Istat, nel 2012 in Italia calo di separazioni e divorzi. I matrimoni più recenti durano meno

Da Stivalepensante @StivalePensante

L’Istat ha presentato questa mattina il rapporto sulle separazioni ed i divorzi in Italia nel 2012. Sia gli uni che gli altri sono in calo rispetto all’anno analizzato in precedenza. La durata media del matrimonio è pari a 16 anni per le separazioni, mentre 19 per i divorzi. La stabilità dei legami è dura maggiormente se i matrimoni sono celebrati in chiesa. Ad un alto livello d’istruzione corrisponde un maggior numero di separazioni e divorzi, con una diminuzione, però, del rito giudiziale. Ecco tutti gli altri dati della ricerca.

Dati assoluti per matrimoni, divorzi e separazioni (istat.it)

Si arresta la crescita dell’instabilità coniugale. Nel 2012 le separazioni sono state 88.288 e i divorzi 51.319. In un contesto in cui i matrimoni diminuiscono, rispetto al 1995 le separazioni sono aumentate del 68,8% e i divorzi sono quasi raddoppiati. Questo trend di crescita sembra tuttavia registrare una battuta d’arresto negli anni recenti. Nel 2012, infatti, per la prima volta le separazioni diminuiscono (-0,6%) mentre i divorzi già da qualche anno stanno registrando un calo (-5,8% in tre anni). In aggiunta a questa tendenza di fondo, negli ultimi anni si sta intensificando il ricorso da parte dei cittadini italiani allo scioglimento della propria unione coniugale in altri paesi dell’Unione europea, riducendo così i tempi (e generalmente anche i costi) per l’ottenimento del divorzio e senza necessità di “passare” per la separazione. Nel nostro Paese, per i divorzi concessi nel 2012 l’intervallo di tempo intercorso tra la separazione legale e la successiva domanda di divorzio è stato pari o inferiore a cinque anni nel 62,3% dei casi. In altri paesi europei, invece, la tempistica è molto più rapida: includendo l’intero iter  amministrativo e burocratico, la sentenza di divorzio si ottiene in circa sei o sette mesi. Uno di questi paesi è la Spagna, dove i divorzi che hanno riguardato cittadini italiani sono stati quasi 500 nel 2012 e circa 2.000 nell’ultimo quinquennio. Per ottenere una misura efficace della propensione alla rottura dell’unione coniugale occorre rapportare le separazioni o i divorzi registrati in un anno di calendario all’ammontare iniziale dei matrimoni della coorte di riferimento (anno in cui si sono celebrate le nozze). A partire dalla metà degli anni ‘90 questi indicatori fanno registrare una progressiva crescita della propensione a interrompere una unione coniugale: nel 1995 si verificavano in media circa 158 separazioni e 80 divorzi ogni 1.000 matrimoni, nel 2012 le separazioni sono 311 ed i divorzi 174. Tuttavia, anche in questo caso si nota un arresto nella crescita della propensione a separarsi e un’inversione di tendenza in quella a divorziare rispetto al 2011.

Separazioni più frequenti al Nord, ma l’incremento è maggiore al Sud. Per l’analisi della geografia e delle principali caratteristiche dell’instabilità coniugale è opportuno fare riferimento alle separazioni legali, le quali rappresentano in Italia l’evento più esplicativo del fenomeno dello scioglimento delle unioni coniugali considerando che non tutte le separazioni legali si convertono successivamente in divorzi. A titolo di esempio si consideri che su 100 separazioni pronunciate in Italia nel 1998, poco più di 60 sono giunte al divorzio nel decennio successivo. Il fenomeno dell’instabilità coniugale presenta ancora oggi una distribuzione non omogenea sul territorio. A livello di ripartizioni nel 2012 si va da un minimo di 245,8 separazioni per 1.000 matrimoni al Sud, ad un massimo di 371,9 nel Nord-ovest). I cartogrammi seguenti consentono di apprezzare l’evoluzione del fenomeno a livello regionale confrontando i tassi di separazione totale del 2012 con quelli del 1995 (Figura 3). Nel 1995 solo in Valle d’Aosta si registravano più di 300 separazioni per 1.000 matrimoni, mentre nel 2012 si collocano al di sopra di questa soglia quasi tutte le regioni del Centro-Nord (con l’eccezione del Veneto, del Trentino-Alto Adige e delle Marche). Gli incrementi più consistenti, però, si sono osservati nel Mezzogiorno, dove i valori sono più che raddoppiati (ad esempio, si è passati da 70,1 a 270,5 separazioni per 1.000 matrimoni in Campania e da 95,3 a 318,1 in Sardegna). Le regioni del Nord e del Centro – che partivano da livelli sensibilmente più elevati – hanno fatto registrare, tra nello stesso periodo, un incremento più contenuto. L’unica eccezione è rappresentata dall’Umbria, dove il valore del tasso è cresciuto di quasi tre volte.

Il numero medio di separazione per 1000 matrimoni. Le differenze a livello regionale tra il 1985 ed il 2012 (istat.it)

I matrimoni più recenti durano sempre meno…  Per una corretta interpretazione di questi dati si deve considerare che le separazioni registrate in un anno di calendario corrispondono a diverse durate di matrimonio e sono il risultato del comportamento di coppie che si sono sposate in anni diversi (coorti di matrimoni). Per capire come cambia la propensione a sciogliere le unioni in relazione alla durata del matrimonio occorre spostare l’ottica di analisi dall’anno di rottura a quello di inizio dell’unione, considerando la quota di matrimoni sopravviventi alle diverse durate per alcune coorti di matrimonio. Dopo il fatidico settimo anno di matrimonio sono sopravvissute 955 nozze su 1.000 celebrate nel 1985, 926 su 1.000 del 1995 e 917 su 1.000 del 2005; in altri termini le unioni interrotte da una separazione sono quasi raddoppiate, passando dal 4,5% della coorte di matrimonio del 1985 al 9,3% osservato per la coorte del 2005.

… ma quelli religiosi sembrano più stabili. Questi valori osservati sul totale dei matrimoni celebrati nei singoli anni variano molto a seconda del rito di celebrazione del matrimonio. Mettendo a confronto i matrimoni del 1995 con quelli del 2005 si osserva come la propensione a separarsi nei matrimoni celebrati con il rito religioso sia molto inferiore e molto più stabile nel tempo rispetto a quella nelle nozze civili. Dopo sette anni i matrimoni religiosi sopravviventi sono praticamente gli stessi per le due coorti di matrimonio considerate (rispettivamente 933 e 935 su 1.000). I matrimoni civili sopravviventi scendono a 897 per la coorte del 1995 e a 880 per quella del 2005.

La crisi coniugale colpisce i quarantenni. L’età media alla separazione è di circa 47 anni per i mariti e di 44 per le mogli; in caso di divorzio raggiunge, rispettivamente, 49 e 46 anni. Questi valori sono aumentati negli anni per effetto della posticipazione delle nozze in età più mature e per la crescita delle separazioni con almeno uno sposo ultrasessantenne. Analizzando la distribuzione per età si nota come la classe più numerosa sia quella tra i 40 e i 44 anni per le mogli (19.036 separazioni, il 21,6% del totale) mentre per i mariti la 45-49 (18.461 pari al 20,9%). Nel 2000, invece, il maggior numero delle separazioni ricadeva sia per i mariti sia per le mogli nella classe 35-39. Questo innalzamento dell’età alla separazione è il risultato della sempre maggiore propensione allo scioglimento delle unioni di lunga durata, ma soprattutto di un processo di invecchiamento complessivo della popolazione dei coniugati, dovuto alla posticipazione del matrimonio. La drastica diminuzione delle separazioni sotto i 30 anni (sia per gli uomini che per le donne), ad esempio, è la naturale conseguenza della riduzione dei matrimoni nella stessa fascia di età: poco più di un matrimonio su quattro vede attualmente entrambi gli sposi sotto i 30 anni.

(manupproject.com.au)

Più separati tra i coniugi con titoli di studio elevati. Tra i separati del 2012, il 39,0% dei mariti ha, come titolo di studio più elevato, il diploma di scuola media inferiore, il 41,0% quello di scuola media superiore; fra le mogli il 44,3% ha un titolo di scuola media superiore e il 33,9% uno di scuola media inferiore. Il 16,0% delle mogli possiede un titolo universitario, contro il 13,5% dei mariti. Tale distribuzione è il risultato, in parte, del progressivo aumento del livello di istruzione della popolazione generale e, quindi, anche di quella dei coniugati. Se si rapporta il numero di separati per sesso e titolo di studio alla popolazione con lo stesso titolo si ottiene un quoziente che misura la propensione a separarsi per livello di istruzione. Tale propensione è tendenzialmente più elevata per i titoli di studio più alti; ha registrato un aumento a partire dagli anni ‘90 per poi stabilizzarsi nell’ultimo decennio. Si consideri che nel 2012 si sono registrate 4,7 separazioni per 1.000 uomini tra i 15 e i 64 anni che possiedono un alto livello di istruzione (laurea o altro titolo universitario) e solo 2,8 per coloro che hanno al massimo la licenza elementare contro un dato medio pari a 4,1 separazioni per 1.000 uomini della stessa età.

Andamento abbastanza simile si riscontra anche per le donne. Le mogli con un titolo di studio alto (titolo universitario) mostrano una maggiore propensione alla separazione (4,5 per 1.000 contro un valore del 2,0 per 1.000 registrato tra le donne che hanno al massimo la licenza elementare). La minore diffusione delle separazioni nel segmento della popolazione con il livello di istruzione più basso contribuisce a mantenere bassi i tassi di instabilità complessivi rispetto alla maggior parte dei paesi europei, dove le persone con un titolo di studio non elevato si rivelano, invece, maggiormente a rischio di rompere il proprio matrimonio. Analizzando la distribuzione congiunta per titolo di studio dei separati, si osserva una prevalenza di coppie con lo stesso livello di istruzione (sono il 60,3% nel 2012). Questa quota, abbastanza stabile nel tempo, dipende in larga misura dalla stessa omogamia che caratterizza gli sposi al momento dell’unione matrimoniale (nel 2012 sono il 67,9%)

La tipologia di procedimento scelta in prevalenza dai coniugi è quella consensuale. La tipologia di procedimento prevalentemente scelta dai coniugi è quella consensuale: nel 2012 si sono chiuse con questa modalità l’85,4% delle separazioni e il 77,4% dei divorzi. Ma la litigiosità tra le coppie che decidono di porre fine alla loro unione matrimoniale si differenzia abbastanza sul territorio. Se al Centro poco più di 1 separazione su 10 si chiude con rito giudiziale (precisamente l’11,9%), questa proporzione sale a 1 su 5 per le separazioni nelle Isole (il 20,3%) e addirittura a 1 su 3 per i divorzi in tutto il Mezzogiorno (33,4%).

Con l’aumentare del livello di istruzione diminuisce il ricorso al rito giudiziale. Se a livello complessivo, infatti, il procedimento giudiziale viene scelto nel 14,6% di tutte le separazioni, tale quota sale al 16,5% nel caso in cui il marito o la moglie abbiano al massimo la licenza media mentre scende all’11% quando la moglie ha un titolo universitario (12,7% se il titolo universitario lo ha il marito). Considerando congiuntamente il livello di istruzione della coppia, la maggiore variabilità nel ricorso al rito giudiziale si osserva quando la moglie ha un titolo di studio basso: tale quota passa, infatti, dal 26,3% quando è in coppia con un marito con livello alto, al 16,3% quando il titolo del marito è basso. Le percentuali più esigue si registrano nei casi in cui a un titolo di studio alto della moglie corrisponde un titolo alto o medio del marito (rispettivamente 10,9% e 10,5%).

Le separazioni ed i divorzi con figli coinvolti. Il 73,3% delle separazioni e il 66,2% dei divorzi hanno riguardato coppie con figli avuti durante il matrimonio. L’89,9% delle separazioni di coppie con figli ha previsto l’affido condiviso, modalità ampiamente prevalente dopo l’introduzione della Legge 54/2006.

I contributi mensili e l’assegnazione della casa. Nel 20,3% delle separazioni è previsto un assegno mensile per il coniuge (nel 98,4% dei casi corrisposto dal marito). Tale quota è più alta al Sud e nelle Isole (rispettivamente 25% e 24%). Nel 58,2% delle separazioni la casa è assegnata alla moglie, nel 20,4% al marito mentre nel 18,4% dei casi si prevedono due abitazioni autonome e distinte, ma diverse da quella coniugale.

(Fonte: Istat.it)


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