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Italia non è la pecora nera dell’UE e dovrebbe comunicarlo meglio…

Creato il 19 luglio 2013 da Capiredavverolacrisi @Capiredavvero

Viene qui riportata la seconda parte dell’intervista al prof.Fortis, incentrata sulla situazione italiana rispetto all’Eurozona

In ottica europea il nostro debito pubblico viene sempre additato come il dato più pericoloso e la fonte delle preoccupazioni dei mercati. Siamo così distanti da quelli degli altri Paesi?

Marco Fortis

No. Sia chiaro: il nostro debito pubblico è troppo alto e va ridotto. Ma non è il problema numero uno dell’Europa. Veniamo sempre tirati in ballo noi, ma ciò non corrisponde alla reale situazione. Infatti, se il debito pubblico dell’Italia ha superato i 2.000 miliardi, quello della Francia è ormai praticamente di poco inferiore e l’Inghilterra ha debito per oltre 1800 miliardi di euro, gli Stati Uniti ne hanno per oltre 16000 miliardi di dollari e la Germania ha un debito pubblico di oltre 2.100 miliardi.

Per non parlare del debito privato privato…

Esatto, tutti questi Paesi, infatti, hanno debiti delle famiglie enormemente più alti dell’Italia. Ma non solo. Il debito pubblico non è importante solo in termini assoluti, ma è fondamentale capire anche come esso è scadenzato nel tempo. Sei si va a vedere il numero di maggio dellaFinancial Stability Review” della BCE si noterà a pagina 21 un grafico che riguarda il fabbisogno statale lordo dei governi dei Paesi dell’eurozona nel 2013, cioè l’ammontare di denaro che ciascuno Stato deve recuperare per rifinanziare il debito esistente in scadenza e il nuovo debito costituito dal deficit. Da quel grafico appare evidente che l’Italia, pur avendo il secondo rapporto debito/PIL dell’Eurozona, è solo il sesto Paese per fabbisogno statale lordo. Davanti a noi ci sono non solo Cipro, Belgio, Grecia e Spagna, ma anche la Francia mentre la “virtuosa” Olanda è subito dietro di noi al settimo posto.

Quindi? Questo cosa vuol dire?

Quindi il nostro debito pubblico ha delle scadenze meglio distribuite nel tempo e in più abbiamo un deficit annuo molto basso. Questo deficit basso ce lo siamo guadagnato tutto a prezzo di grandi sacrifici per l’economia. E allora bisognerebbe far valere di più questo risultato in sede UE e a livello internazionale. Al contrario, veniamo ingiustamente penalizzati dalle agenzie di rating, che ci declassano puntualmente – e ciò insospettisce – alla vigilia del collocamento dei nostri titoli; sembrano quasi telefonati questi declassamenti, in modo tale che chi deve comprare titoli pubblici non compra più i nostri ma quelli di altri Paesi, magari più vicini alle stesse agenzie di rating.

Quali cifre emergono da quel grafico?

Con le cifre che si possono estrapolare dal succitato grafico della BCE, ove il fabbisogno statale lordo è espresso in percentuale del PIL, si può fare una stima approssimativa di quanti miliardi di euro quest’anno chiederà ciascun Paese dell’Eurozona ai mercati: l’Italia chiederà meno di 400 miliardi, mentre la Germania ne chiederà circa 430 e la Francia addirittura 520. Dunque non è solo il nostro Paese a bussare alla porta degli investitori. Governo, Banca d’Italia, Istat, ecc. dovrebbero comunicare di più e con più energia questi dati. Forse fare meglio comunicazione finanziaria non risolverà le cose ma almeno come italiani dovremmo cercare di non farci mettere sempre dietro alla lavagna da chi ci giudica.

Siamo troppo autolesionisti secondo Lei?

Negli altri Paesi sulle notizie economiche e finanziarie più sensibili vige quasi una regola del silenzio da parte di istituzioni come banche centrali, istituti di statistica, associazioni produttive, ecc. I dati vengono spesso pubblicati con ritardo e senza commenti che possano penalizzare il proprio Paese di fronte al giudizio dei mercati. Caso lampante il deficit statale francese. La Francia ha annunciato che farà ogni sforzo per ridurre il deficit, ma c’è da dubitare che ci riuscirà. Tuttavia, se va bene, lo sapremo solo verso la fine dell’anno. Qui da noi invece, si stanno già facendo in pubblico, in TV e sui giornali, i calcoli e le previsioni sulla manovrina d’autunno che dovremo fare, buttando in pasto ai mercati cifre spesso sconclusionate.

Questo crede che incida anche sui margini di manovra da negoziare con la Commissione Europea?

Tutti i Paesi cercano di negoziare con la Commissione Europea condizioni per avere maggiori margini di manovra fiscale. Guardi cosa hanno fatto Francia e Spagna. Per l’Italia tutto è più difficile, perché ci zittiscono subito dicendo che abbiamo il secondo più alto debito/PIL dell’Eurozona dopo la Grecia. E nessuno fiata per controbattere, mentre in base ai “fondamentali” di cose da dire per replicare ne avremmo. Altri Paesi, messi ben peggio di noi, sono politicamente più coesi, determinati e compatti e perciò ottengono più risultati. Ad esempio c’è una Spagna che, zitta zitta, si è portata a casa i soldi per salvare le proprie banche, grazie anche al contributo della stessa Italia, pur avendo un deficit statale che l’anno scorso è arrivato al 10,8% del Pil quando il nostro era fermo al 3%. La Spagna quest’anno dovrebbe fare miracoli per rispettare gli impegni presi con l’Europa. Sicuramente non ci riuscirà ma state certi che a fine 2013 da Bruxelles verranno fatte più ramanzine all’Italia che non a Madrid.

Molti Stati hanno chiesto proroghe per il fiscal compact e i rientri nei parametri. Avremmo dovuto farlo anche noi?

Noi non le abbiamo chieste ed io sono personalmente favorevole a questa scelta che è stata fatta dal nostro Governo. Eravamo in chiusura di una procedura d’infrazione e a quel punto, visti anche i sacrifici già fatti, dovevamo uscirne. Ma ora che ne siamo usciti, mettiamo i numeri sul tavolo, facciamo valere le nostre cifre, perché la Commissione europea concede proroghe e margini di manovra a tutti i Paesi, anche a quelli con una situazione finanziaria ben peggiore della nostra. Invece, quando poi tocca all’Italia negoziare, rispunta sempre la storia del secondo debito/PIL più alto d’Europa. La realtà è che noi siamo sopra il 100% del debito/PIL da vent’anni e non siamo mai falliti perché il Paese ha una grande economia reale ed una enorme ricchezza privata. Mentre nell’Eurozona vi sono Paesi che rischiano di crollare anche solo dopo pochi mesi che hanno superato l’80% del  rapporto debito/PIL.

Quindi, il peggioramento più evidente riguarda altri stati dell’Eurozona? 

Il punto è che le istituzioni italiane (che devono comunicare di più e meglio) e quelle internazionali (che ci ascoltano) dovrebbero prendere atto che il mondo è assai cambiato negli ultimi dieci anni. Anche chi prima era virtuoso ora è un “peccatore”. L’Italia non è più la pecora nera isolata del debito pubblico. Noi nel 1995 avevamo un debito pubblico doppio sia di quello francese sia di quello inglese, mentre ora Inghilterra e Francia sono quasi al nostro livello in miliardi di euro. Ogni volta che l’euro sta per saltare puntano il dito contro l’Italia, ma vediamo come farà la Francia a rispettare gli impegni con l’Europa. La realtà è che lo spread francese sinora è rimasto basso perché ciò conviene anche alla Germania. Perché se venisse a cadere la Francia l’eurozona si ridurrebbe, di fatto, solo alla Germania e quindi non esisterebbe più. La Germania ha bisogno della Francia per poter dire che questa Europa, ben lontana da quella immaginata dai padri dell’europeismo, esiste ancora. E la Francia per i tedeschi è la foglia di fico con cui possono giustificare lo status quo delle attuali politiche economiche disastrose da essi stessi imposte ai Paesi partner.

E se la Francia è la foglia di fico, l’Italia che ruolo ha? Il terzo incomodo?

L’Italia è il pretesto, ancor più che i Paesi periferici, per continuare a testa bassa in Europa nella politica dell’austerità. Per dire che c’è qualcosa di più pericoloso di Grecia e Portogallo dietro l’angolo, cioè noi. Ma questo non era vero nel 2010, nel 2011-12 e non lo è nemmeno adesso. Abbiamo avuto un tremendo problema d’immagine del Governo nel 2011 e per recuperare credibilità a livello internazionale abbiamo dovuto mettere in atto un’austerità ben superiore a quanto richiedessero i fondamentali, con le gravi conseguenze sull’economia che conosciamo. Ma nel 2011, quando il Governo Monti non aveva ancora fatto praticamente nulla, l’Italia in realtà ha chiuso l’anno con una crescita del tasso di disoccupazione rispetto al 2008 tra i più bassi al mondo, con il debito pubblico che era aumentato poco durante la crisi, più o meno come quello della Germania in punti di PIL, con il consumo delle famiglie che era tornato in termini reali ai livelli del 2008.

Quindi non avevamo l’economia in pezzi?

Questi dati dimostrano che i mercati ci hanno penalizzati più per la nostra debolezza politico-istituzionale che non per le condizioni reali dell’economia. Bisognerebbe iniziare a discuterne in Italia, senza buttarla sempre in politica ma parlando solo dei numeri. Il nostro nel 2011 è stato più un problema d’immagine che un problema economico. Speriamo di non dover ripetere lo stesso errore in un prossimo futuro. Abbiamo prima di tutto bisogno di un governo stabile per uscire dalla crisi e fronteggiare eventuali nuovi attacchi speculativi ai nostri titoli di Stato.


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