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Italian Zombie, il progetto. Intervista a Simone Arminio

Creato il 29 luglio 2013 da Frailibri

Italian Zombie. Cronache dalla resistenza, 80144 edizioni (2013), 304 pagine, 13 euro

simone arminio
Un’altra intervista per capire come gli autori di Italian Zombie, chiamati alle armi da Paolo Baron, hanno reagito e lavorato per portare a termine – con risultati sorprendenti – l’impresa. Un excursus non solo su un progetto di una piccola e attivissima casa editrice, la 80144 edizioni, ma sul mestiere di scrivere.

Simone Arminio stesso ci racconta nel suo intervento la storia del suo personaggio; quindi non aggiungo altro e mi godo insieme a voi l’intervista.

Paolo ti ha chiamato. E tu?
Mi ha detto ‘ho una grande idea per giugno: sei un appassionato di zombie?’ gli ho risposto di no, ma lui non mi ha sentito: era troppo entusiasta. Si è buttato a capofitto nella descrizione di Italian Zombie e alla fine mi ha convinto. Il bello è che prima di ogni nuova idea tentenna per mesi. La butta lì come fosse un’idea nata morta. L’accarezza in modo freddo, ne sembra il più critico. Poi, quando si convince, si gasa così tanto che, qualunque sia il tema, alla fine convince anche te. Dovesse propormi una raccolta sul rapporto dei monaci tibetani col ricamo punto croce, se ci mette il solito entusiasmo, due minuti dopo sto già scrivendo. Tre minuti dopo già lo maledico, ma questa è un’altra storia.

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Ti sei confrontato subito con gli altri scrittori e le altre scrittrici?
È stata la parte più bella. Quando tutti eravamo ancora nella fase di studio è arrivata una pagina segreta creata su facebook da Paolo, alla quale ci avvicinavamo con una certa paura. La odoravamo, mettevamo ‘mi piace’ poi scappavamo per giorni. Ci faceva paura, credo, il fatto di sapere che qualunque stronzata scrivevi lì sopra correva il rischio di finire nel libro. Poi, quando tutti abbiamo iniziato a scrivere, è successo il miracolo. Abbiamo cominciato a lanciare messaggi in bacheca e un minuto dopo era chiaro che fossero i nostri personaggi e non noi a scrivere. Ogni messaggio, arrivato quasi sempre dopo giorni di silenzio, apriva uno squarcio in un mondo che non conoscevamo e che non abbiamo conosciuto fino a ieri, quando il libro è arrivato in libreria. È stato bellissimo ritrovare tutti quei personaggi (più o meno) sani e salvi.

Hai deciso subito come avreste potuto far incontrare i vostri personaggi o incrociare le storie?
No, il merito delle loro interazioni è tutto di quella pagina facebook. Che ci ha spronato e spinto a ragionare con concretezza. Modificando, in fieri, anche le scelte dei nostri personaggi.

Ti sei documentato sugli zombie?
Ho visto qualche puntata di una serie tv. Un po’ di senso dell’horror ce l’avevo in substrato, per via dei quintali di Dylan Dog che ho in libreria. Il resto è tutto gusto del neofita.

Hai scritto di impulso o hai ”studiato”, creato una scaletta e cosa ha ispirato la tua storia?
Scrivo sempre d’impulso. Che detta così fa pensare allo scrittore navigato che di mattina, appena sveglio in terrazza, d’improvviso strabuzza gli occhi, si riempie il bicchiere di Martini e si butta sul pc in preda all’istinto creativo. In realtà sono solo un poco ansioso e tarato alla velocità di pensiero del mestiere di giornalista. Che di fronte alla pagina bianca quotidiana ha un timer davanti agli occhi, un caporedattore che gli alita sul collo, un telefono che squilla e la necessità di farsi ispirare in tre secondi e scrivere tutto in mezz’ora. Perciò, quando Paolo o qualcun altro mi propone qualcosa su cui lavorare, in genere per prima cosa focalizzo in testa, a turno, un’immagine, un frammento di dialogo o un plot ridotto all’osso del tipo “la storia di uno che fa questo e poi succede quest’altro” e mi ci attacco con tutte le mie forze. Quasi sempre quell’immagine, riveduta, ampliata e corretta, diventerà il focus del racconto. Se l’immagine non parte in automatico (qualche volta è capitato) chiamo Paolo e rassegno le mie dimissioni. Nel caso di Italian zombie le immagini sono state due: uno scantinato di una libreria sotterranea di Bologna e un posto in mezzo al bosco fitto dalle mie parti, in Sila, che si chiama ‘Buonanotte’ perché ha alberi talmente fitti che anche di giorno la luce non filtra ed è buio pesto. La prima se l’è presa il mio amico Dario Coriale, e a giudicare dal risultato ne sono felice (è il racconto con più stile di tutto il libro, posso dirlo? l’ho detto). Io mi sono tenuto Calabria di montagna, che ha molti alberi e pochissima densità demografica. E io ci sono nato, perciò a mio modo la conosco bene. Collegata agli alberi è arrivata l’immagine del maniero di Le Castella, bello, aragonese, a picco sul mare, che resistette ai Turchi (ma alla fine cedette) e che molti conoscono (senza saperlo) per averci visto Gassman in Brancaleone alle crociate. Trovatemi lì, maledetti zombie, se ci riuscite. Ecco: le ultime parole famose. Alla fine anche lì mi hanno trovato. Perché una cosa che non ho aggiunto è che, in genere, parto da un’immagine ma poi ne sono alla completa mercé. Mentre scrivo sento una vocina continua a dirmi: “E ora che succede? Ma e adesso che dice? A sto punto lui che fa?”. Il risultato ha quasi sempre risvolti che nemmeno dopo sei settimane di spremitura di meningi avrei potuto pensare. Da qui l’avventura di Oscar Colosimo: un giornalista che si imbatte nell’epidemia, a Crotone, assiste allo scontro epico tra due mali, la malattia nuova e quella atavica, la mafia, e fugge nei boschi nel tentativo di sfuggire a entrambe. Poi alla fine agisce d’istinto. Grande Oscar, non mi aspettavo quel finale lì.

Hai un aneddoto legato al periodo di lavorazione che vorresti raccontare?
Credo che le cose più belle fossero le continue telefonate e i dialoghi improbabili fatti con Paolo e gli altri scrittori. Vedere qualcuno strabuzzare gli occhi o guardarti con aria preoccupata solo perché tu, del tutto serio e a volume altissimo, magari per strada o in ufficio, chiedevi al telefono: “Sì ma scusa il mio ha mangiato carne umana, ma mangia anche gli animali? Tipo i gatti? E se perde le budella può ancora camminare? Perché se gli spiaccichi il cervello, ok, allora muore di sicuro…”



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