Dopo la prima notte d'amore consumata sull'automobile del suo occasionale fidanzato, la 19enne Jay si ritrova legata su una sedia rotelle in un luogo desolato che sembra il parcheggio di una fabbrica dismessa. Il ragazzo le spiega con calma che con quel primo rapporto sessuale egli ha in verità generato un vero e proprio Calvario che Jay dovrà conoscere, giorno dopo giorno: si tratta di una specie di subdola malattia, sessualmente trasmessa. Solo che non produce sintomi fisici, bensì l'evocazione di una spaventosa entità che la seguirà ovunque, perseguitandola attraverso visioni di persone sconosciute: Queste "persone" cercheranno di raggiungerla per ucciderla. Se Jay non riuscirà a trasmettere lei stessa questa "malattia", attraverso un nuovo amplesso, rischierà la morte. Intanto Jay comincia a vedere strani personaggi muoversi verso di lei, ad esempio una vecchia dal volto terreo, in vestaglia, che viene a visitarla mentre sta seguendo una lezione...
Uno dei principali meriti di "It Follows", ultimo, attesissimo, osannato, iper-hyped film di David Robert Mitchell, consiste essenzialmente nel ridisegnare i confini, la forma, la struttura identitaria potremmo dire, del teen slasher classicamente inteso. Mitchell compone questo nuovo disegno rimescolando completamente tutte le carte, mischiando tutti quanti i colori della tavolozza, frammentando il villain in molti villain che poi sono "uno, nessuno, centomila". Non abbiamo cioè a che fare con nessun Michael Myers di sorta, tuttavia il clima della desertica cittadina in cui abita Jay potrebbe essere la stessa in cui Myers ha operato nei film di Carpenter insieme a Jamie Lee Curtis alla fine degli anni '70. La colonna sonora sembra infatti presa da un film di quel tipo (ma ne parleremo della colonna sonora, eccome se ne parleremo); tutto l'allestimento sembra fatto regredire con apposita mano da Mitchell proprio in quel periodo; tutti i movimenti di macchina sono ciò che di più lontano possiamo trovare rispetto ai movimenti ipomaniacali che siamo abituati a vedere oggigiorno in un qualsiasi filmetto hollywoodiano sedicente horror; tutto il mood solitario, inverosimilmente, tragicamente autisticoide del gruppo di adolescenti che ci viene presentato, è invece ciò che di più vicino possiamo trovare in uno slasher classicamente inteso, a partire da "Venerdì 13" (Sean S. Cunnigham, 1980)per passare al "My Bloody Valentine" di G.Mihalka, 1981, per procedere ai vari, già citati, "Halloween" , per poi giungere almeno al primo "Nightmare on Elm Street" (1984) di Wes Craven, notoriamente innovatore del genere. Tutto questo "citato", e molto altro ancora (il film l'ho visto due volte e sono sicuro che ci troverò altre cose dopo altre visioni) si trova e si ritrova in "It Follows", ma come se fosse fatto risplendere di nuova luce, di altri contrasti, di più profonde, più sofferte sfumature.
"It Follows" sembra infatti più un'opera di restauro di tutto il Cinema Perturbante teen-slasher visto fin qui da noi tutti, ma un restauro fatto da una mano quasi divina coadiuvata da un direttore della fotografia altrettanto ispirato divinamente, Mike Gioulakis, che sa far vibrare le foglie degli aceri come fossero stelle in un firmamento australiano, e lui ci porta in Australia con la sua macchina fotografica e per questo motivo siamo commossi davvero, e davvero lo ringraziamo. Gioulakis è un artigiano davanti al quale togliere tanto di cappello, e per fare ciò basterebbe solo osservare bene la sequenza che dall'interno buio e polveroso del capanno sulla spiaggia, ci porta fuori, in quel sole abbagliante, in quel cielo azzurro punteggiato da tranquille nuvolette bianche, mentre la ragazza morta di bianco vestita segue inesorabile Jay verso la sua automobile. Come non ricordare, dopo questa sequenza, i fotografi che hanno lavorato con Terrence Malick,? (Penso a Jack Toll, ma soprattutto al grandioso, mitico Tak Fujimoto, oppure a Stevan Larner e Brian Probyn).
E' infatti proprio a causa della fotografia di Gioulakis che il film di Mitchell mi ha fatto pensare a "La rabbia giovane" (1973) di Malick, come se tuttavia "It Follows" possa essere vista come un'opera speculare in negativo a quella di Malick. Là c'era "rabbia giovane", quindi ancora ribellione, spirito incendiario, esprit iconoclasta, "sogno non sognato" che cerca una tela su cui essere dipinto, anche con violenza (Ogden, 2008) . Qui, al contrario siamo di fronte allo spegnimento di ogni fuoco. Siamo di fronte ad oggetti/soggetti carbonizzati i cui resti svolazzano nell'aria in un cielo vuoto. Magnifico, straordinario, a questo proposito il primo piano di Jay allo specchio mentre si trucca per uscire con il suo primo ragazzo: uno sguardo pieno di malinconia, ma ancora ingenuamente velato dall'estrema speranza nella realizzazione, appunto, di quel suo "sogno non sognato". Il sogno di avere per sè il suo "ragazzo", e basta sentire come pronuncia, molte, molte volte quella parola "guy". Sembra una parola che la riempie tutta, con cui si coccola, si consola, nella quale riversa tutta la sua anima di adolescente senza futuro.
E infatti il futuro senza orizzonte di senso che Jay abita, viene ben presto a chiedere il conto: "it follows". E' il futuro, vuoto, o per meglio dire "pieno" solo di senso di morte e persecuzione, che "ti segue". E' un futuro che così appare perché le generazioni precedenti hanno smesso di costruirlo, di coltivarlo quel futuro. Ed è questo il futuro che gli adulti presentano davanti agli occhi ancora pieni di speranza dei loro figli: un domani angusto, corroso, un non-luogo fatto di marciapiedi grigi pieni di crepe nel cemento che nessuno aggiusta, di erbacce che nessuno taglia, di tempo sospeso come quello di Godot. E' evidente che il tradimento di ogni aspettativa, incarnata emblematicamente dal desiderio di Jay, da parte delle generazioni precedenti, si trasforma così in persecuzione. Guarda caso una persecuzione simbolizzata dal contatto sessuale, che è poi il modo con cui le generazioni continuano a perpetuare la loro storia, generando ancora, sempre figli, cui proporre altri vuoti sogni di futuro. L'atto sessuale, in questo film non produce prole, ma mostri che uccidono coloro che si sono avvicinati a quel tipo di contatto, potenzialmente generativo. L'adolescenza è un processo, si suol dire in Psicoanalisi di "soggettivazione", una soggettivazione che ha bisogno di un Altro, di un Testimone, per potersi dare (spesso questo testimone è uno Psicoanalista, un Terapeuta, molto più che un genitore, a volte): il processo di soggettivazione ha la mira di arrivare ad un Soggetto. Ma - questa sembra essere la radicale domanda che ci pone Mitchell col suo film - qual'è il posto del Soggetto in questo mondo? Qual'è il mondo che consegniamo alle nuove generazioni, quali i valori, quale l'Ordine Affettivo, quale ambiente, quale qualità di vita e di relazione?
Basterebbe dire queste poche cose che ho detto, per rendere "It Follows" un film che è poco definire "degno di essere visto". In realtà il film parla di molte cose, anche eminentemente sul piano del puro Perturbante, quindi non mi fermo qui, anzi andrò avanti a tediarvi ancora per molto, ahimè. Perché questo film si merita molte parole.
Intanto apriamo una parentesi - come preannunciato - sulla colonna sonora dei Disasterpiece, che ritengo la vera protagonista indiscussa di questa pellicola. Che un Original Soundtrack abbia un suo peso in un film lo sanno anche i sassi. Tuttavia Rich Vreeland, musicista synth è uno che ha molto pensato, elaborato, sedimentato le musiche richiestegli da Mitchell (come potete leggere qui sul suo esaurientissimo blog: Disasterpiece Blog). Sentite qua, ad esempio: "My inspiration comes from everything. I have a strong desire for each of my projects to be different from the last. The variety keeps me creative. I relish the challenge and the opportunity to strike out in new directions. My exposure to horror was minimal. I don’t think I could name more than five horror films that I’ve seen in my entire life. Despite that, I had a curiosity about the aesthetic and the form. I wanted to take part in the process".
oppure"We wanted the music to play an active role, as if it was a character. The music demands the attention of the audience in scarier moments. In calmer scenes, I think it helps engage the moviegoer by adding emotional weight. We tried to pick our spots. We always took care to give the film and its dialogue the space it needed.The music tries to build empathy for the characters. They seemed quite real to me already, but I tried to help how I could. In the scarier moments, I was more focused on creating a twisted landscape.I tried to be loud, wild, and unpredictable.For a lot of the cues, I tried to use my synth chops to make weird, dark, obnoxious pieces of music. I find that thru-composing to picture feels natural. I enjoy the freedom it provides in making subtle, time-sensitive adjustments. The elephant in the room for me was the FEZ soundtrack. That music was a direct influence on many of the melodic pieces. I tried to honor those and make David happy while also doing something fresh. It was tough! I think I managed, for the most part.Don’t be afraid to do weird, unorthodox things. Make unpleasant sounds. Timing and dynamics are crucial to the music but also in its correlation to the screen. At some point, the process became more about intuition than anything. I’d watch the same scene over and over and its connotation to me would change. The visceral reaction subsided, and it became more about the intellectual aspect. It becomes a matter of analysis. Why is this scary? What could push that emotion even further?"
Cioè Vreeland sostiene come sue poetica musicale l'idea della colonna sonora come "personaggio", "as it was a character". Il punto è che il nostro Rich realizza davvero questo obiettivo estetico, magari ispirandosi all'anima musicale di Carpenter e ai suoi interessi in materia, ma utilizzandola solo come mero punto di partenza evocativo, e costruendo un'architettura musicale sulla quale si appoggia tutto il tessuto emozionale del film. Fotografia (Gioulakis) e sonoro (Vreeland), diventano quindi due aree centrali, due assi portanti, vera tela e cornice di ottima, ineguagliabile qualità perché il pittore Mitchell possa solo pensare di muovere il suo pennello-macchina da presa lungo il corso di tutta la pellicola. Senza questa tela (fotografia e sonoro) Mitchell sarebbe riuscito a fare un writer painting sul muro di un sottopassaggio ferroviario. Magari gli sarebbe venuto pure bene, ma mai così come gli è venuto. Veniamo ora al Perturbante in quanto tale. Qui Mitchell, ad avviso di chi scrive, avrebbe tranquillamente potuto pigiare l'acceleratore molto ma molto più a fondo, ma non lo ha fatto appositamente: altre sono le sue mire narrativo-visive. Questo credo, tuttavia, possa essere indicato come unico "difetto" del film. Perché, voglio dire, non "spremere" sequenze come quella (geniale!) della spiaggia più a fondo aumentando il dosaggio di adrenalina, proponendo twist più drammatici, ultimativi, spiazzanti? Non avevamo iniziato, sempre in spiaggia con quell'icona sanguinolenta della ragazza dalle gambe orribilmente spezzate all'indietro? (Inquadratura da vedere, rivedere e ancora rivedere perché sembra un quadro di Francis Bacon, e io infatti appenderei quell'inquadratura in qualche museo d'arte moderna, per davvero). Perché quindi non andare avanti su quella linea, cioè non spingersi su un registro più barocco, perverso-polimorfo, ad esempio nella sequenza della morte di Greg? Mitchell, ti chiedo, perché non l'hai fatto? Perché non drammatizzare molto di più la meravigliosa, epocale sequenza finale della piscina, facendola virare su un piano ancor più rosso sangue? Sono tutte, io credo, legittime domande che è giusto porsi. Tuttavia è molto probabile che, come dicevo, le mire estetico-filmiche di Mitchell siano altre. Innanzitutto quella di disegnare un gruppo di adolescenti soli, abbandonati a se stessi, fragilissimi, quasi bambini più che adolescenti in quanto tali, riuniti insieme in una sorta di comunanza auto-consolatoria mentre il Tempo li insegue inesorabile per falciare di netto le loro speranze. In alcuni punti del film infatti questa "ingenuità", sembra ricercata maniacalmente da Mitchell, al punto da fa sembrare Jay e i suoi amici una sorta di gruppetto da cartone animato tipo "Scooby-Doo", una enclave che sta assieme per provare a sconfiggere il mostro di turno. E' un'accentuazione ricercata da Mitchell, che guida un cast perfetto alla bisogna (soprattutto un Keil Gilchrist che nella sequenza finale della passeggiata mano nella mano con Jay sembra un personaggio post-apocalittico, tragico, alla Cormac McCarthy). Ragazzi soli, perseguitati da fantasmi che derivano dall'assenza delle generazioni precedenti, dall'assenza di uno sguardo che li sappia accogliere, che li sappia davvero capire e amare. Dove sono infatti gli adulti in questo film?Gli adulti sono "eccentrici": tutto lo script li pone come in una lontana periferia del soggetto adolescente e delle sue vicissitudini. Si tratta di qualche sparuto poliziotto di colore che trova per caso una borsetta nel luogo dove Jay ha avuto il suo primo rapporto. Si tratta dell'infermiera inquadrata velocemente mentre la nostra eroina è in ospedale con il braccio ingessato. Sono adulti sfocati, lontani, che Mitchell appositamente non inquadra. "It Follows" è un film denso di rimandi ad un Perturbante inteso come sogno sedimentativo ricorrente nel trapasso generazionale che investe l'adolescenza vista in quanto emblema della fragilità dell'essere umano. E' per questo che Mitchell sceglie un'ambientazione nel luogo dell'"antico" filmico perturbante, nel luogo dell'idioma nascente della mitopoiesi horror, luogo del più arcaico teen-slasher, ovviamente, poiché sa che solo quel sottogenere è disseminato di tracce mnestiche preziose per capire (a partire da un passato mai davvero, completamente "pensato", "sognato") il presente in cui versa lo stato mentale e sociale delle nuove generazioni. Tracce mnestiche che hanno bisogno di un "sognatore" (lo spettatore, cioè noi) per essere colte, ripensate e trasformate. Il Cinema, in fondo, ha questa funzione. Il Cinema Perturbante in particolare, come oggetto estetico che pone al centro della sua attenzione l'adolescenza come dimensione-spia dei tempi che viviamo. "It Follows" film da vedere e rivedere, in pensoso, riflessivo, meditativo silenzio.
Regia: David Robert Mitchell Soggetto e Sceneggiatura: David Robert Mitchell Fotografia: Michael Gioulakis Montaggio: Julio C. Perez IV Musiche: Disasterpiece Cast: Maika Monroe, Keir Gilchrist, Daniel Zovatto, Jake Weary, Olivia Luccardi, Lili Sepe Nazione: USA Produzione: Northern Lights Films, Animal Kingdom Durata: 100 min.