Novecento è un affresco epocale struggente e che genera rimpianto.
Rimpianto per un cinema di respiro e di statura internazionale, finanziato da capitali americani, un cinema da esportazione grazie anche a un cast internazionale di grido.
Quasi un ossimoro parlare di cinema internazionale riguardo a un film che parla di provincia eppure guardando Novecento non ci si accorge della sua forte impronta fortemente provinciale senza per questo diventare una macchietta regionale.
Praticamente fantascienza per il nostro triste cinema odierno, ridotto a dimensioni condominiali tranne che in qualche raro caso.
Bertolucci è ideologicamente schierato senza ambiguità, si confronta con le proprie memorie sulle rive del Po, ma riesce a orchestrare un racconto polifonico di grande bellezza e capace di regalare emozioni in grande quantità.
L'incipit è al cardiopalma: la resa dei conti, il parallelismo tra dittatori che furono e uomini assetati di giustizia che la cercano magari anche nel modo sbagliato diventando simili a quelli che li hanno repressi per tanti anni.
Nel 1900 nascono i due protagonisti Olmo e Alfredo, amici d'infanzia e di giovinezza ma allo stesso tempo ben consapevoli che la diversa estrazione sociale li dividerà comunque.
L'Italia cambia, le lotte sociali dividono i due nonostante le promesse d'amicizie fino ad arrivare all'avvento del fascismo. E per uno simpatizzante le idee socialiste l'aria non è così respirabile.
La Storia che fungeva da sfondo diventa protagonista a condizionare le scelte di Olmo e Alfredo, divisi dalla stessa barriera che esiste tra padrone e operaio.In più a spezzare un equilibrio già molto precario per definizione, il personaggio mefistofelico del fattore Attila il quale abbraccia la causa fascista rendendosi colpevole di atti criminali irripetibili.
Nel primo atto (ma ricordiamo che Novecento è un film da concepire come un unica entità di più di 5 ore di durata) lo slancio politico ideologico è frenato dalla limpidezza dello sguardo di Bertolucci prezioso cesellatore di sequenze, probabilmente in questa prima parte sono da rintracciare alcune tra le pagine più belle dell'intera opera dell'autore italiano.
I due personaggi ,quello di Alfredo e quello di Olmo sono mirabilmente descritti e analizzandoli si vede che la figura che dovrebbe essere la più stereotipata, cioè quella del padrone è in realtà quella tratteggiata in modo più sottile e sfuggente.
Alfredo è un padrone che rifugge dalle ideologie ma spesso vi si deve adeguare mentre Olmo è più radicale nelle sue posizioni e nelle sue scelte.
Merito va anche alla recitazione sfumata di De Niro che è un perfetto contrappunto a quella più sanguigna e vigorosa di Depardieu.
Onore anche ai grandi vecchi Lancaster ed Hayden che contribuiscono dall'alto della loro esperienza a rendere ancora più intenso ed emozionante questo film...
( VOTO : 8,5 / 10 )