Istanbul, la Sublime Porta

Creato il 27 giugno 2012 da Astorbresciani

Ci fu un tempo in cui il potente impero ottomano veniva chiamato la “Sublime Porta”. Era una sineddoche, una parte per il tutto. La Sublime Porta altro non è che il portone del quartier generale del gran visir e dei giannizzeri (in turco Yeniçeri, “nuove truppe), cioè la guardia personale del sultano. Eppure, ancora oggi, visitando Istanbul, città antichissima e modernissima a un tempo, la prima sensazione da cui si viene blanditi è di trovarsi sull’uscio di un portale, fantastico quando misterioso e ricco di sorprese. Bastano pochi giorni di soggiorno a Istànbul (a proposito, l’accento cade sulla a, perciò non è corretto chiamarla Ìstanbul o Istanbùl) per rendersi conto che la sua valenza primaria e unica al mondo è proprio quella di essere una metropoli border line, oltre che bipolare. È l’unica città del pianeta estesa su due continenti: Europa e Asia. Più antica e preziosa quella europea, residenziale quella asiatica. Le due città sono divise dal Bosforo, su cui si naviga con la gioia di ammirare la sapiente fusione di mondi, culture e persino epoche perfettamente integratesi. 

Istanbul non è la capitale della Turchia (l’onore spetta ad Ankara) ma la si può considerare un microcosmo cosmopolita, un ombelico del mondo per le infinite suggestioni ed energie che emana. Il suo limite è di essere troppo estesa, esagerata. È la città più popolosa d’Europa (vanta anche il mercato coperto più antico del mondo e il moderno centro commerciale più grande d’Europa) ma anche una delle più vivaci e sorprendenti. Ha molte altre qualità, che si scoprono cammin facendo, sì che certi vieti luoghi comuni e le paure ancestrali associate ai luoghi si sgretolano facilmente. Mamma li turchi! – si diceva una volta. A corroborare l’atavica paura della mezzaluna contribuirono i feroci pirati saraceni che razziavano le coste del Mediterraneo ma che non erano turchi, sia detto per inciso! In ogni caso, meno male che l’avanzata dei turchi finì a Vienna e che a Lepanto vinsero i veneziani, altrimenti… 

Si avvertono mille emozioni e sentori nella terra dei sultani e del caffè, che si specchia vanitosa nelle acque del Corno d’Oro come una principessa circassa, ma è pressoché impossibile provare paura. La città è sicura, sublime come l’antica porta, cordiale e invitante. La gente è indaffarata, gentile, non è perniciosa o subdola come in altri contadi islamici. Istanbul alletta i cercatori della bellezza e di risposte quanto i viaggiatori d’altri tempi. Qui, diversamente dai luoghi dove la storia è troppo lieve o pesante per incidere sul presente, il passato è un convitato di pietra che si fa amare per la sua cordialità. Ma riassumere Istanbul in poche righe è come pretendere di descrivere la via lattea avvalendosi di una fotografia. In realtà, per quanto ci si possa provare, è impossibile trasmettere attraverso una sinossi le impareggiabili virtù di una meta turistica così appagante. Intanto, va precisato che Istanbul è una sorta di araba fenice che nel corso dei secoli ha mutato nome, caratteri e valori pur rimanendo fedele a se stessa, conservando cioè la vocazione per cui è da sempre un nodo strategico e umanistico. Fondata dai coloni megaresi come Bisanzio, divenne la prospera capitale dell’Impero Romano d’Oriente sotto Costantino, che la ribattezzò Nova Roma. Ben presto, però, divenne per tutti Costantinopoli. Solo nel 1453, quando fu conquistata dal sultano Maometto, si chiamò Istanbul. L’attuale toponimo significa semplicemente “alla città”, come dire che tutto il resto è poca cosa rispetto alla sua magnificenza.  Ora, mi basta solo nominare Bisanzio e Costantinopoli per agitare le acque del cuore o creare un turbinio di nomi, ricordi, suggestioni e richiami che non appartengono solo alla storia locale o della Turchia, ma al mondo intero. Qui è stata scritta la storia dell’umanità e per quanto l’ignoranza oggi prevalga sulla sete di sapere, mi è difficile credere che il patrimonio di questo centro di potere e bellezza possa lasciare indifferente i suoi ospiti, fossero anche gastronauti interessati solo al kebap o capre affette dalla sindrome della playstation. Va da sé che avere una certa cultura e sensibilità aiuta a comprendere le infinite sfaccettature culturali, artistiche e storiche di una città così fantasmagorica, dove pietre e monumenti sono collegati in un intreccio che evoca la sinapsi del cervello, ma anche il turista più frettoloso, appena sbarcato da una nave da crociera, o la bestia trionfante danno segni di vita. A Istanbul, l’encefalogramma non può essere piatto. A stimolare l’attività elettrica ci pensano il meraviglioso Palazzo di Topkapi, antica residenza dei sultani dell’impero ottomano e sede del più famoso harem della storia, la possente e incantevole Santa Sofia, grandiosa espressione di fede e di arte, la splendida Moschea  Blu, il sorprendente Museo Archeologico o l’infinito e ubriacante Gran Bazar. In seconda battuta, il turista che si sente schiacciato dalla maestosità e dalla bellezza, può sempre rifarsi con taluni aspetti e realtà di Istanbul che stimolano i sensi più che lasciare senza fiato. Su tutti i famosi bagni turchi, il cui vero nome è hammam. Gli antichi hammam, eredi delle terme romane, non sono solo centri architettonici suggestivi e luoghi di piacere e rilassamento. Sono l’espressione più intima e profonda dell’essenza di un Oriente che ama godersi la vita e concedersi pause di riflessione, beatitudine e benessere. Non meno significativa è l’esperienza delle danze turche e in particolar modo di quella in cui sono maestri di Dervisci rotanti. E poco conta se il turista, pur ammaliato dalla danza roteante dei membri di un’antica confraternita islamica legata ai Sufi, ignora del tutto che il movimento parossistico del corpo non è l’effetto della puntura di una tarantola o del ballo di San Vito, ma è un faticoso cammino di ascesi e salvazione. 

Fra le tante cartoline di Istanbul, quella che mi ha colpito per la sua apparente banalità, e che invece nasconde una filosofia di vita antichissima, coglie uomini e ragazzi intenti a pescare sul ponte di Galata, che unisce la città vecchia con la moderna Beyoglu, il quartiere della piazza Taksim e della interminabile Istiklal Caddesi, la via pedonale dello shopping che è bello percorrere sul Nostalgic Tram. Pare quasi che la folla assiepata sul ponte sia attesa di qualcosa e che il ponte stesso sia un limbo. Che ci fa tanta gente oziosa nel cuore di una città iperattiva? La risposta è nella chiave di lettura che Istanbul offre a chi sa andare oltre le apparenze delle cose. Per quanto i suoi abitanti siano attivi e galvanizzati dal boom economico della Turchia contemporanea, resiste in molti di loro l’indissolubile piacere di ammirare la vita, apprezzarne i suoni e i colori, gustarne l’incanto. Su un ponte o sdraiati in un prato o su un tappeto, più facilmente in uno dei tanti caffè e bar all’aperto, gustando il caffè turco (che dev’essere nero come l’inferno, forte come la morte e dolce come l’amore) e fumando col narghilè. A Istanbul, nulla vale come ricevere. Se vi è da ascoltare sii il primo, se vi è da parlare sii l’ultimo – recita un proverbio turco. In effetti, il vento che soffia su Istanbul e rende sopportabile l’arsura estiva, pur diffondendo afrore di pesce, mais, sudore e caldarroste, è una morbida carezza che pare dica all’anima: Siediti e osserva. Calmati e ascolta. Tutto ciò che devi sapere è qui, davanti a te. Un altro proverbio, questa volta italiano, ci rammenta che un turco può ben divenire un dotto ma un uomo giammai. È vero, resterà sempre un bambino che si apre all’incanto della vita ma che patisce lo huzun, una profonda malinconia collettiva. 

Ecco la mia personale top-list di Istanbul. Al primo posto Topkapi. Per me che amo la storia è come tuffarsi dentro di essa e cominciare a nuotare, incurante delle onde. La visita dell’harem, gravido ancora oggi di presenze eteriche, è un’esperienza quasi carnale, e il tesoro dei sultani ti fa sentire minuscolo. Chiudere gli occhi nel Diwan, il padiglione dove i ministri del sultano e il gran visir prendevano le decisioni politiche e militari, è un’esperienza che vale la lettura di cento libri. Purché si abbiano i chakra aperti. Al secondo posto Santa Sofia. È bellissima, commovente, straziante. Oggi, la chiesa della Divina Sapienza, una delle maggiori meraviglie architettoniche del mondo, è solo un museo, ma è viva. Le sue pietre raccontano, parlano di cavalieri crociati e sultani, di guerre e terremoti, di storie che la luce esalta. Al terzo posto la meravigliosa Cisterna Basilica, un magico luogo sotterraneo invaso dalle acque in cui si passeggia su passerelle aeree avvinti da giochi di luce misterici. Vi fu girato un film della serie di James Bond, l’agente 007. Come non rimarcare che Istanbul, capolinea dl mitico Orient Express, è uno scenario ideale delle spy-stories? Al quarto posto il Museo Archeologico. È ciò che non ti aspetti. Le sue splendide collezioni abbracciano 5.000 anni di storia e costituiscono una panacea per lo spirito e la mente abbruttiti dallo squallore dei tempi presenti. Poi, in ordine sparso, il Gran Bazar, la Moschea di Solimano, l’Ippodromo bizantino di cui poco resta, il bazar delle spezie, San Salvatore in Chora e infine le mura di Teodosio. Tante attrazioni ben meritano una visita. 

Un’ultima considerazione. Come ha scritto Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura, “Istanbul non porta la tristezza come una malattia temporanea, oppure un dolore di cui liberarsi, ma come una scelta”. È facile che il turista sensibile colga questa tristezza e paradossalmente da essa ne tragga beneficio, giacché l’inatteso ripiegarsi nell’interiorità più che l’aprirsi al mondo esterno rende il viaggio a Istanbul una strenna per lo spirito di cui fare tesoro.


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