Italia De Profundis
Giuseppe Genna, 2008
minimum fax
350 pagine, 15 euro
Cosa sia questo parallepipedo di carta, io proprio non saprei dire.
Romanzo, autofiction, dissezione di un corpo, autopsia di un paese, forse tutte queste cose insieme. Oppure, con una locuzione che fa venire il mal di pancia a molti, Unidentified Narrative Object.
Quale che sia la definizione, come accade quando il nome del protagonista è lo stesso dell’autore, la caccia alla percentuale di autobiografismo è una tentazione cui è difficile resistere.
Credo però sia operazione inutile, qui persino fuorviante e ben presto disinnescata:
Io sono lo scrittore Giuseppe Genna.
Io sono quello che, in un frangente simile, prende il timone e dirotta la nave verso le spiagge a cui mira.
Io fingo.
Perdiamoci quindi un po’ tra i flutti di questo mare in tempesta e cerchiamo di interpretare le coordinate del nocchiero Genna, che fingendo ci trascina con sé.
Il De Profundis nasce come un resoconto di un soggiorno da incubo in un villaggio vacanze siciliano, nell’estate del 2007. L’ispirazione, per altro dichiarata, è di scrivere qualcosa di simile a Una cosa divertente che non farò mai più di David Foster Wallace, con alcune fondamentali differenze. Laddove Wallace si dimostrava ironicamente distaccato dagli eventi e dalle persone che descriveva, come un entomologo che studi i comportamenti di una strana specie di insetti, altri da sé, Genna fatica a prendere le distanze dalla variopinta e sudaticcia umanità che gli gravita attorno. Non perché i suoi comportamenti o le sue idee siano assimilabili a quelle degli altri villeggianti, rappresentanti del più becero e ignorante analfa-leghismo, ma per una sorte tragica che si intuisce comune a tutti, e che ha radici indefinite ma difficile da estirpare.
Italiani loro, italiani lui: poco o nulla importa che passino il tempo a parlare di vuoto pneumatico, mentre il protagonista legge Kafka e Burroughs:
Anche io guardo, io non sono differente da nessuno. Io sono nessuno.
Vengo qui in contatto diretto con la bruciante e perenne sensazione che il mio corpo sia indesiderabile, disabile […] È l’orrore puro: io.
Nell’economia di Italia de profundis quello che in partenza doveva essere il cuore pulsante viene però relegato, quasi a causa di oscure forze centrifughe, alla periferia: il resoconto delle vacanze in Sicilia occupa solo un terzo delle pagine, quello finale.
I due terzi precedenti diventano così un doloroso percorso propedeutico, una discesa nell’abisso che un tale di nome Giuseppe Genna porta dentro (e fuori) di sé, e organizzata secondo una serie di episodi, di deviazioni che impediscono di arrivare là dove si vuole andare, sulle spiagge assolate dell’estate del 2007.
La morte del padre, malato di tumore e finito da un infarto; una fastidiosa eruzione cutanea; una tormentata storia d’amore e la conseguente perdita; la somministrazione di un’eutanasia; una tardiva autoiniziazione all’eroina; una folle notte di umiliazioni ad opera di tre trans.
E ancora, il possibile funerale della cultura umanista, un incontro con David Lynch, i vagabondaggi solitari a Berlino.
Il De Profundis, come si potrà intuire, riguarda non solo l’Italia, ma lo stesso Genna, che sembra identificarsi (solo nella fiction?) con alcuni dei luoghi oscuri del proprio paese, meglio, del proprio tempo.
Un gran libro, sia per la densità dei temi, sia per la (a mio avviso indiscutibile) qualità della scrittura.
Fa male leggerlo, posso solo supporre quanto abbia fatto male scriverlo.
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Tagged: Giuseppe Genna, Letteratura, Recensione, romanzo
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