Dott. Charcot con pazienti isteriche.
E’ difficile parlare di isteria per diversi i motivi. Il termine connota un disturbo di personalità che molto spesso viene erroneamente usato come epiteto, offesa. All’affermazione ‘sei una donna isterica’, diamo il significato: sei una donna che fa delle scenate inutili ed eccessive, ” non sei equilibrata’. Nel comune sentire, l’ isteria è solo femminile. In fondo isteria deriva dalla parola greca ‘ystera’, cioè, utero. I maschietti hanno quindi ben motivo per “buttare il sasso”, non hanno certamente l’utero. Ma clinicamente non è vero, anche loro hanno sofferto e possono soffrire di isteria.
Isteria, un disturbo fuori moda o, non riconosciuto
La nosografia, cioè lo studio descrittivo di questo disturbo, è cambiata nei tempi e si è ulteriormente confusa, soprattutto da quando è uscito il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi mentali, (DSM).
In realtà l’ isteria è una nevrosi molto complessa con differenti quadri clinici. Non mi inoltrerò in una disertazione clinica dei vari tipi di isteria. Mi interessa capirne l’essenza e cercare di rispondere alla domanda: ma esiste ancora l’ isteria?
Ci sono alcune costanti che LA caratterizzano , tra questi, una sintomatologia imponente alla quale non corrisponde una base organica. I sintomi sembrano avere una funzione psicologica e l’individuo esprime il suo disagio psichico ‘convertendolo’ sul fisico. Infatti, nella vecchia terminologia si parlava dell’isteria come una nevrosi di conversione. Cioè, il disagio psichico, invece di rimanere a livello mentale ed essere affrontato ed elaborato a quel livello, viene, in maniera totalmente inconscia, convertito e trasferito sul fisico.
Storicamente se parliamo di isteria pensiamo subito ai classici casi dell’inizio ‘900 studiati da Freud ma ancor prima da Jean-Martin Charcot all’ospedale psichiatrico della Salpêtrière di Parigi. Charcot era il primario del reparto delle convulsionarie, cioè delle donne che soffrivano di convulsioni. Egli ebbe subito una intuizione brillante. Divise il reparto in due grandi categorie, da una parte coloro che soffrivano di epilessia, dall’altra le isteriche. Implicitamente ammetteva che chi soffriva di epilessia aveva un problema neurologico, le isteriche psicologico.
In realtà le persone che lui vedeva e che soffrivano di isteria, non solo potevano soffrire di convulsioni, (le famose ‘tarantate’ del’900, famose soprattutto nel sud dell’Italia), ma potevano essere anche “paralizzate”, in carrozzella, con gli arti superiori bloccati, finanche cieche. La terapia che Charcot praticava era l’ipnosi. I risultati erano strabilianti: paralitici che camminavano, ciechi che vedevano e le convulsioni sparivano.
C’era un problema però, di cui era consapevole anche Freud. Gli effetti della terapia ipnotica duravano poco e, in un arco di tempo relativamente breve, queste pazienti tornavano sulla carrozzina, a non vederci o a convulsionare. Con un’aggravante, le pazienti si sentivano in colpa e pensavano: “ sono stata toccate dal miracolo e sono ancora ripiombata nel mio disagio. E’ colpa mia”. Per questo motivo Freud aveva abbandonato la pratica della ipnosi.
Cos’è l’ isteria?
Per la psichiatria la persona che soffre di isteria è caratterizzata come scriveva K. Jaspers “dalla tendenza ad apparire piuttosto che a essere”. (Da ‘Psicopatologia Generale’ 1964). Jervis sosteneva che nell’isteria è sempre presente un tratto dissociativo della personalità. Egli descriveva la dissociazione isterica, come una costante del disturbo stesso. Dal (Manuale critico di psichiatria) 1975
Direi quindi che sono due le caratteristiche presenti nell’isteria. La prima la conversione in organo del disturbo, ‘sine materia’ ovvero ‘senza causa’. Sine materia è una locuzione dal latino utilizzata per indicare patologie nelle quali non si riscontrano alterazioni morfologiche o strutturali come causa della stessa patologia. La seconda costante nell’isteria è un meccanismo di dissociazione della personalità.
E’ chiaro che, come per tutti i disturbi psicologici, ciò che rende più o meno grave il disturbo non è la presenza o meno di questi meccanismi nella struttura mentale di quell’individuo ma, la loro pervasività sull’Io. Ad esempio, quanto la persona è comunque capace di avere rapporti affettivi maturi, e quanto il meccanismo isterico incide o meno nei rapporti sociali e lavorativi.
Secondo Freud la causa dell’ isteria, sia per gli uomini che per le donne, era da riscontrarsi nella difficoltà a vivere la propria libido. Per la verità non solo la libido legata ai genitali ma anche quella delle tappe precedenti, orale e anale. Tanto più il blocco nello sviluppo e nella soddisfazione avviene precocemente, tanto più la nevrosi è grave e difficile da superare. Quindi problemi legati al piacere orale, al cibo (le dipendenze) o anali (le ossessioni), sono sicuramente più difficili da superare rispetto a quelli edipici.
Ho avuto in terapia una paziente, chiamiamola Teresa, figlia unica di una madre gravemente isterica, dove i meccanismi dissociativi e mitomani erano agiti al massimo. La sessualità per la madre di Teresa era totalmente negata. Teresa per difesa non poté far altro che “introiettare la madre” dentro di sé, acquisendone alcuni caratteri. Ad esempio, la negazione per ogni forma di soddisfazione libidica portando al massimo il meccanismo di scissione interna. Teresa non sentiva letteralmente il suo corpo. Ma, da un punto di vista comportamentale, era antitetica alla madre. Non poteva rischiare di scontrarsi con lei. La madre era istrionica, fortemente seduttiva anche se in maniera afinalistica, mentre Teresa era riservata, schiva e per niente competitiva. Teresa si laureò in matematica ma accettò immediatamente di non insegnare e dimenticare la sua laurea nel cassetto. Il risultato fu che la madre continuò a millantare una laurea in medicina, (aveva fatto la terza media). Teresa, al primo incontro, alla domanda che lavoro facesse rispose, la casalinga e non soggiunse altro.
Ma ci chiediamo, ora che la sessualità non è certamente più quella dell’inizio ‘900, esiste ancora l’ isteria, come si esprime e soprattutto che significato clinico terapeutico hanno queste nuove manifestazioni?
Riconosco che sono domande un po’ tautologiche ma sto tentando di far passare il messaggio: l’ isteria è fra noi.
A me non interessa tanto la nosografia e tanto meno etichettare questo o quel paziente come isterico. Capisco che il meccanismo isterico è misconosciuto, negato! Molto spesso il paziente viene curato per il suo sintomo e nessuno si interessa dei meccanismi sottostanti.
Per Charcot e anche per Freud che venivano in contatto con sintomatologie imponenti, paralisi, cecità, convulsioni e altro, quando era evidente una situazione “sine materia”, era facile fare diagnosi di isteria. Ma oggi che queste manifestazioni eclatanti non ci sono più, come si manifesta l’ isteria? E, se la conversione in organo diventasse una tachicardia parossistica, o un bruciore di stomaco, una crisi ipertensiva essenziale o una attacco di panico?
Noi abbiamo strutturato tutta una serie di patologie che sono solo una descrizione dei sintomi e quali cause sappiamo poco o niente. Curiamo queste sofferenze fondamentalmente solo con dei sintomatici.
Ma non sto dicendo che tutte le malattie abbiano una base isterica e tanto meno psicosomatica. Dico solo che la medicina dovrebbe avere una sensibilità un po’ più ampia del paziente. Fermandosi a curare l’organo si rischia di mettere lo smalto alle unghie mentre la mano è paralizzata. Provo sempre un certo fastidio quando si cerca di teorizzare fino all’ossessione che gli attacchi di panico sono dovuti a questo o quel problema neurologico e poi di fatto risponde sempre e solo con i soliti antidepressivi, nascondendo, e a volte negando, una forte componente psicologica. Ho sempre l’impressione che in questo modo si bendi un bubbone per non vederlo. Il compito del medico è anzitutto, pulire, togliere il pus. ‘ Ubi pus ibi evacua’ dicevano i latini.
Certo, il lavoro terapeutico che punti a recuperare una sanità totale del paziente, è un lavoro complesso, faticoso e forse anche un po’ utopico. Ma, la medicina non può continuare a vedere l’uomo in maniera dicotomica, mente e corpo e ancor peggio , spezzettare il corpo in tanti organi come questi lavorassero uno separato dall’altro. Il compito del medico, qualunque sia la sua specialità, è partire dal sintomo per arrivare all’organo e giungere al tutto compreso. la psiche.
Curare un uomo senza considerare l’aspetto psicologico è privarlo della sua essenza, l’anima.
Chiaramente il medico non deve operare da solo, ma coordinare, cooperare con i singoli specialisti che si prenderanno cura di quel paziente.
Nella terapia delle depressioni ad esempio ma anche negli gli attacchi di panico, è ormai accettato da tutti che per questi disturbi è impossibile pensare ad un intervento di un solo specialista. Sono disagi polimorfi che richiedono sempre la sinergia di più specialisti che lavorano con un presupposto: arrivare all’integrazione psicofisica del paziente, al tutto in equilibrio.
Allora, forse, non avremo più pazienti che “urlano” nel corpo il disagio della dissociazione di chi viene curato a pezzi e l’ isteria sarà finalmente debellata
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