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It Follows, le buone idee e i soliti problemi
Creato il 14 luglio 2015 da Frank_romantico @Combinazione_CEra da molto tempo che non mi dedicavo alla visione di una novità cinematografica. Novità per modo di dire, che ormai per me sono nuove anche certe pellicole uscite tra la fine del vecchio e l'inizio del nuovo (2015) anno. Eppure, dicevo, era da mesi che non lo facevo: mettermi a guardare un film "nuovo", magari un horror, alla ricerca delle emozioni perdute. In un certo senso per esorcizzare quella malattia che mi porto appresso da ormai più di cinque mesi e cercare il confronto con quei demoni da cui sto fuggendo da troppo tempo. Non è un caso quindi che il destino (o il caso) mi abbia portato alla visione di un film come It Follows, di David Robert Mitchell (2014). Un lavoro di cui ho sentito parlare più che bene e che aveva quindi alzato l'asticella delle aspettative ad un certo livello, pur nel tentativo di evitare trama e specificità tecniche della pellicola. "E poi tra gli attori c'è Maika Monroe" ho pensato, "ad alzare l'asticella dovrebbe bastare anche solo lei", e quindi mi sono dedicato alla visione di questo horror che ha fatto urlare al miracolo parecchi blogger e giornalisti di settore. E un motivo c'è sempre, quando qualcuno urla al miracolo... oppure no?
Dopo un incontro sessuale, una giovane donna si ritrova afflitta da una maledizione mortale. (da Wikipedia).
Ecco, credo che questa frase basti a riassumere la trama di It Follows, un film che non andrebbe mai raccontato. Nessun film, in un certo senso, andrebbe mai raccontato, ma quello di Mitchell in particolare perché l'esplicazione verbale fa male ad un orrore non tanto visivo quanto suggerito come quello del film in questione. Perché It Follows si basa su un'intuizione straordinaria: caricare l'ordinario di un'attesa (ed ansia) spasmodica fino a che qualunque banalità non diventa raccapricciante all'idea di quel che potrebbe nascondere. Praticamente Mitchell finisce per fare quel che tutti i registi horror contemporanei hanno cercato di fare da un centinaio di film a questa parte: spaventare con l'idea di orrore, quello sottile, invisibile se non agli occhi di chi lo prova. Quella paura che ti spinge a scappar via quando apparentemente non sta succedendo assolutamente nulla. Straordinaria intuizione che da origine alla geniale idea della pellicola, quella di una maledizione trasmissibile "fisicamente", pandemica nel proprio modo di propagarsi, ma soprattutto di un male riconoscibile solo da chi ne è affetto. Praticamente l'incontro perfetto tra l'orrore kinghiano e la sempre attuale paura della malattia.
Peccato che le idee geniali si fermino qui.
Ma andiamo con ordine: quando ti ritrovi di fronte ai primi fotogrammi di It Follows resti così, con la bocca aperta e gli occhi lucciconi. Perché l'inizio è folgorante, senza preamboli, spietato e lineare. Il silenzio, i suoni, le parole. La morte. Un incipit come non me ne capitavano davanti da un po' di tempo a questa parte. Sarà roba di qualche minuto, poi stop ed ecco che si comincia. Siamo più o meno verso la fine degli anni '80, forse all'inizio di quelli '90. No, ci sono gli ebook, siamo quindi ai giorni nostri. Non si capisce. Non ci vengono dati veri e propri riferimenti, quindi lasciamo perdere le coordinate temporali e ci concentriamo su quelle spaziali: sobborghi americani, la classica periferia fatta di prati, siepi e casette, di piscine artigianali nel giardino e auto nel vialetto lavate a mano da giovanotti in canottiera, mentre pudiche ragazze fanno il bagno e gruppetti di amici guardano film in b/n seduti sul divano. L'atmosfera è quella di Stand by Me tagliando per The Girl Next Door eppure, visto il genere, dovrei parlare di John Carpenter e del suo Halloween senza dimenticare di citare Wes Craven e Nightmare. Perché anche in questo caso vere coordinate di tempo non ce ne sono e Mitchell si ispira a quelli che hanno fatto la storia dello slasher moderno. Senza copiare, anzi, facendo sua una lezione iniziata negli anni '70 che raggiunse il suo apice negli anni '80. Solo che 'sto ragazzo di anni ne ha una quarantina e ha sicuramente vissuto tutta l'epoca del teen horror slasheriano dei So cosa hai fatto, Screem (ancora Craven) e compagnia danzante. E ce li mette in mezzo. Già il quadro comincia a deteriorarsi.
Eppure, dicevo, l'inizio è fenomenale, lo stile anche e l'idea geniale: attraverso il sesso un ragazzo di nome Jeff trasmette alla diciannovenne Jay una maledizione, quella di essere seguita da una presenza multiforme che ha come unico scopo quello di ucciderla. Per questo anche Jay dovrà trasmettere la maledizione a qualcuno che, a sua volta, dovrà farlo con qualcun'altro. Perché la maledizione non solo sembrerebbe lenta e inarrestabile, ma soprattutto retroattiva: ucciso l'attuale portatore va a cercare il precedente e così via. Già questa è una novità interessante, la trasmissione come condivisione della malattia/maledizione, più che altro un modo per allontanare il terrore senza per questo liberarsene. Perché gli affetti/infetti, una volta contaminati, non saranno mai più liberi: solo a loro sarà concesso di vedere la cosa (It) in tutte le forme che potrà assumere, condividendo se non un destino di morte, per lo meno un destino di terrore.
Terrore che a quel punto diventa soggettivo anche quando non lo è: l'ordinario che, attraverso il dubbio, il "se", diventa orrore, lo sguardo della camera che si fonde con quello della protagonista o, ancora peggio negli unici momenti di paura vera, con quello dello spettatore che, in questo modo, diviene parte del film. Così dal cinema si passa al metacinema e l'ombra di Michael Myers torna ad aleggiare sulla macchina da presa.
Poi però succede qualcosa. Qualcosa di brutto. Tutto a un tratto quanto di buono visto in It Follows sembra andare nella direzione sbagliata. Perché la parte centrale è un massacro di incongruenze, stupidità e situazioni talmente teen da divenire small. Perché i protagonisti, che neanche sono adolescenti, ce la mettono tutta per essere stupidi. Perché predominante diviene la metafora del sesso = morte, perché ancora una volta, nel 2015, si arriva a voler esorcizzare la modernità. Ma nel 2015 non si può più essere anni '80 o '90. Nel 2015 non puoi fare il verso a Clive Barker e al suo Candyman, al terrore dell'AIDS e del sessualmente trasmissibile, alla droga e al degrado della città/maturità rispetto alla periferia/fanciullezza. Non puoi mettere dei ragazzi evidentemente stupidi (il riferimento all'Idiota è casuale?) in situazioni idiote e farle passare per poetiche e trovare alla fine una soluzione non adatta al background che ci hai mostrato degli stessi. Ma, soprattutto, non puoi passare per situazioni messe lì così, per chissà quale motivo, o per soluzioni inaccettabili e poi chiudere con un finale da pelle d'oca, perfetto in quella sospensione che riporta ancora una volta il dubbio negli occhi dello spettatore. Un finale talmente bello che vorresti andare dal regista e abbracciarlo, picchiarlo e poi abbracciarlo ancora. Perché io sono uno di quelli che dei finali si lamenta sempre ma qui siamo dalle parti della perfezione: senza uno spiegone, senza un'inutile parola in più, lasciando che a parlare siano le immagini e lasciando chi guarda con dei dubbi piacevoli e la sensazione che in un apparente happy ending ci sia tutta l'inquietudine di cui era carica la parte iniziale del film.
Insomma, in It Follows c'è tanto di buono e quasi tutto di sbagliato. E io ne consiglio la visione solo ad un pubblico smaliziato. Perché un film del genere può piacere ma deluderà senz'altro una buona parte di spettatori. Lo ha già fatto, infondo. Ed è un peccato, e io sono fiducioso: David Robert Mitchell è bravo, sa costruire le scene, sa caricarle, non usa i soliti trucchetti e a volte dimostra vera e propria classe. Ah, e Maika Monroe, qui bravissima ma non bellissima e per nulla sexy, si mangia tutto il resto del cast, nonostante a vincere sia l'atmosfera e la costruzione delle scene in una scenografia mai stata tanto ben costruita.
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