La paura più grossa quando qualcosa di nuovo impatta nel cinema di genere è la totale mancanza di pietà nel prenderne gli aspetti non per forza più innovativi, ma quelli che alimentano meglio la macchina delle chiacchiere, e riutilizzarli senza nemmeno dare il tempo ai fan di assimilare idee e concetti e respirarli appieno. Nello stesso modo in cui è accaduto per Grindhouse e tutta la dissenteria evacuata in seguito, o per i mockumentary e le VHS doppiate al volo, l’effetto nostalgico innestato dal forte gusto retrò di prodotti come il bel Maniac, il piacevole Cold in July o il minuscolo Almost Human, così come aveva fatto in precedenza seppur in misura minore e diversa The House of the Devil, in questi tempi del fagocitare senza masticare diventa automaticamente una moda, o un qualche tipo di sottogenere, da voler a tutti i costi copiare o in cui inserirsi alla svelta, quando tutto è ancora caldo, il pubblico è intontito e non c’è troppo rischio di apparire derivativi come lo può essere, che so, una commedia con gli zombie adesso, quando il genere è saturo, la richiesta è ormai nulla e appena se ne annuncia una partono i lanci di sassi (o almeno spero, io ho sempre il mio bel sasso qui pronto).
Il timore nasce ovviamente da antenne sempre troppo alte ed eccessivamente sensibili, a volte mi trovo a gongolare di una soddisfazione che non è mai pura come dovrebbe essere, è come se il piacere di essere colpito si fermasse una tacca prima del dovuto perché si fiuta nell’aria quella valanga imminente e puzzolente di chi copierà, si adagerà, prenderà in prestito senza chiedere il permesso e annullerà anche con le migliori intenzioni il bello che possono riservare certe viscere del cinema del terrore.Immagino questa sia una paura tutta mia (se non lo è ditemelo che mi rallegrate un poco, eh!) e quindi lasciate che perda un po’ le redini e spari qualche parolone grosso perché i cento minuti di retrocinema di It follows non sono solo mezzo per rievocare atmosfere andate perdute, è qualcosa che paradossalmente corazza e irrobustisce quello può diventare un nuovo tassello fondamentale dell’horror odierno.
Non sono infatti elementi come il richiamo allo slasher, un cast composto interamente da teenager o dei synth che spargono tenebre come non si sentiva da anni a rimbalzare slealmente da tutte le parti, lo stesso David Robert Michtell è bravo a metterli in una sorta di secondo piano evitando per prima cosa di dare un’ambientazione passata alla vicenda: siamo nel presente e guardiamo al futuro, deal with it, ogni cenno al passato è puro, bellissimo per carità, accessorio.E questo perché It follows espelle un orrore furioso e terremotante, è qualcosa che, frantumando le barriere edificate in questi anni, apre nuove porte e conduce a livelli ancora inesplorati pur rimanendo sottile, intelligente e molto, molto di classe.Non si tratta quindi di una grossolana masturbazione, non è neanche un qualche tipo di divertimento per spargere più sangue possibile ricordando i vecchi tempi, qui non si ride, non si scherza e non c’è nemmeno il tempo per guardarsi attorno e farsi un’idea di quello che succede: Mitchell è serio, deciso, consapevole dello strumento che utilizza e del materiale che modella.
Ricorrere ai synth spaziali e obliqui configura un clima asfissiante dove inquietudine e tensione sono le molecole che formano l’unico ossigeno da respirare, e Rich Vreeland tocca tasti di squisita paura evitando con gran professionalità una più comoda colonna sonora amarcord. Avere solo ragazzi come protagonisti inchioda il quadro generazionale sottolineando con un pennarello dalla punta gigante due sottotesti fondamentali quanto delicati: il sesso e la famiglia (e non a caso i nostri vivono in un quartiere di periferia, sporco e prossimo a venire conquistato dal marcio che avanza).E la bestia mutaforma che segue inesorabilmente chi viene colpito dalla maledizione è un vero e proprio essere mitologico di un’importanza figurativa pari ai vari Freddy, Michael e Jason, e non perché sia nato un villain dal carisma impareggiabile (che già in vari hanno piacevolmente resuscitato come il Victor Crowley dei tre Hatchet) a cui far sbudellare decine di vittime in decine di film che ne alimentano la fama, ma per la fermezza con cui questo spietato seguitore incarna fisicamente paure e ansie trasformandosi in un nuovo, basilare metodo del terrore.
Mitchell aggiorna l’approccio horror con poche trovate, idee semplici ma folgoranti in grado di reinventare, stupire e colpire, e l’angoscia inesauribile è generata da un ignoto che insegue senza motivazioni, perché questa è la sua natura, perché non ha volontà e non può comportarsi in altro modo, perché è spinto solo da questa sinapsi essenziale. L’It follows non ha intelletto, non ha furbizia e non ha corpo fisico, può essere chiunque in qualsiasi momento, e ciò che più annichilisce, e che a me ha lasciato devastato in più di un’occasione, è l’impossibilità con cui possa essere sconfitto: non ci sono trabocchetti, trucchi, trovate e strategie, se te la becchi sei spacciato e non puoi fare altro che correre.
Ed è proprio sulla fuga che Mitchell apre uno squarcio su cui sarebbe stato molto più semplice, soprattutto per certa produzione e conseguente pubblico, andarci giù pesante: Jay e la sua cricca, amici da una vita, tipici adolescenti ai quali viene per fortuna negata la metastasi cerebrale fatta di schiamazzi festaioli e urla continue, di fronte a un orrore che nasce in seguito al sesso (e senza tanto far considerazioni sui chissà quali simbolismi sulle malattie infettive, non credo sia questo ciò di cui vuol parlare Mitchell), non seguono la strada più semplice e sbrigativa dell’andare con il primo che capita per sbarazzarsi della bestia che li insegue, preferiscono stringersi come anelli di una catena, farsi forza l’un l’altro in un’espressione di amicizia che raramente ho visto così sincera e credibile, e combattere ciò che non può perdere. Al resto pensano sequenze di meravigliosa tensione come la sosta in spiaggia o il lungo duello finale in piscina, mostrano un autore compiuto che al secondo film ha già raggiunto traguardi inarrivabili, piantando in un terreno sempre meno fertile semi che lasciano senza fiato per la bellezza dei loro fiori. Indispensabile.