E così di Istanbul ricorderò giovani e vecchi che trasportano le cose più improbabili per strada sui loro carretti, nelle ceste sulle spalle, sui vassoi poggiati sulla testa.
I numerosissimi baracchini per strada che vendono cibo di strada: dai simit (le ciambelle ricoperte di sesamo) alle banane, dalle castagne al succo di melograno, dal panino con il filetto di pesce appena pescato nel Bosforo e cotto su una griglietta agli spiedini di cozze fritte.
L'onnipresente Ataturk.
Gli arrotini, i lucidascarpe, i rigattieri e tutti i mestieri che non esistono più.
La gentilezza non affettata dei turchi.
Gli asciugamani dei barbieri stesi davanti ai loro negozi.
La luce del Bosforo e i suoi riflessi sui palazzi.
I negozi che producono e vendono cose che separate dall'oggetto finale non siamo più abituati a vedere: le etichette dei vestiti, le fibbie delle cinture, i bottoni a pressione, gli anelli delle catene.
I negozi di modernariato che in qualunque altro posto sarebbero radical-chic, ma qui sembrano autentici.
Le scalinate ripidissime che sembrano portare nel nulla.
Le case di legno con i loro bovindi.
I mercati e i negozi organizzati geograficamente per specializzazione di vendita (tutti gli accessori per la casa, tutti gli elettrodomestici, tutti gli apparecchi radiofonici e televisivi ecc.).
Le onnipresenti maioliche.
Le due anziane signore musulmane che si fanno vicendevolmente le foto con il cellulare.
Il bambino che si butta davanti all'obiettivo per essere fotografato.
La folla che quasi mi calpesta per entrare nella moschea.
La coppia di mezza età che litiga sul marciapiede con lei che gli si aggrappa e lui che fa volare qualche schiaffo, mentre intorno la gente - passando - li osserva e sembra controllare che la cosa non degeneri.
Il vecchietto che ci vende non-so-quanti asciugamani di cotone e tovaglie in un negozietto così piccolo che in due non ci stiamo e che parla inglese molto meglio di noi.
La luna piena sulla città illuminata.
Le donne vestite di bianco messe in vetrina nei ristoranti di Sultanahmet come fossero commensali.
I gettoni di plastica della metropolitana.
Le viste sul Bosforo.
La decadenza e lo splendore fianco a fianco.
L'antico e il moderno mescolati tra di loro.
La tradizione e l'innovazione nelle stesse strade.
Il fatto che solo stando a Istanbul si può leggere Pamuk ;-)
La sensazione che questa città e questo popolo possano andare lontano, se riescono davvero a nutrirsi di Occidente ed Oriente con intelligenza e spirito critico.