Italiani alla conquista del mondo. Storie e aneddoti di calciatori che sono emigrati all’estero nel tentativo, non sempre riuscito, di tenere alto il nome del Belpaese. Vittorie, sconfitte, meteore, bidoni, campioni, gol e parate: omaggio a chi ha portato in giro per il globo il nostro Tricolore.
Molti si ricorderanno di quel ragazzone italo-nigeriano per essere stato, quella sera di ottobre ’96, il primo calciatore di colore a vestire la maglia della Nazionale azzurra under-21 e, di fatto, precursore di una tendenza che si sarebbe sviluppata negli anni a venire, fino ai celebri esempi di Balotelli, Ogbonna o Santacroce, tanto per citarne tre.
Il suo nome è Joseph Dayo Oshadogan, difensore centrale classe 1976, nato a Genova. La doppia nazionalità, data dal padre nigeriano, ha sempre fatto di lui uno spirito inquieto, alla ricerca dell’avventura e della scoperta.
In Italia, ha trovato poche gioie e tante incomprensioni, tanto da accettare per ben due volte il richiamo del calcio estero.
Dopo Pisa, Foggia, Roma e Reggina si accorda col Cosenza, club calabrese di serie B: in due anni gioca 51 partite e assiste alla cancellazione della società silana, dopo la retrocessione in C1; svincolato, durante l’estate riceve molte proposte da squadre italiane, nessuna che fino in fondo sazi la sua curiosità.
Almeno fin quando non gli arriva la telefonata di Didier Deschamps, tecnico del Monaco. Non si tratta certo del Monaco milionario di oggi, ma la società del Principato era comunque una solida realtà francese, vincente e dal passato glorioso. Joseph non si lascia sfuggire l’occasione e, il 22 agosto 2003, è ufficialmente un rouge et blanc.
In quella squadra trova il connazionale Flavio Roma tra i pali, una vecchia conoscenza del calcio italiano come Patrice Evra e poi altri grandissimi giocatori del calibro di Squillaci, Givet, Giuly, Rothen, Nonda, Prso, Morientes e Adebayor. Lo stesso Oshadogan sa bene che non sarà facile ritagliarsi un posto negli undici dell’ex centrocampista juventino.
L’esordio, dopo molte panchine e alcune tribune, avviene il 21 settembre 2003: al 54esimo minuto, allo Stade de la Mosson di Montpellier sostituisce Givet, aiutando i compagni ad espugnare il campo degli arancioblu per 2 a 1. Da lì a fine stagione, però, solamente altre due presenze – a ottobre e nel disastroso 4 a 1 casalingo di maggio contro il Rennes di uno scatenato Kallstrom. A fine campionato, il Monaco raggiunge la terza posizione, alle spalle del Lione campione di Francia e del Paris Saint-Germain. In Champions League il ragazzo italiano è spesso in panchina, ma mai utilizzato, anche se, come ricorda lo stesso genovese, è un sogno essere presente sul palcoscenico più importante d’Europa…soprattutto se fino a meno di un anno prima si era appena retrocessi nella terza divisione italiana.
La squadra del Principato, nel suo cammino continentale, supera Lokomotiv Mosca, Real Madrid, Chelsea e si presenta alla finale più impensabile degli ultimi anni: è il Porto di un giovane José Mourinho a contendergli la coppa ‘dalle grandi orecchie’. I lusitani vincono 3 a 0, l’amarezza è tanta sulla sponda transalpina, ma l’esperienza di Oshadogan, seduto in panchina quel 26 maggio, è di quelle che ti porti dentro per sempre.
L’anno seguente è ancora alla corte di Deschamps e arrivano nuovi compagni di spogliatoio: Kallon, Saviola, Maicon e Chevanton su tutti. Ciò che non cambia, sfortunatamente per l’ex under-21 italiano, è l’impiego in campo: solo una presenza a fine stagione, terminata ancora una volta al terzo posto, dietro Lione e Lille.
Il ritorno in Italia, nell’estate del 2005, è, se possibile, ancora peggiore. Ad ingaggiarlo è la Ternana di mister Raggi, compagine di serie B con ambizioni più alte. In società, però, regna il caos: a Oshadogan e altri giocatori viene chiesto di ridursi lo stipendio e, a fronte del rifiuto, imposta la condizione di ‘fuori rosa‘. Al campo di allenamento la dirigenza ha addirittura assoldato delle guardie del corpo che impediscano ai ‘ribelli’ di allenarsi con il resto della squadra. Oshadogan, dopo una lite con l’allenatore, che lo irride dicendogli di darsi al golf, si presenta al campo vestito da golfista con tanto di mazze. In un periodo così nero – lo stesso difensore ammetterà di essere ricorso anche alle cure di un neuropsichiatra per superare le avversità – è, ancora una volta, un’esperienza estera a ‘salvarlo’. La chiamata arriva dal Widzew Lodz, formazione del campionato polacco che acquista anche Stefano Napoleoni, il primo italiano a giocare per una formazione della Polonia.
Oshadogan ritrova presto il sorriso e la voglia di giocare a calcio: regge le sorti della difesa polacca con maestria, aiutando mister Probierz a salvare la squadra nella stagione 2006/2007. Anche l’annata successiva vissuta da titolare: lui e Napoleoni sono tra i leader della squadra ed è inevitabile che la fascia di capitano venga affidata proprio al roccioso centrale difensivo. L’avvicendamento tecnico – ben tre allenatori in una stagione – non giova alla compagine dell’est, che chiude l’Ekstraklasa in penultima posizione, retrocedendo.
Finisce così, con l’ennesima retrocessione, l’avventura calcistica e professionale forse migliore, sicuramente la più serena, di Joseph Dayo Oshadogan. Il ritorno in Italia, tra le fila del Lanciano, è ufficializzato da lì a poco.
Nel breve racconto delle gesta oltre confine di Oshadogan, ho dimenticato un grande avvenimento: a 23 anni gli viene diagnosticato un tumore. Ma Dayo supera anche questo.
Dayo significa “gioia di vivere” d’altronde. E di giocare, aggiungerei io.