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In questi giorni, di ritorno dal Festival di Cannes, non ho potuto fare a meno di leggere e sentire tutte le polemiche nate in Italia dopo che dal palmarès sono stati esclusi i tre film nostrani in concorso.
A Cannes ci sono stata solo gli ultimi 3 giorni: questi film non ho potuto vederli e qui in Francia non sono ancora usciti, per cui non posso esprimere giudizi sul loro valore e la loro eventuale (grande) bellezza.
La competizione di quest’anno, che sulla carta sembrava davvero notevole, a quanto pare si è rivelata una totale delusione.
Dal film di Gus Van Sant a quelli di Maïwenn e della Donzelli, tutti gridavano alla scandalo per il livello di certe pellicole in competizione, mentre – a quanto sembra – le sezioni collaterali pullulavano di film interessanti e innovativi (uno su tutti, Le Mille e una notte, la pellicola-fiume di Miguel Gomes, il regista portoghese di Tabù).
Ho visto però il film che ha vinto la Palma D’Oro, Dheepan di Jacques Audiard, e per quanto mi riguarda se la meritava tutta.
Per la verità, Audiard già se la sarebbe meritata nel 2009 per quel capolavoro assoluto che era Un Prophète, ma era l’anno del Nastro Bianco di Michael Haneke, e purtroppo non c’era stato verso.
Molti pensano che Dheepan sia un film minore rispetto ad Un Prophète, ed è vero, perché quello era un film grandioso, assoluto, ma questo è comunque un film bellissimo, potente e di altissimo livello.
Leggere peste e corna del film di Audiard e della giuria, come è successo in questi giorni sui giornali del nostro Bel Paese, o – ancora peggio – leggere che il cinema italiano è il migliore del mondo, che non esiste un altro paese che possa vantare dei talenti come la triade Garrone-Sorrentino-Moretti (ma che davero, davero? ma che comincio a farvi delle liste?), mi fa sinceramente venire un po’ da ridere.
No, mi dispiace, il nostro non è il cinema migliore del mondo.
E non credo che all’Italia convenga mettersi a fare dei paragoni, soprattutto non con la Francia.
La Francia, che ci piaccia o no, è il paese che in Europa produce più film di tutti.
Qui il cinema è un’arte e un’industria, roba seria, sia dal punto di vista artistico/culturale che dal punto di vista economico. I francesi se lo possono permettere perché hanno un governo che aiuta il cinema e tutti gli operatori del settore. Ma il motivo che sta alla base di questa florida industria, mettetevelo bene nella testa, è uno solo: e cioé che i francesi VANNO al cinema.
In massa.
A Parigi, anche in una giornata di giugno con il sole, se si entra in un cinemino del Quartiere Latino di primo pomeriggio per vedere un film russo di 3 ore con i sotto-titoli in uzbeco, state sicuri che lo trovate pieno.
Qui il cinema lo amano. Davvero.
Se l’Italia amasse veramente il cinema, tanto per dirne una, la si farebbe finita con questa pratica barbara di doppiare i film.
Ma qualcuno si rende conto del provincialismo totale di questa cosa?
I film DOPPIATI IN ITALIANO nel 2015?
Pensate solo che il film di Paolo Sorrentino, un regista italiano che ha girato in inglese, voi ve lo state vedendo in Italiano. Ma perché?
Michael Caine, uno degli attori dalla voce più meravigliosa che ci sia al mondo, voi ve lo vedete doppiato da un qualsiasi attorucolo con l’accento romano. No, dico, contenti voi.
Quindi, per favore, non statemi a dire niente.
Soprattutto non che abbiamo il cinema più bello del mondo.
Abbiamo dei bravissimi registi, certo, ci mancherebbe, ma non è che siano tantissimi, eh.
E in più manco li stiamo aiutando, se tanto mi dà tanto...
Gli ultimi 4 film di Jacques Audiard (De battre mon coeur s’est arrêté, Un Prophète, De Rouille et d’Os e Dheepan), per dirne una, valgono da soli stuoli di intere cinematografie di registi italiani mediocri e senza un bruciolo d’inventiva.
Italiani, sveglia!
Il Festival cinematografico più importante del mondo, con tutti i difetti che possa avere, pensate un po’, che caso, eh? che cosa buffa eh?, si fa a Cannes, nel Sud della Francia.
Fatevi una domanda, e datevi una risposta.
E finitela di lamentarvi.
La cultura cinematografica si insegna, si impara, e l’amore per il cinema è una malattia che si prende in un modo solo: stando seduti in una sala buia.
Tutto il resto, per quanto mi riguarda, è fuffa.
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