Una vernice ogni mezz’ora. Questo il ritmo con cui, nel nostro Paese, si inaugurano mostre, che porta a una stima di oltre 17.500 esibizioni l’anno. E’ il calcolo che emerge dalla ricerca “Le mostre al tempo della crisi. Il sistema espositivo italiano nel 2012″, presentata ad “Amiex”, la prima borsa internazionale delle mostre che si è aperta oggi a Torino.
La mostra “Artisticamente” di Rieti nel 2012 (sfumaturediviaggioeventi.blogspot.com)
Lo studio è stato condotto da Fabio Achilli (direttore Fondazione di Venezia) e Guido Guerzoni (ad Polymnia Venezia) ed è stato effettuato elaborando informazioni concernenti 8.460 mostre, allestite presso strutture pubbliche e private no profit e risultanti aperte al 1° gennaio 2012 e inaugurate entro il 31 dicembre del medesimo anno. Di queste, 2.728 (pari al 32,2% del totale) sono state ospitate in 904 musei, con 3,02 eventi per sede all’anno. Dati che fanno parlare di ”mostramania tricolore” ma che testimoniano anche un settore che ‘regge’ alla crisi economica.
Ma quanti sono gli organizzatori? Osservando i dati sui curatori, in realtà, emerge una ristrettissima cerchia di figure invitate a curare decine di eventi: su 3.591 curatori censiti soltanto 17 hanno curato più di dieci eventi, a fronte dei 2.707 curatori che hanno curato un solo progetto, senza svolgere tale attività in maniera continuativa o esclusiva. Tale situazione, senza differenze di genere (51,1% uomini contro 48,9% donne), spiega anche – si rileva – “la modesta presenza di stranieri (10,4% nel 2012): il mercato della curatela rimane prevalentemente locale, al più regionale, e l’eccesso di offerta favorisce la nascita di minimonopoli locali, i cui detentori sono stimolati a produrre per produrre”.
Per quanto riguarda la distribuzione geografica, le mostre rimangono un prodotto urbano settentrionale: primeggiano ancora Lombardia (1.828) e Lazio (1.340), seguite da Emilia Romagna (792), Toscana (752), Piemonte (741) e Veneto (593), con un allargamento del divario tra Nord (55%), Centro (29,2%) e Sud/Isole (15,8%). Tuttavia, mentre Milano e Roma (con rispettivamente 1.138 e 1.121 mostre) fanno la parte del leone nelle regioni capofila, nelle altre la distribuzione è tendenzialmente uniforme, con un rapporto più equilibrato tra capoluoghi e centri periferici.
Venendo alle sedi, la percentuale di esposizioni allestite presso i musei è scesa dal 35,5% del 2011 al 32,2% del 2012, mentre le associazioni sono salite al 13,7% e le sedi aziendali al 5,8%. ”D’altronde – sottolinea lo studio – l’asfissia delle finanze pubbliche sta aggravando le condizioni comatose delle istituzioni dotate di collezioni permanenti e non è un caso che cresca ulteriormente l’incidenza dei meri spazi espositivi (di più della metà privati), stabili attorno al 33% e sovente collocati in edifici storici; per quanto sia lodevole l’intenzione di destinarli a funzioni pubbliche, non sono i più adatti a ospitare attività espositive temporanee, presentando vincoli che rendono tali attività molto costose”.
Per quanto concerne i temi espositivi, si conferma il netto predominio dell’arte contemporanea, “laddove la contemporaneità – si spiega – è comprovata dalla vitalità degli autori, spesso inesausti artefici di tramonti, bestiole e astrattismi fuori tempo massimo”: da sola, detiene il 58,4% del totale, con 4.942 eventi. Mentre prosegue l’avanzata della fotografia (ascesa dal 10,4% del 2011 al 13,2% del 2012) e si mantengono attorno al 3% le mostre dedicate alle arti applicate, al design e alla moda (percentuali definite “bislacche nella terra del made in Italy”). Parimenti, prosegue il declino di quelle consacrate all’arte antica e moderna, all’archeologia, alle scienze e alle tecnologie e alle tematiche etno-antropologiche, che non totalizzano neppure un centinaio di eventi annui e riportano valori inferiori o pari all’1%.
E le mostre italiane durano poco, anzi sempre meno: quelle rimaste aperte per almeno due mesi sono scese dal 27,4% del 2011 al 23,2% nel 2012, laddove tre mostre su quattro sono durate meno di due mesi e una su due meno di trenta giorni. “Un palinsesto pulviscolare, con una moltitudine di fulminei nanoeventi, che accrescono la confusione e rendono problematica la comunicazione delle iniziative più significative e ardua qualsiasi programmazione territoriale, favorendo i soggetti che, a prescindere dalla qualità e dalla serietà delle produzioni, dispongono dei budget di comunicazione più corposi, capaci di superare il pigolio indistinto di migliaia di proposte, spesso decenti”, dice lo studio.
Rimane invece immutata la struttura dei calendari, con concentrazioni elevate nei mesi di maggio e giugno (1.582 e 1.628 eventi) e in quelli autunnali (ottobre con 1.629 e novembre con 1.586), mentre si confermano le cadute di febbraio (1.095 eventi) e agosto (1.042). Questi dati ribadiscono la funzione anticiclica delle mostre temporanee, i cui picchi di offerta non seguono l’andamento dei flussi delle città d’arte e dei musei, spesso costituiti dai visitatori stranieri.
“Il ’turismo da mostre’, pur essendo teoricamente riconducibile sia a quello ‘culturale’, sia a quello delle ‘città d’arte’, opera con meccanismi e tempistiche diverse, come si può evincere dalle eccellenti performance dei mesi autunnali e di dicembre”, si osserva.
Venendo alle politiche di accesso e di pricing, infine va rilevato il netto predominio degli ingressi gratuiti, che totalizzano il 66,6% contro il 14,9% di quelli a pagamento. Il restante 19,3% è costituito da eventi per i quali non è stato possibile identificare con certezza la modalità d’accesso, “anche se, nella maggior parte dei casi, si dovrebbe trattare di mostre a ingresso gratuito, la cui incidenza impedisce di rivedere le logiche e le politiche di pricing”, conclude.