Italia, l'assassino è ... il maggiordomo?

Creato il 28 febbraio 2012 da Rightrugby
Eccoci qui, a mente più freddina e con qualche minuto calmo a disposizione per ragionare sull'Italia post terza prova - e sconfitta - all'Aviva Stadium per il torneo delle Sei Nazioni.
La partita l'abbiamo vista e rivista, cronache e di commenti ne abbiam letti; qui procederemo asincroni, per argomenti "coram populo".  Diamo subito un indizio su  quale sia a nostro modesto avviso   "l'assassino" della partita: guardate attentamente la foto sopra, è rivelatrice. No, non è Zanni il colpevole, non personalizziamo. Ci arriveremo per gradi, occhio che  come al solito qui ci si ritrova a dissodare terreno abbastanza vergine. Non per posa intellettuale, purtroppo.
1) Il contesto
Prima di abbandonarci voluttuosamente al tema dei temi, Botes no Burton si, una premessa a nostro avviso colpevolmente trascurata da tutti. A leggere analisi e commenti infatti, non ce n'è uno che non prescinda dal fatto che si giocasse nella tana degli irlandesi. Chi ha praticato il rugby un po' oltre il livello scapoli contro ammogliati lo sa: fuori casa è quasi un altro sport, di certo serve un approccio completamente diverso. Non si va in casa d'altri, soprattutto se son forti e tu no, a fare i fenomeni in uno sport di combattimento. Si sta sghisci, si cede l'iniziativa - tanto se la prendono i padroni di casa, a meno che non siano scamorze  - e l'ospite gioca d'incontro, di ripartenza. Francia al Murrayfield docet.
La critica nostrana pare invece pretendere i Garibaldini sulla breccia indifferentemente dalla latitudine del campo. Il risultato è che guarda caso, i nostri paiono giocare (o meglio, reggere il confronto: è diverso, ne parleremo poi) solo un tempo. Non è questione di modulo più o meno espansivo: se caricano tutti, è un Tir addosso a un altro Tir e a parità di potenza, nel rugby vince quello con più benzina ... quel tipo di benzina che ti dà il pubblico, si chiama carica. A maggior ragione se la squadra ospite ha in più la tara atavica di prolungare psicologicamente i momenti di debacle. Cominciate a mettere a fuoco l'immagine sopra riportata?
2) L'apertura
E' l'argomento più nazional-popolare, Tobias Botes all'apertura si o no. Fortunatamente nei più pare prevalere la logica, il confronto delle opzioni a disposizione. Facciamoci al proposito le domande e diamoci le risposte oneste: chi abbiamo disponibile nel ruolo di apertura ? Oggi solo Kris Burton, un 31enne.  Mezza risposta ce la siamo già data, dato che l'Italia s'è detto essere un cantiere. Nella prospettiva dei lavori in corso (che prima iniziano, prima finiscono), non ha alcun senso nemmeno provarli in coppia a Botes e Burton. Il problema del primo infatti non è l'affiatamento con Gori, peraltro suo compagno di club anche lui.
L'unico motivo per cui varrebbe la pena di schierare Burton sono i piazzati, tema non certo da trascurare, in cui l'italo-sudafricano zoppica; eppure prima dell'arrivo di Burton a Treviso piazzava lui: è probabilmente solo una questione di esercizio sotto pressione. E poi non è che l'italo-australiano sia un Morné Steyn...
Com'è andato l'esperimento?  Beh, diciamolo onestamente, è difficile trovar cose belle in quantità nella partita di Botes. Oltre al contesto non facile e al piano di gioco errato per il contesto, per un emotivo come lui la gara è partita male (un piazzato fallito di poco) e proseguita nella sfortuna:  traversa alla mezz'ora, un paio di palle perse su incursione personale, un calcio in touch fallito. Botes ha ingranato meglio nel secondo tempo (ma lì ha fallito un penalty importante e molto potabile), mostrando di essere una apertura in grado di giocare con imprevedibilità e qualche efficacia a ridosso della linea. Su tutto però si staglia, assieme al piazzato nel primo tempo, l'invenzione di quella finta di passaggio che libera Sergio Parisse per la meta. Un assist, scusate se è poco per questa Italia.
Tutto del resto va contestualizzato: quale trequarti italiano s'è distinto? Solo Gibbì Venditti merita la sufficienza, per la crescita mostrata. Tutto considerato, non mi sentirei di metterlo tra i peggiori anzi, è un esperimento che continuerei. Sapendo che non sarà mai Dan Carter; meglio, lo diciamo ai nostalgici inconsci: guardate che Diego Dominguez ce n'è stato uno e non torna più.  Tra l'altro, se il suo grosso difetto odierno sta nella precisione dalla piazzola, non sta scritto da nessuna parte che sia l'apertura a dover calciare.
3) Giocare per sessanta minuti, poi basta
Ci siamo dilungati su Botes ma era inevitabile nella patria degli eterni orfani di Dominguez (c'è anche un po' di mala educazione sportiva, un portato del calcio ma non solo, che tende a concentrar troppo l'attenzione sui singoli). C'è chi conclude che l'Italia giochi solo un'ora e poi basta e da tale presupposto si fa domande sulla preparazione atletica dei nostri. Come se non fossimo nel pieno della stagione, per di più Celtica e non più solo italiana.
Sinceramente non mi pare che gi Azzurri fossero in affanno, ultimissimi minuti a parte (con la notevole eccezione della prima linea): ho rivisto la partita, trovo che i  nostri disarmino solo negli ultimi cinque minuti quando han subito due mete. Nel primo tempo gli Azzurri han provato a sprazzi, quando consentito dagli avversari (e dall'arbitro, ne riparleremo) di fare la partita (colpevolmente a mio avviso, vedi punto uno); nel secondo, dopo aver subito il 17-10 a fine del primo tempo, han provato a stare incollati: potevano chiudere il gap sul 17-13 e han tenuto fino al 58'. Lì è  arrivata la punizione alla nostra mischia ordinata, schiantata da una seconda spinta, logorata dal ritmo e dal lavoro ai fianchi di Cian Healy e compagni; pochi minuti dopo è arrivata la terza meta.
Anche sul 30-10 i nostri han provato a ripartire e hanno avuto una opportunità di marcare, con una maul ben impostata da Bortolami in rimessa laterale a ridosso dell'area di meta irlandese, smontata in modo molto dubbio da quel furbone di O'Connell.  Avrebbe potuto essere 30-20, sarebbe stato un punteggio più consono a quanto visto in partita sino a quel momento.
La quarta meta irlandese arriva al 76', la quinta è nel finale in pieno garbage time, una palla rubata a Semenzato che si isola e la difesa è già negli spogliatoi.
No, non trovo proprio ci sia un problema di mera tenuta fisica negli Azzurri. Trovo i faccia confusione tra l'essere in partita del primo tempo (ma chi l'ha detto che lo eravamo, sul 17-10?) e il reggere quel ritmo partita che anche noi abbiamo contribuito a creare con un po' di masochismo (vedi punto uno).
4) Le mete irlandesi fotocopia
Quattro mete su cinque dei padroni di casa sono pressocchè uguali: il pack guadagna metri a ogni percussione, arriva a ridosso della linea di meta, concentra la difesa, poi apre veloce al largo. Parziale eccezione nella quarta, dove basta il peso di Tom Court (ma siamo al 76') e non servono i trequarti.  Quattro mete quasi uguali son tante.
E si legge in giro: ecco, sbagliamo i placcaggi! A parte un paio di incursioni dell'inarrestabile Kearney (mica solo da noi, anche i gallesi han trovato lungo con lui) e un buco di quella forza della natura di nome Ferris (il vero Man of the Match a mio avviso), nessuno è scappato quasi mai ai nostri difensori. Piuttosto, gli Irish han guadagnato metro dopo metro senza mai fermarsi. Come fanno? Semplice, Ferris-O'Brien-Heaslip han vinto la sfida contro Barbieri-Zanni-Parisse. Una vittoria senza smash, una sfida fatta di vittorie non appariscenti, piuttosto un interminabile braccio di ferro durato settanta minuti.  Se poi si aggiunge il contributo di Paul O'Connell e quelle folate di Earls, Kearney e Bowe ...
C'è anche da dire che le squadre moderne (vedi il Galles) sono abili a creare mismatch nell'uno-contro-uno, muovendo per il campo i ball carrier sui trequarti avversari, che si trovano placcaggi problematici e quindi perdita di terreno garantita. Non è tanto il singolo placcaggio quindi che ci rompeva le righe e scappava via, quanto un intelligente operazione attrito uno-contro-uno o meglio a reparti (mescolati) contro reparti, molto dinamica, ben  studiata e portata.
Sveliamo quindi l'arcano, il segreto di Pulcinella contenuto nell'immagine sopra: oltre al tema del contesto e assieme alla solita inconcludenza Azzurra, vuoi dalla piazzola come in zona rossa, la partita l'han vinta gli avanti irlandesi, abr-adendo il suolo e sottraendolo ai nostri. Spingendo e sostenendo all'unisono nel punto giusto.
A partire dal 50' poi, s'è aggiunto dolore al dolore: la mischia ordinata loro ha messo sotto la nostra. A quel punto, hai voglia ad attaccarti alla rimessa laterale, l'unica cosa rimastaci assieme allo spirito combattivo ma un po' fatalisticamente rassegnato.
5) L'arbitro
Joubert è stato l'arbitro della finale mondiale, dove personalmente non m'è piaciuto. Non l'ho gradito nemmeno in questa prova. Nulla di scandaloso, sia chiaro, la partita l'avremmo persa comunque. Probabilmente però con un arbitro più capace di valutare gli offside nelle maul, avremmo perso 37-20. Ho trovato poi irritante da parte sua quel chiamar subito "maul" quando erano gli irlandesi a tenere in piedi i nostri portatori di palla, e mai in quel paio di volte che c'eran riusciti i nostri. Anche quel fallo di tenuto fischiato a Parisse, con Rory Best piazzato come uno zainetto sulla schiena che non si toglieva: una mancanza di rispetto, tanto grossa che Joubert l'ha capita e ha dovuto prodursi in una classica excusatio non petita. Arbitraggio insufficiente insomma, ma non in maniera decisiva.
Anche perché, mica le scopriamo da ora le sottili arti sporche degli avanti irlandesi: proteggiamole meglio quelle maul dagli ingressi laterali, altrimenti è tutto inutile, è chiaro che i marpioni in meta non ti lasciano andar gratis! Qualcuno ha lamentato anche un blocco (su Benvenuti) in occasione della terza meta, ma ci è parsa onestamente veniale.  Lì l'errore l'ha fatto McLean, scegliendo di tentare l'intercetto e facendosi saltare; se gli riusciva però era meta coast to coast.
In sintesi: la partita l'han vinta gli irlandesi (ovvio: l'assassino era il maggiordomo, no?), molto ma molto di più di quanto la si sia buttata via noi. L'han fatto grazie a una condotta di gara centrata sulla continuità degli avanti, sulla loro dislocazione tattica e sulla capacità di sfruttare le occasioni di superiorità numerica dei trequarti. Il tutto agevolato dalle scelte (moderatamente) espansive e quindi dispendiose degli Azzurri e dalla loro cronica incapacità di "quagliare", sia dalla piazzola che sopratutto nel bersaglio grosso. Più una spruzzatina d'arbitro, ed ecco il bis di Dunedin servito.
Ci sarebbe qualcosina da dire anche sui cambi di Brunel, ma è quel che passa il convento, sarebbe dettaglio.
Altro che apertura insomma: se insistiamo a puntar tutto sul "cuore" e non ci mettiamo un po' più di testa soprattutto fuori casa, il meglio che potrà capitarci è far la fine della Scozia: polmoni d'acciaio, più di 200 passaggi per partita, dopo lunghi sforzi pure qualche meta ma non ne vincono mai una.

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