Non bastavano i muri di “difesa” e l’apartheid. In pochi giorni di scontri accesi sono morti 50 palestinesi e 3 israeliani. E Israele prepara un attacco via terra a Gaza.
Persino un bambino, leggendo questi dati, capirebbe chi sta attaccando chi, per giunta dichiarando di esser stati costretti a reagire. È la solita storia: come quattro anni fa per “Piombo Fuso”, Israele inaugura una nuova campagna militare che arriva appena dopo contingenze ben precise: le elezioni Usa, che hanno eletto un governo che ieri ha ribadito il “diritto di Israele a difendersi”, prima di quelle israeliane e prima che Abu Mazen chieda all’Onu di riconoscere la Palestina.
Elemento da approfondire per capire il conflitto odierno è in particolare la data delle elezioni anticipate in Israele, gennaio, che è domani per i tempi di una campagna elettorale che si presenta difficilissima per la destra sionista, alle prese con crisi economica, primavera araba e proteste popolari. Il programma sulla questione palestinese del governo uscente è in estrema sintesi: neutralizzare preventivamente chi si oppone ad Israele, perchè nessuno difenderà gli ebrei se non gli ebrei stessi, che devono arginare l’antisemitismo prima che raggiunga il genocidio. Per ottenere questo tipo di consenso creano la macchia, senza cui nessuno sentirebbe il bisogno dello smacchiatore che essi rappresentano, ed è così che vincono le elezioni e che poi mettono in atto tutte quelle operazioni da cui si dichiarano minacciati, diventando così a loro volta la macchia per la controparte che, a differenza dell’altra, è però realmente minacciata. Inizia così una guerra lampo tollerata dalla comunità internazionale, in cui la verità non riscuote l’interesse dei media tradizionali , e che è vinta militarmente da Israele. Il risultato è l’esacerbazione del conflitto, reso più violento di volta in volta, e l’aggravarsi dell’apartheid.
Un’altra chiave di lettura da approfondire è quella storica, che ha a che fare con le cause originarie del conflitto e che si cela nella quotidianeità e nei gesti comuni, per confluire poi nel sostegno alle decisioni politiche nazionali più discutibili e estendersi sino le numerose guerre occorse nei territori occupati. Ogni israeliano e palestinese infatti vi racconterà la storia della guerra tra Israele e Palestina attraverso la storia delle due città simbolo, Gerusalemme e Hebron. Quest’ultima in particolare, da almeno un secolo epicentro delle tensioni del territorio, è oggi la città dove lo scontro quotidiano è più aspro e crudo, perchè lontano dai turisti della Città Santa. Se non potete andarci di persona (ed è un peccato, anche perchè è di una bellezza tremenda), questo documentario (con sottotitoli in italiano) è obbligatorio, perchè conferisce piena vastità alla dimensione del dramma che lì si consuma ogni giorno, porta a porta, e che anche il sottoscritto ha provato a testimoniare attraverso un diario di bordo, proprio ad Hebron e dintorni.
*Stay Human*
La prima parte del documentario presente in versione integrale su YouTube: This is my land…Hebron