Istanbul apre alla cultura curda

Creato il 15 ottobre 2011 da Istanbulavrupa

In edicola, trovate il numero di ottobre della rivista East: dedicato all’ex Unione sovietica, con un mio articolo dal titolo “Istanbul apre alla cultura curda”. Parlo di come la lingua curda viene preservata, diffusa e insegnata a Istanbul – tra molte difficoltà e qualche speranza. Qui, la parte finale del mio articolo, con interviste diciamo pure esclusive per il mainstream italiano, che s’interessa al popolo curdo solo per parlare di attentati o di repressione:

Le pubblicazioni dell’Istituto curdo possono essere acquistate nella sorprendente libreria Medya Kitabevi, nascosta in uno dei tanti passaggi – corridoi coperti, densi di esercizi commerciali di ogni tipo, tra un edificio e un altro – che si aprono anonimi su Istiklâl Caddesi, il corso principale della Pera europea. Selahattin Bulut, il suo proprietario, è un professionista delle forniture inattese: e riesce a convogliare nel suo piccolo regno qualsiasi libro riguardi il popolo curdo (anche in turco) o sia scritto in curdo, comprese le traduzioni più ardite – i sonetti di Shakespeare o il Manifesto di Marx ed Engels – e una ricca scelta di cd di musica tradizionale. Compresi i libri di Avesta, una casa editrice con sede a Istanbul – nello stesso quartiere – che pubblica ricerche accademiche nelle scienze sociali, i classici della letteratura curda e le nuove tendenze: in curdo e in turco. Il suo fondatore, Abdullah Keskin, è venuto a Istanbul negli anni ’90 per lavorare nel primo quotidiano curdo, Welat (La Patria), poi chiuso perchè l’uso della lingua curda era fuorilegge; ha deciso di fare l’editore, ha subito sequestri, è andato in prigione, ha pubblicato circa 400 libri letti soprattutto da studenti universitari e intellettuali: non usufruisce di sovvenzioni pubbliche e le sponsorizzazioni sono rare, la vendita dei libri in turco riesce a coprire le spese di quelli in curdo che hanno una diffusione ridotta.

Poco più avanti, in questo pezzo di Curdistan sul Bosforo, c’è la sede e il teatro Destar che ospita la compagnia curda Şermola Performans. Ne esistono altre, ma gli otto ragazzi guidati da Mirza Metin e Berfin Zenderlioğlu sono gli unici professionisti, gli unici ad avere un progetto continuativo e a lunga scadenza (per due anni finanziato dal Ministero della cultura e del turismo). Il loro approccio è brechtiano: vogliono far riflettere gli spettatori – la piccola sala ne ospita 70-80 – piuttosto che inculcargli contenuti politici; “non siamo agit-prop”, ha tenuto a precisare Berfin Zenderlioğlu. Recitano opere della tradizione, ma ne scrivono anche di nuove e sperimentali: come “Bûla Lekî (“La sposa di plastica”), sulle lacerazioni interiori di chi è diverso – la sex doll – in un mondo omogeneizzato; o lo spettacolo senza parole “Cerb”  (“L’esperimento”) in cui quattro prigionieri sviluppano strategie di comunicazione alternativa e di dominio gli uni sugli altri. Recitano in curdo, ma agli spettatori viene fornita una traduzione in turco e in inglese; recitano a Istanbul e occasionalmente in festival nel sud-est, ma il loro sogno è di crare una scuola di teatro a  Diyarbakır: quando le condizioni politiche lo consentiranno, quando pubblicare e insegnare in curdo non saranno più un reato o un diritto da reclamare.



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