Se ve la devo dire tutta, non ho mai pensato si tratti di una forma d’arte, per lo meno non generalizzata. Mi spiego. Se ho la velleità di fare il musicista, registro il mio pezzo, lo metto online da qualche parte o lo distribuisco su cd, ma la fruizione rientra nel libero arbitrio del pubblico. Se voglio fare lo scrittore il processo è analogo. Per i graffittari è per forza di cose diverso, scelgono un muro e via di spray, e l’opera è in mostra permanente, a portata di tutti. Se è gradevole, ben venga. Ma i muri e gli arredi degli spazi pubblici li pasticciano sia gli esponenti più in voga della street art che lo scavezzacollo qualunque armato di bomboletta che si dichiara alla compagna di banco. E il passante è costretto ad ammirarle entrambe, la bella e la brutta, la vis espressiva e la ciofeca, il che non sarebbe un problema se si trattasse invece di una mostra temporanea che un bel giorno termina, la disallestisci e finisce lì. Certe opere d’arte rimangono illese fino alla successiva mano di pittura, o fino all’intervento vendicativo del rivale di turno. Volano persino schiaffi ai restauratori se colti sul fatto a danneggiare la proprietà intellettuale, raramente l’artista urban è talmente umile da incoraggiare il work in progress delle proprie creazioni. A Genova, anni addietro, era praticamente impossibile trovare una qualsiasi tag non violata da un baffo di vernice bianca, una firma di disprezzo posta in calce alla cattiva educazione altrui di appropriarsi di beni comuni, anche se desueti o altrimenti non utilizzabili. Oggi, a maggior ragione che il 2011 è l’anno internazionale della chimica, è sufficiente una passata di non so quale solvente per riportare muri, piastrellati e non, all’antica foggia, bella o brutta che sia. Così vedere il personale addetto a questo tipo di operazioni, che non esisterebbero se gli artisti metropolitani utilizzassero tele o qualsiasi altra cosa rimovibile, mi mette sempre di buonumore. Sicuramente loro sono meno entusiasti di passare ore a cancellare farneticazioni murali dalla nostra lettura forzata quotidiana, immersi (soggetto: loro) negli aromi di certo poco salubri ma virtuosi della redenzione civica, posso anche capirlo, così cerco di ringraziarli sempre – e non sono l’unico – per l’impegno profuso nel togliere di mezzo acriticamente (ma il gioco vale la candela) capolavori e fuffa.
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