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Italy: grow or go (out)!

Creato il 13 giugno 2012 da Fugadeitalenti

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“Cresci o esci”: mai come in questi giorni è di attualità il titolo dell’ultimo libro di Roger Abravanel (scritto con Luca D’Agnese), che ho cominciato a leggere con interesse lo scorso weekend.

Un volume che rappresenta un atto d’accusa mirato e chirurgico a un’Italia furba, che pensa sempre di farcela, che si inquieta quando arriva l’”uomo nero” (come direbbero gli spagnoli) a presentare il conto dopo l’abbuffata mai pagata, e che -soprattutto- si rifiuta di vedere i reali problemi della sua economia, continuando a coltivare falsi miti (ad esempio quello del “piccolo è bello”, ormai superato e frantumato dalla globalizzazione).

Una lettura obblogata fin dalle elementari, questo libro, e lo scrivo in modo totalmente spassionato. Roger Abravanel non è né mio amico, nè mio parente, nè mio zio… semplicemente qualcuno che scrive le cose per come stanno. Magari non avrà ragione al 100%. Ma al 90% sì.

I dati, come sempre dipingono uno scenario dal quale non si scappa: nel primo trimestre 2012 il Paese ha registrato una recessione, con una regressione del Pil pari al -0,8%. Calano le importazioni e rallentano le esportazioni. In Europa si fa apertamente il nostro nome, in quanto a possibilità di salvataggio, ora che anche il taboo spagnolo è stato infranto.

Frutto di un Paese squilibrato. Per le questioni economiche vi rimando all’ottimo libro citato sopra: qui mi voglio concentrare sui giovani. Illuminanti alcuni dati degli ultimi giorni.

Il quadro più completo è stato tracciato dal Centro Studi Confindustria, in uno studio presentato lo scorso weekend al Convegno di Santa Margherita Ligure. Ecco alcuni tra i dati più significativi:

-il 43% dei giovani trova lavoro grazie a famigliari e amici;

-il salario medio per gli under 35 è di 1123 euro, 1000 per le giovani donne;

-i salari crescono solo con l’anzianità;

-tra il salario di un 35enne e quello di un 65enne esiste uno scarto retributivo del 29%, differenza che sale fino al 92% se il confronto lo si attua tra laureati;

-il mercato del lavoro è chiuso ai giovani: alla poca flessibilità in entrata (un 25enne italiano ha il 25% di possibilità di trovare lavoro, contro il 35% del coetaneo tedesco e  il 45% dell’inglese), corrisponde una elevatà flessibilità in uscita;

-l’Italia investe in politiche attive del lavoro la metà delle risorse, rispetto alla Francia.

In conclusione, riassume il CsC (che ha realizzato lo studio con Banca d’Italia, Censis e Istat), quella italiana è “una società ancora molto familistica, dove scuola e lavoro appaiono come universi incomunicanti, i salari sembrano crescere solo con l’anzianità di servizio e non con il merito, e i giovani vengono esclusi dai posti di dirigenza“.

A ciò aggiungiamo che l’Istat ha annotato come nel triennio 2008-2011 la disoccupazione giovanile sia aumentata di ben 7,8 punti. E che, secondo l’Ocse, la spesa pensionistica nel Belpaese assorbe il 15,3% del Pil, cinque punti sopra la media. Welfare perso, per i giovani.

I dati sono eloquenti e parlano da soli. Crescere o uscire… ovviamente dal novero delle potenze industriali. E’ un destino così ineluttabile?

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