretti e come rappresentanti legittimi.

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Rina Brundu is an Italian writer and publisher who lives in Ireland. Author of several books and hundreds of articles and literary reviews, she has a keen interest in digital writing and journalism, training and operations management. See also www.rinabrundu.com and www.rinabrunducritique.com (in English).


Product Details

  • File Size: 2124 KB
  • Print Length: 275 pages
  • Simultaneous Device Usage: Unlimited
  • Publisher: Ipazia Books; 1 edition (August 27, 2015)
  • Publication Date: August 27, 2015
  • Sold by: Amazon Digital Services, Inc.
  • Language: Italian
  • ASIN: B014LDUWK4


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