In Italia abbiamo elenchi, scritti e non scritti, di eccellenze per qualsiasi categoria di persone. Abbiamo i migliori statisti, i più bravi economisti, i più intelligenti giornalisti, i più sottili opinionisti, eserciti di caparbi sindacalisti, legioni di pionieristici confindustralisti, plotoni di onesti pacifisti, orde di sinceri democraticisti, fitte schiere di non conformisti, drappelli nutriti di europeisti, gruppi di audaci mondialisti, esempi di fieri universalisti, e poi filosofi e storici, scienziati e scrittori, cineasti e artisti, talenti e promesse in ogni disciplina umana che durano sulla scena intellettuale qualche settimana. Oppure tutta la loro breve vita, ça depend dal grado di parentela ben collocata o dalla corruttela morale dell’individuo o, ancora, dalla sua capacità di autoconvincimento circa qualità che non possiede ma che gli altri del suo giro fingono di riconoscergli. Quasi mai però il ricordo di questi grandi uomini supera la loro generazione. Quando poi costoro tirano le cuoia, i compagni di ventura, preoccupati che sia la loro propria figura a finire nel dimenticatoio , dedicano all’amico morto qualche fondazione che ne porta il nome o una saletta nell’istituzione cosicché, mantenendo aperta la memoria chi visse correttamente senza concludere niente, sperano che altri facciano altrettanto con loro dopo l’estrema unzione. Per questo si moltiplicano i monumenti all’uomo qualunque che in Italia sono inferiori soltanto alla produzione di pasta. Costoro, incensati dai colleghi coi premi alla carriera, alla trovata più originale, al pensiero più autentico, al libro più ardimentoso, al film più introspettivo, prima o poi si bruciano da soli senza essersi accesi, oppure pagano con la propria dignità, su carta intestata al lignaggio, acquisito od originario, la permanenza nei circuiti della propaganda dominante o l’abbonamento ai salotti chic frequentatati da tanta bella gente che non capisce un bel niente. Con tutta questa roba che si rinnova, si modernizza, progredisce, cresce, si trasforma, abbellisce ma stranamente, non si sa perché, istupidisce, non elaboriamo una idea nuova dai tempi di Leonardo da Vinci. Li senti parlare e tutti hanno a portata di lingua la soluzione per l’avvenire. Lo statista liberale: ci vuole rigore. Nella variante di sinistra: ci vuole rigore con un po’ di generale buonumore. L’economista liberista: ci vuole rigore. Nella versione statalista: ci vuole rigore con un pizzico di pubblico amore. L’opinionista liberale: ci vuole rigore. Nella variante progressista: ci vuole rigore con un tot di etica collettiva. Il sindacalista, nell’unica variante che conosciamo: ci vuole rigore contro il padrone. Il confindustrialista: rigori e tremori ai lavoratori. Il pacifista: la guerra mai, ma se la vuole la sinistra non è conquista ma atto di liberazione. L’europeista conservatore, nutre sempre qualche timore. L’europeista progressista, appoggia con ardore. Piccole variazioni sul repertorio per cloni creati in laboratorio che dell’Italia fanno strame e coi trofei all’indecenza fanno la staffetta. Siamo dunque troppo bravi o forse troppo incoscienti per cadere nel burrone senza convinzione e chi annuncia il tracollo generale è un povero disfattista antinazionale, agente di Putin o di Gheddafi, che non ha compreso le nostre potenzialità epocali. Pertanto, checché ne dicano i nostri detrattori noi non stiamo precipitiamo nel fosso e la vertigine che sentiamo non è caduta nel baratro, bensì risalita verso il fondo dal quale non ci sarà ritorno. La nostra originalità non ha davvero limite, perché il limite della decenza l’abbiamo superato da un bel pezzo. Un altro premio al popolo indefesso fatto fesso.
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