Si è sostenuto, inoltre, che l’aborto illegale aumenterebbe il tasso di aborti clandestini (i sottoscala, le mammane e cucchiai d’oro, termini che ogni buon abortista ha imparato a ripetere a memoria), ma in realtà un’indagine recente ha mostrato che il Guttmacher Institute, ovvero il braccio di ricerca di Planned Parenthood -l’ente abortista di cliniche per l’interruzione di gravidanza più importante del mondo- ha mentito e appositamente gonfiato per anni i numeri degli aborti clandestini nei Paesi in via di sviluppo al fine di creare una giustificazione per legalizzare l’interruzione di gravidanza. Se ha dovuto comportarsi in questo modo è evidente che il numero di aborti clandestini non era alto.
In Italia con quale argomento è stato legalizzato l’aborto? Attraverso un’altra menzogna di cui sono stati protagonisti i Radicali, i quali hanno sfruttato nel 1976 la fuoriuscita di diossina nella cittadina di Seveso a causa di un’esplosione del reattore dell’industria chimica Icmesa. Ci sono ancora oggi fotografie che mostrano femministe e radicali arrivati da fuori Seveso a terrorizzare le donne incinte, dicendo loro che avrebbero partorito dei mostri. Seguirono 33 aborti, ma due diversi studi, uno dell’Università di Lubecca e uno della Commissione bicamerale di inchiesta nominata dal Parlamento italiano (il primo presentato il 25 febbraio ’77, il secondo il 25 luglio ’78), hanno dimostrato che nessuno dei feti abortiti presentava malformazioni. Tuttavia i fatti di Seveso, ben orchestrati dai Radicali, giustificarono la legalizzazione dell’interruzione di gravidanza nel 1978 (un approfondimento qui, qui e qui).
Negli USA è andata in un modo molto simile. Quarant’anni fa la Corte Suprema degli Stati Uniti fu chiamata ad esprimersi su due casi, quello di Jane Doe e di Mary Roe, le cui sentenze legalizzarono l’aborto. Il caso Roe vs Wade tolse ogni ostacolo alla possibilità di accedere all’aborto, il caso Doe vs Bolton aprì alla possibilità di abortire durante tutti i nove mesi di gravidanza. Entrambi i casi sono falsi, lo hanno testimoniante le due donne protagoniste Norma McCorvey (Roe) e Sandra Cano (Doe), le quali nel frattempo sono divenute entrambe attiviste pro-life ed entrambe hanno provato inutilmente a far riesaminare le sentenze che le hanno rese celebri.
Da sempre, Sandra Cano (Doe) ha sostenuto che l’intero fondamento su cui si era basata la Doe vs Bolton era una bugia, che
lei non aveva mai davvero voluto né richiesto un aborto e che era stata portata con l’imbroglio a firmare una dichiarazione scritta sull’aborto al processo in cui doveva semplicemente definire il divorzio da suo marito e cercare di ottenere nuovamente la custodia degli altri bambini. Nel 2003, Cano ha lanciato un procedimento legale per cercare di sovvertire il caso che porta il suo nome. Ha fallito. E allora, tenace, ha cominciato a lavorare per ribaltare il giudizio in altro modo. Nel suo ultimo comunicato, Cano ha sottolineato di essere stata «fraudolentemente usata dal sistema della Corte per portare l’aborto in America».
Anche Norma McCorvey (Roe) ha dichiarato: «Sono stata persuasa da avvocati femministi a mentire a dire che ero stata stuprata, e che avevo bisogno di un aborto. Ma era tutta una bugia. E da allora oltre 50 milioni di bambini sono stati uccisi. Mi porterò questo peso nella tomba». Anche lei, nel 2003, ha chiesto di riaprire il suo caso, ma la sua petizione è stata respinta. E anche lei, come Sandra Cano, ha continuato la sua battaglia nel dibattito pubblico. Nessuna delle due donne i cui processi hanno aperto le porte della legalità all’aborto negli Usa ha mai compiuto un aborto ed entrambe erano giovani, quasi del tutto prive di educazione, povere: quanto serviva perché fossero sfruttate per un caso a livello nazionale.
È attraverso la menzogna che l’aborto è entrato nel sistema legale italiano e americano ed allo stesso modo continua ancora oggi ad essere giustificato.