Le pubblicazioni dell’Istituto curdo possono essere acquistate nella sorprendente libreria Medya Kitabevi, nascosta in uno dei tanti passaggi – corridoi coperti, densi di esercizi commerciali di ogni tipo, tra un edificio e un altro – che si aprono anonimi su Istiklâl Caddesi, il corso principale della Pera europea. Selahattin Bulut, il suo proprietario, è un professionista delle forniture inattese: e riesce a convogliare nel suo piccolo regno qualsiasi libro riguardi il popolo curdo (anche in turco) o sia scritto in curdo, comprese le traduzioni più ardite – i sonetti di Shakespeare o il Manifesto di Marx ed Engels – e una ricca scelta di cd di musica tradizionale. Compresi i libri di Avesta, una casa editrice con sede a Istanbul – nello stesso quartiere – che pubblica ricerche accademiche nelle scienze sociali, i classici della letteratura curda e le nuove tendenze: in curdo e in turco. Il suo fondatore, Abdullah Keskin, è venuto a Istanbul negli anni ’90 per lavorare nel primo quotidiano curdo, Welat (La Patria), poi chiuso perchè l’uso della lingua curda era fuorilegge; ha deciso di fare l’editore, ha subito sequestri, è andato in prigione, ha pubblicato circa 400 libri letti soprattutto da studenti universitari e intellettuali: non usufruisce di sovvenzioni pubbliche e le sponsorizzazioni sono rare, la vendita dei libri in turco riesce a coprire le spese di quelli in curdo che hanno una diffusione ridotta.
Poco più avanti, in questo pezzo di Curdistan sul Bosforo, c’è la sede e il teatro Destar che ospita la compagnia curda Şermola Performans. Ne esistono altre, ma gli otto ragazzi guidati da Mirza Metin e Berfin Zenderlioğlu sono gli unici professionisti, gli unici ad avere un progetto continuativo e a lunga scadenza (per due anni finanziato dal Ministero della cultura e del turismo). Il loro approccio è brechtiano: vogliono far riflettere gli spettatori – la piccola sala ne ospita 70-80 – piuttosto che inculcargli contenuti politici; “non siamo agit-prop”, ha tenuto a precisare Berfin Zenderlioğlu. Recitano opere della tradizione, ma ne scrivono anche di nuove e sperimentali: come “Bûla Lekî” (“La sposa di plastica”), sulle lacerazioni interiori di chi è diverso – la sex doll – in un mondo omogeneizzato; o lo spettacolo senza parole “Cerb” (“L’esperimento”) in cui quattro prigionieri sviluppano strategie di comunicazione alternativa e di dominio gli uni sugli altri. Recitano in curdo, ma agli spettatori viene fornita una traduzione in turco e in inglese; recitano a Istanbul e occasionalmente in festival nel sud-est, ma il loro sogno è di crare una scuola di teatro a Diyarbakır: quando le condizioni politiche lo consentiranno, quando pubblicare e insegnare in curdo non saranno più un reato o un diritto da reclamare.