di Davide Piacenza
Nelle ultime settimane è tornata prepotentemente in scena l’ipotesi di un conflitto armato tra Israele e Iran, inizialmente riportato da due giornalisti del sito di approfondimento dei temi mediorientali Al-Monitor. L’incipit del pezzo è eloquente:
Se fosse per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il Ministro della Difesa Ehud Barak, un attacco militare israeliano ai siti nucleari iraniani verrebbe lanciato nei prossimi mesi autunnali, prima delle elezioni americane di novembrePer quanto un “attacco israeliano ai siti nucleari iraniani” si rivelerebbe molto più difficile di quanto non sia stato nel 1981, in occasione della cosiddetta Operazione Babilonia – in cui un gruppo di F-16A israeliani attaccò e distrusse un reattore nucleare in costruzione in Iraq, a sud di Baghdad – per la temuta presenza di centrifughe nel sottosuolo, l’idea di un raid contro gli ayatollah sembra aver attirato l’opposizione dell’intero establishment della Difesa israeliana.
Molti – tra cui l’autore di un recente editoriale del Guardian – sono convinti del fatto che quello di Barak sia in realtà un bluff strategico: non a caso la scelta del periodo di imminenza delle elezioni USA; se uno dei due pretendenti alla Presidenza ponesse il veto su un intervento israeliano, ne risulterebbe un immediato calo di preferenze nei suoi confronti. Paul Ryan, il vice di Romney, si è infatti già affrettato a ribadire il sostegno americano all’alleato mediorientale, usando una retorica che ha fatto felici i neocon del Paese.
Benjamin Netanyahu e Ehud Barak
Ciò detto, la posizione dell’Iran rimane effettivamente problematica: da mesi si susseguono dichiarazioni anti-israeliane provenienti da Tehran. L’ultima in ordine cronologico risale a qualche giorno fa ed è stata pronunciata da Mahmoud Ahmadinejad, il Presidente iraniano, che ha paragonato Israele ad un “cancro da rimuovere”, aggiungendo che la sua esistenza sarebbe “un insulto all’umanità”.
C’è chi – come Thomas Rogan, del Guardian – considera molto seriamente l’ipotesi concreta di un conflitto. Una guerra, tuttavia, che avrebbe necessariamente i contorni di una rappresaglia regionale, poiché nessuno degli attori in campo – né Israele, né l’Iran, né gli Stati Uniti – avrebbe interesse ad espandere la portata di una guerra che porterebbe conseguenze più negative che positive.
Se Netanyahu decide di attaccare, gli obiettivi israeliani sarebbero chiaramente limitati. L’intento sarebbe quello di fare in modo che l’Iran non acquisisca capacità di fabbricare armi nucleari, minimizzando le possibilità di un’escalation verso la guerra vera e propria. Israele non ha interesse a generare un conflitto più grande che metterebbe a serio rischio il suo Stato.In sostanza, lo stato ebraico vuole limitare le possibilità di fornire un pretesto ad Assad, Hamas ed Hezbollah (per citare i suoi principali nemici dell’area) per acquistare maggiori consensi e rinforzarsi. L’Iran, dal canto suo, sarebbe altrettanto costretto dagli interessi americani nel Golfo a rispondere razionalmente e localmente. Non ci è dato sapere se Netanyahu porterà avanti le sue intenzioni bellicose, ma una cosa rimane certa: qualora dovesse farlo, costringerebbe la sua nazione a rimettere in gioco la sua posizione internazionale per una missione che difficilmente potrebbe dirsi compiuta con successo.