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Ivan Zulueta, martire underground

Creato il 16 maggio 2012 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Ivan Zulueta, martire underground

Ivan Zulueta

Anno: 1980

Durata: 105′

Genere: Drammatico/Horror

Nazionalità: Spagna

Regia: Ivan Zulueta

Ivan Zulueta è a tutti gli effetti il solo cineasta underground spagnolo caduto vittima della sua stessa opera. Letteralmente. Ma Arrebato, il suo (quasi) unico film, ha un valore storico assai superiore al valore estetico, in quanto è il lavoro che meglio rappresenta il cinema del postfranchismo – oltrepassando le adozioni simboliche della crisi del racconto filmico – ed è una complessa e inquietante parabola sul potere del cinema e sulla complessa relazione tra immagini e realtà, procurata coniugando gli stereotipi del cinema di genere con il linguaggio concentrazionario del cinema sperimentale, così anticipando lavori come Videodrome, il (comunque) sopravvalutato film di David Cronenberg, e Strade perdute e Inland empire di David Lynch.

La solitudine del film di Zulueta è posta sotto il segno della differenza: arroccato su se stesso, emana la follia terminale del suo stesso significato che sconvolge gli archetipi del fantastico, celebrando funerariamente il cinema fino alle estreme conseguenze del delirio. Ad ogni modo, il discorso di Zulueta sul cinema come strumento non afferisce ai meccanismi narrativi della rappresentazione, ma al cinema come materialità. Arrebato collutta violentemente col linguaggio convenzionale correggendo gli stessi dispositivi mentali della percezione, descrivendo il suo tragitto come un percorso di smarrimento, come una sconfitta ontologica del cinema stesso.

Ivan Zulueta, martire underground

Il film è la storia di José Sirgado, regista horror in profonda crisi professionale e personale, che un giorno riceve un pacco con dentro un nastro girato da un ragazzo, Pedro, il quale da anni filma ossessivamente ogni cosa con una super8 alla ricerca dell’essenza stessa del cinema e della creazione, o, come la chiama lui, de “la pausa creativa”. È la stessa pausa che appare in uno dei filmini di Pedro, che nel frattempo hanno letteralmente rapito José attraverso un’estasi fulminea (un rapimento mistico, un’estasi improvvisa sono i due termini entro i quali si potrebbe tradurre il titolo del film), una pausa che si manifesta attraverso un fotogramma di colore rosso, un fotogramma che con il passare del tempo si allarga sempre più fino ad avviluppare l’intero film. Intanto Pedro si ammala chiudendosi completamente al mondo esterno: a questo punto José si reca a casa per visionare il materiale girato da Pedro, ma trova solamente una cinepresa accesa con la pellicola completamente piena di fotogrammi rossi, a parte una brevissima sequenza nella quale appare Pedro. Mentre la cinepresa continua a riprendere, José viene fagocitato dalla pellicola, e nel finale lo scatto dell’obiettivo diventa un colpo di mitragliatrice che fa scomparire definitivamente dalla vita reale il regista.

Zulueta riflette così non solamente sul mezzo cinematografico, ma anche sulle ragioni dell’epifania emozionale che lo hanno condotto ad avvicinarsi al cinema come luogo ossessivo di espressione, finendo tragicamente per replicare il medesimo destino di Sirgado. In modo inquietante, Zulueta ha generato una presunta “maledizione di Arrebato” nel momento in cui, inghiottito dal suo stesso film, ha finito la sua vita consumato dalle droghe nella solitudine della sua casa paterna di San Sebastián, disegnando manifesti per film di altri, escluso e totalmente ai margini dell’esistenza comune, fino alla morte.

Ivan Zulueta, martire underground

Arrebato si rivolge fatalmente agli stereotipi dell’horror in quanto il vampirismo è la sola metafora possibile per il cinema come monomania dello sguardo, così che il film è a tutti gli effetti una speculazione accecante sul potere eversivo del cinema, sulla dipendenza e lo stato di trance che esso produce, sugli stati alterati di coscienza e sul loro rapporto con mutamenti della percezione: insomma, sul tema mistico delle condizioni di trascendenza della realtà materiale in favore di quello spazio totalmente altro della visione che è il luogo della perdita, dell’incertezza, dell’eroico furore del nulla. Schivando gli artifici dell’utopismo psichico Zulueta osserva i suoi personaggi fisicamente, quasi li divora con la macchina da presa, occultati nel loro spazio claustrale, sino a farli diventare vittime della loro stessa ossessione. Arrebato ha creato da sé i principi della sua esistenza sullo schermo: dopotutto, il cinema come il resto non conduce che alla morte.

Beniamino Biondi

Ivan Zulueta, martire underground
Scritto da il mag 16 2012. Registrato sotto CINEMA SOMMERSO, RUBRICHE, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

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