Articolo di Ivan Scalfarotto, vice-presidente del Pd, pubblicato su Europa il 23 dicembre 2011
Secondo tema: l’abrogazione dell’articolo 18. Non è affatto vero che consentire il licenziamento per ragioni economico-organizzative (si chiama “giustificato motivo oggettivo”) significherebbe abolire l’articolo 18. Al contrario, nella proposta Ichino si prevede un chiaro allargamento dell’applicazione dell’articolo 18.
Mi spiego. L’articolo 18, oltre al caso della reintegrazione in assenza del giustificato motivo, prevede la reintegrazione nel posto di lavoro per i licenziamenti contra legem: quelli discriminatori o determinati da motivi futili (si parla di assenza di giusta causa). Oggi i precari non sono coperti in nessuno dei due casi: sono indifesi nel caso che vengano licenziati perché l’azienda oggettivamente necessita di ridurre il costo del lavoro. Ma sono assolutamente nudi anche davanti a un licenziamento causato dal fatto di essere gay o lesbiche, o incinte, o perché semplicemente di opinioni politiche diverse da quelle del capo.
Nella proposta che il governo verosimilmente ha in mente, tutti questi casi sarebbero immediatamente coperti dall’articolo 18, copertura di cui oggi assolutamente non godono. In sostanza, con la riforma, i neoassunti entrerebbero in azienda con un contratto vero, con tutti i diritti dovuti a un lavoratore e con la doverosa protezione contro licenziamenti capricciosi. Unica novità, rispetto ai contratti indeterminati di oggi: la possibilità delle aziende di licenziarli per ragioni economico-organizzative, ma in un sistema in cui viene predisposto un meccanismo di retribuzione quasi piena per tre anni e di formazione per la ricerca di un nuovo posto di lavoro.
In un momento di grande incertezza, un’iniezione di certezza. Il tutto avverrebbe in un’economia, si badi, meglio attrezzata ad attrarre capitali stranieri, oggi tenuti lontani dall’Italia anche dall’assurda farraginosità della legge sul lavoro e dalla imprevedibilità dei tempi e dei costi per far fronte a ristrutturazioni aziendali, se non nel caso di fallimento. È quello che avviene in tutta Europa, non solo in Danimarca.
La conseguenza di tutto ciò è che in nessun paese come da noi esistono milioni di giovani che vivono (e invecchiano) nell’attesa di avere un contratto inamovibile che nessun governo sarà mai in grado di garantire loro. Tutto questo va cambiato, e il Pd di questo cambiamento dovrebbe essere il campione.