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Italia in dissesto...quale il futuro e quali i (potenziali) progetti?

Creato il 13 ottobre 2014 da Alessandro @AleTrasforini
A prescindere dai punti di vista possibili relativamente al concorso di colpa fra fenomeni naturali e (de)meriti umani, servirebbe più di ogni altra cosa provare a capire, con i fatti, a quali forme di futuro potrebbe andare incontro l'umanità negli anni a venire.
Sarà ormai inevitabile assistere ad un costante peggioramento climatico? Il ripercuotersi di fenomeni sempre più altalenanti e rigidi è una casualità o un dato di necessità a cui dovremo inevitabilmente abituarci? Si parlerà di sopravvivenza e/o di necessario adattamento agli sferzanti episodi di variabilità climatica? Di fronte ad episodi come quello accaduto a Genova, viene legittimamente da chiedersi di chi siano le colpe.
Se le colpe fossero assimilabili a radici di un albero marcio da abbattere, sarebbe perfettamente lecito chiedersi quale tronco individuare fra tanti per l'abbattimento successivo; pochi, però, sembrano domandarsi con competenza e consapevolezza quanto siano lunghe e quanto si perdano nelle profondità del terreno, queste radici.
La lentezza burocratica (senza colpevoli chiari per la nota etica dello 'scaricabarile', in questa Italia) rischia di apparire come semplice venticello, a confronto di certi fenomeni ormai radicati e consolidati a livello globale.
Potrebbe esserci un problema di complessità enormemente più difficile da sbrogliare, vincolato ad una serie di perpetuati ed errati comportamenti adottati (anche, non solo) dalla mano dell'uomo?
A questa domanda possono rispondere, più o meno esaurientemente, le tematiche afferenti a delirio e cambiamento climatico. Le variazioni metereologiche, sulla cui origine è lecito sorvolare per necessaria brevità, sembrano propagarsi nella direzione di far percepire sempre più la loro pesante, (pre)potente e devastante presenza nelle situazioni umane.
Un peggioramento climatico potrebbe condurre, nel medio-lungo termine, ad ottenere effetti simili a quelli richiamati dal libro "Le stranezze del clima - Che cosa sta cambiando, e perché" edito da Zanichelli:
  1. probabile innalzamento dei livelli del mare da qui all'orizzonte 2100;
  2. effetti prodotti dai gas-serra con un'azione da monitorare da qui all'anno 2100;
  3. uragani atlantici al contempo più rari ma più intensi, con probabile aumento di altri fenomeni estremi;
  4. aumento del numero di onde distruttive, qualora i livelli del mare dovessero alzarsi di molto;
  5. potenziale creazione di milioni di sfollati, a seguito degli effetti derivanti dal cambiamento climatico;
  6. pericoli collegati anche alla salute umana;
  7. aumenti del rischio di estinzioni di specie animali;
  8. acqua dolce potenzialmente destinata a scarseggiare;
  9. aumento dei periodi di siccità, parimenti a quelli di precipitazioni anche eccessive;
  10. destabilizzarsi delle produzioni alimentari.

L'umanità non dovrebbe certo attendere il verificarsi più o meno puntuale di ognuno dei precedenti dieci punti; potrebbe/dovrebbe altresì adoperarsi al meglio per studiare/analizzare/prevenire/[...] i fenomeni in corso d'opera. Tali considerazioni valgono, ovviamente, anche (o soprattutto, a seconda dei punti di vista) per la sola Italia. E' proprio da una questione come questa che si potrebbe partire, al fine di individuare quanto lunghe e profonde siano le radici dell'albero da abbattere e/o da curare.
Le immagini e le scene accadute a Genova si sono ormai cronicizzate, tanto nell'opinione pubblica quanto nei fatti e nelle cronache più o meno recenti.
Sono purtroppo eloquenti i molti dati che vengono diffusi, ogni volta e puntualmente solo nell'emergenza, da autorità ed associazioni italiane.
Citando un report de La Stampa dal titolo "Italia, territorio fragile", infatti, è possibile desumere un quadro allarmante:
  1. 10% quasi della superficie nazionale in stato di elevata criticità;
  2. 90% quasi dei Comuni interessabili potenzialmente a fenomeni derivanti da dissesto idrogeologico;
  3. 6250 scuole e 550 ospedali potenzialmente a rischio;
  4. 4mila morti totali nel periodo compreso fra 1963 e 2012;
  5. 10% quasi degli italiani abitano in zone ad elevato rischio idrogeologico;
  6. 62 miliardi quasi di Euro concorrono a "comporre" il costo complessivo dei danni per frane e inondazioni, nel periodo compreso fra 1944 e 2012;
  7. 40 miliardi di Euro servirebbero per mettere in maggior sicurezza il Paese, andando a promuovere opere di piccola-media manutenzione diffuse a livello capillare.

Altri report, come quello promosso da Legambiente ed aggiornato al 2010, denunciano cifre ben maggiori e pesanti:
  1. 10mila persone (feriti, morti, dispersi) in Italia, dal 1900 all'anno di fine monitoraggio;
  2. 350mila circa di senza tetto e/o sfollati, dal 1900 all'anno di fine monitoraggio, per fenomeni legati a dissesto idrogeologico. 

Emerge la necessità di affrontare un quadro su cui, fino ad oggi, è oggettivo dire che il mix di politica, tecnica e burocrazia abbia prodotto esiti non certo definibili come lieti e felici. Gli stanziamenti effettuati, da ultimo, ammontano a circa 180 milioni di Euro dilazionati nel triennio 2014-2016.
Per rendere l'idea di quanto questa cifra sia desolante e poco utile, si ritenga necessario basarsi sui dati diffusi da La Stampa per un calcolo di massima. Ricollegandosi ai 62 miliardi di Euro di danni riscontrati nel periodo 1944-2012, è possibile ottenere un "costo medio annuo" pari a poco meno di un miliardo di Euro (910 milioni circa).
Le cifre medie stanziate si aggirano attorno a 60 milioni di Euro, più o meno.
In altre parole, pertanto, lo stanziamento copre poco meno del 7% del costo medio annuo riscontrato dalle statistiche storiche definite.
Dovrebbe essere questa la pietra miliare su cui edificare una politica di salvaguardia e prevenzione per il territorio italiano?
Potrebbero altresì esistere altri spunti che, a prescindere dalla quantificazione economica, potrebbero essere colti e resi operativi dal contesto di decisori tecnico-politico-burocratici addetti? Citando il quadro presentato da Legambiente, sarebbe possibile avere il ventaglio seguente di operazioni:
  1. attuazione di interventi di delocalizzazione degli edifici a rischio frane ed alluvioni;
  2. adeguamento dello sviluppo territoriale e revisione delle mappe del rischio esistenti nel territorio nazionale;
  3. restituire spazio alla natura, progettando apposite aree per favorire il rispetto delle "fasce di pertinenza" fluviali;
  4. porre particolari attenzioni a torrenti e corsi d'acqua minori;
  5. rendere strutturali le opere di manutenzione ordinaria del territorio;
  6. rendere il più strutturali possibile le politiche di "prevenzione del rischio", predisponendo sistemi di allerta, piani di protezione civile aggiornati e piani di comunicazione/informazione presso la popolazione;
  7. lotta agli illeciti ambientali, combattendo illegalità come captazioni abusive di acqua, estrazione illegale di inerti ed abusivismo edilizio;
  8. investimenti pesanti e capillari nella difesa del suolo, concorrendo alla prevenzione di fenomeni pericolosi ed ormai inevitabilmente in aumento. 

Questi sono solo alcuni dei punti che potrebbero contribuire, a costo e/o al minor risparmio possibile, a rendere l'Italia uno Stato un pò meno vincolato a dipendere dalle previsioni meteo e dal cambiamento climatico.
Un ulteriore report che va ad incidere sulla carne viva della questione espone, nei fatti, le opinioni promulgate dal tema afferente la tutela e la definizione delle risorse.
Tale dossier è stato fatto dall'Ance, sigla che abbrevia l'Associazione Nazionale Costruttori Edili.
Il quadro complessivo di opinioni ed interventi è desumibile e consultabile all'indirizzo http://www.ance.it/docs/docDownload.aspx?id=17238.
Esulando dal contesto complessivo, ad inizio 2014 sono state formulate le seguenti proposte valide per migliorare la situazione nel breve-medio termine degli eventi specifici:
  1. rapido sblocco ed utilizzo dei fondi disponibili, allora quantificati in 1.6 miliardi di Euro circa;
  2. nuove risorse da ascrivere al bilancio per la riduzione del rischio idrogeologico, impiegando fondi Europei e per lo sviluppo 2014-2020;
  3. escludere degli investimenti per la prevenzione dal Patto di stabilità interno degli Enti territoriali;
  4. incrementare la regia ed il costante monitoraggio di risultati conseguiti;
  5. tempi rapidi e certi per l'impiego delle risorse scelte: stabilire in un congruo tempo pari a 60 giorni l'attesa per gli appalti;
  6. trasparenza maggiore delle gare d'appalto, provando a realizzare miglioramenti anche per quel che riguarda la velocità degli stessi;
  7. ricostruire un tessuto imprenditoriale specializzato, investendo anche in attività ulteriori di ricerca e sviluppo.

Le proposte non mancano, a fronte di rallentamenti le cui colpe sembrano non essere ascrivibili a nessun chiaro mandante; è in questo aspetto che trova conferme in più l'italiana (contro)etica dello scaricabarile: i problemi ci sono, non sono però attribuibili a nessuno.
Sarebbe possibile migliorare, attraverso queste proposte, il quadro strutturale di adattamento al degrado clinico nazionale precedentemente riassunto?
Le emergenze sembrano essere sempre più incessanti e destinate a ripercuotersi su larga scala.
Non c'è veramente più tempo per aspettare.
ITALIA IN DISSESTO...QUALE IL FUTURO E QUALI I (POTENZIALI) PROGETTI? Fonte immagine: greenreport.it
Per saperne di più:
"Dissesto idrogeologico - Italia, un territorio fragile", La Stampa
http://www.lastampa.it/medialab/data-journalism/dissesto-idrogeologico
"Dissesto idrogeologico", Legambiente
http://www.legambiente.it/temi/territorio/dissesto-idrogeologico
"Temi dell'attività parlamentare - Dissesto idrogelogico", camera.it
http://www.camera.it/leg17/465?area=5&tema=206&Dissesto+idrogeologico

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