E così se n’è andata anche lei, poco meno che centenaria, mente lucidissima murata viva nella tomba che era divenuto il suo corpo. Per me è sempre stata “la signorina S.”, da quando ho memoria. Vecchia amica di famiglia, generosa e combattiva, una vita difficile e un unico grande amore straziante, S. era un’apprezzata insegnante stimata e benvoluta da tutti. Per me, è stata la presenza costante di tutte le mie vacanze estive.
Fascista attiva ed entusiasta, con l’8 settembre 1943 conobbe l’occupazione americana: benché i nuovi antifascisti (memori del suo impegno civile e della sua onestà) si adoperassero per evitarle gli spiacevoli effetti dell’epurazione, dopo qualche antipatico episodio S. decise di lasciare la sua città. Aveva delle conoscenze in Sicilia, e trovò un posto come maestra nei pressi di Palermo. Erano gli anni difficili del dopoguerra, e la signorina entrò bruscamente in contatto con una realtà molto diversa da quella cui era stata abituata — sempre al Sud, ma la Sicilia è terra a parte.
Il 1° maggio 1947 era festa, e non c’era scuola — proprio come adesso. Non so se allora S. partecipò a qualche manifestazione pubblica, o se si limitò a godersi quel giorno di vacanza. Di sicuro, in serata raccolse anche lei le molte voci confuse e spaventate che narravano di un massacro inaudito — la strage di Portella della Ginestra. Lesse anche lei, il 3 maggio (il 2 i quotidiani non uscirono), i giornali che dettagliavano i fatti. Non so — forse non c’è più nessuno che lo sa — che cosa pensò, che cosa fece, che cosa la macerò nei mesi successivi a quella tragedia. Ma quando tornò nella sua città natale, prima del 1950, aveva la tessera del PCI.
So che lo annunciò formalmente a una ristretta cerchia di amici — mio padre e mia madre erano della partita. So che qualcuno le chiese come avesse potuto, lei fascistissima, addirittura tesserarsi nel partito che forse aveva fatto ammazzare il Duce. So che rispose, con la tranquillità e lo sguardo fermo che ricordo da sempre, di averlo fatto perché «il fascismo è finito, e oggi per salvare l’Italia bisogna essere comunisti».
Non fu l’unica a seguire questo percorso, come ho scoperto crescendo; quando ero una ragazzina impulsiva e confusa (come lo sono, immagino, tutte le ragazzine) la guardavo con sospetto per quel suo comunismo, e non mi capacitavo di come i miei continuassero a frequentarla con affetto e piacere. Poi, per fortuna, sono cresciuta: e adesso sono qui a ricordarla con lo stesso affetto e lo stesso piacere — la signorina S., prima fascista e poi comunista per amore dell’Italia.