"[...] Goffredo Parise, dal 1974 [...] tenne una rubrica di corrispondenza con i lettori del Corriere della Sera. Era una formula inconsueta, perché la rubrica era affidata una settimana a Parise e un'altra a Natalia Ginzburg.
Tra le numerose [...] lettere, un giorno ne arriva una del signor Framarin, il sovrintendente del Parco Nazionale del Gran Paradiso.
Scrive [...] in quanto concittadino, visto che è nato anche lui a Vicenza, e si lamenta del degrado delle prealpi vicentine.
Ma soprattutto chiede aiuto [...] perché ha notizie certe che alcuni imprenditori hanno ottenuto le necessarie protezioni politiche per costruire nel cuore del Verena-Campolongo, 'la più ricca e integra ecologicamente di tutte le montagne che ho nominato', un hotel di lusso con piscina coperta e uno shopping center. Chiede a Parise di spendere qualche parola sulle loro montagne perché gli intellettuali non devono occuparsi soltanto di questioni generali ma anche di problemi specifici.
La lettera [...] è un tipo di protesta piuttosto consueta, che viene rivolta a uno scrittore [...] con la certezza della condivisione.
[...] il tipo di rimostranza di Framarin è quasi pleonastico, e sottintende: lei sarà d'accordo con me, i lettori [...] saranno d'accordo con me.
Cioè, le persone [...] colte, sensibili e civili non possono non condividere la mia protesta.
Cioè [...]: c'è un'Italia che rovina, che colleziona danni [...]; e c'è un'Italia che assiste inerme a questi danni, se ne duole, scuote la testa inorridita.
Di lettere del genere Parise ne riceve tante. Decide di rispondere a questa perché è di un suo concittadino, e perchè [...] tocca un nervo preciso che permette allo scrittore di rispondere con la sincerità che si è dato come regola nell'accettare la rubrica. [...]
Ecco la risposta di Parise: 'Io non ricordo più quei paesaggi e quelle montagne, signor Framarin, io se potessi difenderei l'Italia intera perchè spero sempre nella sua unità, ma non posso andare contro la <forza delle cose>.
Né ricordo più la città dove sono nato, se non a vaghe luci, come in un sogno.
Se ci torno fatico a ritrovare le vie. Né ricordo più l'Italia di venti-trent'anni fa.
E la colpa non è mia, ma della <forza delle cose> (la storia) che ha mutato profondamente il volto del nostro Paese.
Non ricordo e non voglio ricordare, per molte ragioni [...].
Prima fra tutte perché l'Italia di trent'anni fa è lontana, lontanissima, in tutti i suoi aspetti, politici, culturali, linguistici, fonici, agricoli, non soltanto paesaggistici; poi non la ricordo più perchè non voglio ricordare la mia giovinezza, perché essa non c'è più, scomparsa insieme a tutti quegli aspetti detti or ora; poi non la voglio ricordare [...] perché, la realtà del nostro Paese essendo profondamente mutata, sento la necessità di vivere oggi e non ieri; ancora non la voglio ricordare perché la conservazione del ricordo [...] è un dato al tempo stesso statico e regressivo che, in modo assolutamente certo, viene travolto dalla realtà [...] di oggi, quella in cui [...] siamo ancora impegnati a vivere.
Infine non la voglio ricordare, non voglio ricordare quei monti, e quei boschi nella loro integrità, perché essi, nella realtà di oggi, l'hanno perduta.'
Poi continua [...] lamentandosi insieme a Framarin di come gli italiani non amino l'Italia.
Eppure [...] non accoglie mai la richiesta di solidarietà e continua a citare con energia ossessiva la <forza delle cose>: davanti alla quale non bisogna piegarsi [...], bensì accoglierla.
Di conseguenza, Parise si carica addosso la responsabilità del presente, non lo scaccia come un'epoca medievale; sente il dovere di caricarselo, lo guarda direttamente, visto che vive - vuole vivere - ora, e quindi lui c'entra con quello che accade ora.
Parise insomma dice [...] due cose piuttosto sorprendenti: non vuole in nessun modo partecipare al lamento reazionario della tensione verso il passato; e sta partecipando al presente così com'è. [...]
Parise, con insofferenza non nascosta, chiede a se stesso, più che al lettore, di prendersi la responsabilità pratica della collettività, e respinge la responsabilità pratica di lanciare un appello contro un hotel con piscina coperta, soprattutto perché al contrario di ciò che afferma Framarin, non è una richiesta specifica; ma è una difesa generica [...] a favore della bellezza di tutte le montagne e a sfavore di tutti gli hotel con piscina coperta.
E' un modo di cercare complicità chiara in opposizione alla forza delle cose.
Nella sostanza, Parise è disposto a prendersi carico anche, se necessario, dei difetti degli italiani.
E, nel caso specifico, dello scempio.
O forse, ancora di più: è disposto ad ammettere che né lui né il signor Framarin possono tirarsi fuori e guardare da lontano e giudicare gli italiani con sdegno. Ma anche loro, in qualche modo, con percentuali sia pure molto basse, c'entrano qualcosa.
In pratica, suggerisce Parise, non accettiamo di starcene lì seduti, inermi, a deplorare e a non ricordare di aver fatto parte di un mondo migliore che non esiste più; anche se dovessimo pensare che quel mondo che non esiste più era migliore.
Ma è più vitale, ed è più utile, il desiderio di far parte di un mondo fragile, peggiore [...], pieno di problemi complessi ma che fa parte del presente.
E in cui siamo impegnati a sentire la necessità di vivere oggi e non ieri. La necessità di liberarci del lutto. [...]"
Fonte: " Il desiderio di essere come tutti", F.Piccolo, Einaudi Editore