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Un operaio a capo di un sindacato. Sembrerebbe un fatto scontato. Eppure la scelta di Ivan Pedretti come segretario generale dello Spi è stata accolta, dai titoli dei mass media, con tale accentuata sottolineatura. Un segno di appar-tenenza che non dispiace a Ivan che proprio nelle bresciane fabbriche d'armi ha fatto la sua gavetta. E che certo è d'accordo col cronista concittadino che lo incontra e gli fa notare che con tutta probabilità il metalmeccanico della Beretta é riuscito a portare poi nel lavoro sindacale la concretezza tipica dell'operaio, lontana dagli ideologismi. Ovvero il contributo di chi è capace di analizzare il processo produttivo, gli sviluppi professionali, le possibili contrattazioni, i possibili risultati, senza inconcludenti estremismi. Quel giovane lavoratore pragmatico ha costruito la sua storia passando dalle fabbriche alla Fiom, poi da Brescia a Verona. Oggi siede nell'ufficio dello Spi a Roma, appena lasciato da Carla Cantone, e guarda alle pareti il bel manifesto con il viso di Bruno Trentin. Sono stati i suoi maestri: Pio Galli, Angelo Airoldi, Trentin. Oggi Ivan è qui e pensa al “sindacato del terzo millennio”. Lo racconta con un esempio, colto fra i duemila accordi fatti, nell’ambito della “contrattazione sociale”. E’ la “Casa della salute” realizzata in alcune aree della Toscana, dell’Emilia Romagna, del Friuli. “Un modo per prevenire ed essere più vicini al cittadino”. Nasce così, spiega, un nuovo welfare che segue i mutamenti del lavoro, il venire meno delle grandi fabbriche, la frammentazione produttiva. Un’altro tasto del progetto innovativo di Ivan riguarda il tema, molto “trentiniano”, della formazione. Addirittura parla di una “scuola Spi”. Non si tratta di una struttura vera e propria, “non sono le Frattocchie sindacali”. Mi cita il caso delle tante vicende di dissesto geologico. Ecco qui il sindacato può organizzare percorsi di formazione, di aggiornamento, utilizzando le competenze di geologi, di architetti, di professionisti pensionati, scarsamente utilizzati. Un lavoro di preparazione per costruire piattaforme, iniziative, per dare gambe al piano del lavoro proposto dalla Cgil.
E’ un impegno collegato a quello della “memoria” su cui lo Spi ha dato tanto. Ora il nuovo segretario vorrebbe allargarlo a un periodo storico più vicino, quello degli anni settanta, ottanta. Un periodo che trova un particolare interesse tra i giovani. Un pezzo di storia, sottolinea, “fatto non solo di lotte operaie, ma anche di mutamenti nel costume, nella musica, attraversato dalle tremende esperienze del terrorismo”.
Certo l’Italia è cambiata molto in quel periodo. L’operaio Pedretti lo ha vissuto nel profondo nord, nel Veneto. Con la nascita prepotente del leghismo, dell’antieuropeismo, della difficile integrazione con gli immigrati. “Noi nel 2002, quando la Lega decise di bruciare le tessere del sindacato, facemmo centinaia di assemblee, con confronti anche aspri”. Il sindacato, sostiene, è ancora un soggetto che può parlare a milioni di donne e uomini. “Per sua natura è portato a unire le persone, a lavorare per la coesione sociale. Il governo dovrebbe tenere conto di questo possibile ruolo”.
Chiedo però se il sindacato oggi ha ancora quella vitalità del passato. Ivan conferma le difficoltà: “bisogna uscire dalle sedi, le camere del lavoro devono aprirsi, il sindacalista deve tornare ad essere un po’ anche un agitatore sociale, non può stare lì ad aspettare il lavoratore ”. Il governo non sembra certo agevolare le cose. Anche se con i pensionati ha avuto un atteggiamento più duttile. Su pensioni e autosufficienza si sono ottenuti risultati e c’è stata un’apertura sulla povertà. Altre questioni sono aperte. Come quella di un fondo di garanzia per i contributi dei giovani flessibili, destinando ad esso una parte dei soldi della rivalutazione delle pensioni decisa dalla Corte costi-tuzionale. “Un modo per testimoniare chi fa l’egoista conservatore e chi no”. Rimane aperta, dopo la risposta parziale sulla tax area, la questione della parificazione fiscale, visto che oggi il pensionato paga più tasse del lavoratore dipendente.
Il sindacato, insiste il segretario dello Spi, “giudica le politiche dei governi non le loro composizioni”. Il metodo adottato dai pensionati è stato quello teso a costruire azioni di pressione nei confronti dei parlamentari e delle forze politiche “anche quelle più moderate e di destra”, avanzando proposte. Con comportamenti chiari: “Non si può balbettare se un impiegato pubblico va a timbrare il cartellino in mutande. Se ne deve andare a casa. Se no non aiuti neanche quelli onesti”.
L'attuale governo, dal canto suo, per essere davvero forte “non dovrebbe aver paura a confrontarsi”. Un governo che non ascolta la società “contribuisce a indebolire sempre più la partecipazione dei cittadini, aiuta l’astensionismo, il menefreghismo”.
La nostra chiacchierata-intervista è finita. Sto per lasciare l’ufficio di Ivan e entra per un saluto affettuoso Carla Cantone, colei che ha contribuito nella scelta del nuovo segretario. Ne approfitto per un ultima domanda sui possibili nuovi orizzonti per il sindacalismo europeo con la Cantone segretaria della Ferpa (i pensionati Europei) e un dirigente UIL (Luca Visentini) a capo della Ces (la confederazione europea). Abbiamo bisogno, dice Ivan, di conquistare più paesi all’idea di avere organizzazioni sindacali dei pensionati. C’è una possibilità di innovazione anche qui per rendere più esteso l’impegno a supe-rare diseguaglianze ed egoismi nazionalisti che contestano con l’idea europea.