Ho recentemente letto un libricino molto interessante, anche se dal titolo fuorviante (anzi, secondo me profondamente sbagliato): Andare per l'Italia araba, di Alessandro Vanoli. E' stato pubblicato dal Mulino a fine 2014, fa parte della collana "Ritrovare l'Italia": che raccoglie "itinerari d'autore tra storia e cultura". Dice: ma perché ce ne parli? Cosa c'entra con Istanbul? Beh, il punto è che nel libro non si parla solo di "arabi", ma anche di turchi e persiani: più specificamente, delle tracce che hanno lasciato gli scambi - di oggetti, persone e idee - "tra una penisola posta al centro del Mediterraneo e il mondo a maggioranza musulmana che la circonda [sic!] a sud e a est". Un mondo temuto, fantasticato, percepito come "un insieme indistinto": da qui la scelta del titolo, con riferimento all' uso intercambiabile dei termini "mori", saraceni", "turchi"... e per l'appunto "arabi".
Vanoli rintraccia - capitolo per capitolo, tappa per tappa - le tracce profonde ma per lo più nascoste della presenza musulmana in Italia: "spesso mascherate, ancor più spesso volutamente dimenticate". Tracce profonde e secolari, a partire dalla conquista della Sicilia nel IX secolo: "[m]a fu il sacco di Otranto del 1480″ - per mano degli ottomani di Maometto II, che dopo Costantinopoli puntava a conquistare anche Roma (ma morì l'anno dopo) - "l'evento che si impresse negli animi in maniera più profonda e duratura. le coste si gremirono di torri di guardia e postazioni d'allarme; mentre le città presero a incrementare le proprie fortificazioni". Non solo guerra, però: perché - com'è noto - nel corso dei secoli i rapporti tra l'impero Ottomano e gli stati italiani produssero idee, gusti, mode - soprattutto grazie agli schiavi e ai rinnegati. Ma c'è anche un'altra e molto più recente "Italia araba", quella degli immigrati arrivati soprattutto a partire dagli anni '80: un mondo che è entrato nel nostro quotidiano, che ha massima - e purtroppo controversa! - visibilità.
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