J. edgar

Creato il 07 gennaio 2012 da Kelvin
(id.) 
di Clint Eastwood (USA, 2011)
con Leonardo DiCaprio, Naomi Watts, Judi Dench, Armie Hammer
durata 137'
VOTO :****
'Un vecchio rompicoglioni'. La definizione data da Richard Nixon all'appena defunto John Edgar Hoover, appena prima di andare a 'piangerlo' in diretta tv (ma senza dimenticarsi di perquisire il suo ufficio), la dice lunga sulla qualità della politica e della democrazia americana stile anni '70, in una nazione che aveva già 'perso l'innocenza' pochi anni prima, con gli assassini di John Fitzgerald Kennedy e Martin Luther King. Hoover era stato il fondatore dell' FBI, il custode assoluto di quasi mezzo secolo di segreti a stelle e strisce, l'uomo più temuto e rispettato del mondo, più degli stessi presidenti che gli si alternavano davanti (otto, in tutta la sua carriera).
Hoover era l'immagine della Ragion di Stato, l'emblema del 'fine che giustifica i mezzi', del marciume della politica che si adattava ad ogni compromesso pur di mantenere l'ordine e il potere, a qualsiasi costo. Oggi, a quarant'anni di distanza, George Clooney con le sue Idi di Marzo ci ha appena detto che poco è cambiato,  che il valore della democrazia si basa sempre sui parametri di chi la amministra, giusti o (più spesso) sbagliati che siano. Hoover infatti aveva un concetto del tutto personale di democrazia: odiava i 'comunisti' (anche se non ce n'erano), i 'negri' (anche se erano la fascia più debole), i pacifisti... tutta gente, a suo dire, pericolosa per lo stato e quindi da reprimere, con ogni mezzo.
Hoover era la figura che incarnava le stanze buie del Potere, i panni sporchi che si lavano in famiglia (azione anti-politica per eccellenza): aveva sdoganato le intercettezioni, la violazione della privacy, il principio del parziale mancato rispetto della persona umana in nome di un ideale più grande, in una concezione 'totalitaria' di Stato che, certo, mal si confaceva con la Nazione da sempre 'paladina' delle libertà personali e dei diritti umani. Era la prova vivente di un mondo che cambiava, di un'epoca che volgeva al termine. Logico, quindi, che un cineasta come Clint Eastwood non potesse restare indifferente a questa figura per certi versi 'mitica', simbolo di un Paese via via sempre più malato.
E infatti J.Edgar è un film 'eastwoodiano' al 100%, una dolente parabola (l'ennesima) sulla fine del Sogno Americano, dove il regista californiano riprende il discorso cominciato con Gli Spietati, Mystic River, Million Dollar Baby... tratteggiandolo con i caratteri di sempre: asciuttezza, rigore, onestà intellettuale. Si rimane sempre stupiti, infatti, della grande integrità morale che Eastwood ripone in ogni suo film: anche di fronte a personaggi squallidi e sgradevoli come Hoover, Clint mantiene sempre il suo sguardo imparziale e non preconcetto, limitandosi a descrivere e non a 'giudicare', tenendo sempre in considerazione, prima di ogni altra cosa, il rispetto per la persona umana.

Per questo, alla fine, il personaggio di Hoover appare meritevole quanto meno di pietà. Eastwood tratta lo Hoover 'politico' allo stesso modo di quello 'privato', evidenziandone i tratti basilari del suo carattere e sforzandosi di farcelo apparire il più umano possibile. Ne viene fuori la figura di un uomo incredibilmente solo (e, forse, la sua presunta omosessualità era più una forma di affetto per l'unica persona che gli stava vicino - il suo 'vice' Clyde Tolson - che un'effettiva attrazione sessuale...) e che riversava nel suo lavoro il concetto morboso di 'protezione' dello stato, esattamente come quello che era riservato a lui da una madre onnipresente e soffocante.
J.Edgar si conferma come l'ennesimo film importante di una carriera sterminata come quella di Eastwood. Ma va detto che buona parte della riuscita della pellicola va attribuita al suo protagonista, quel Leonardo DiCaprio che entra di diritto nell'Olimpo dei grandi di Hollywood (ma noi che lo conosciamo bene lo sostenevamo già, almeno, dai tempi di Prova a prendermi - 2002). DiCaprio è straordinario nel tratteggiare il carattere difficile e impenetrabile di un uomo così complesso. E malgrado un trucco assolutamente esagerato (unica nota stonata del film), riesce a rivelarsi sempre credibile ed efficace, fornendo un'interpretazione maiuscola. Vale la pena ricordare, a solo titolo di esempio, la drammatica scena della morte della madre di Hoover, in cui il figlio, straziato dal dolore, si mette ad indossare i vestiti della donna... avrebbe potuto venirne fuori una sequenza grottesca, cadendo nel ridicolo involontario: e invece la bravura di DiCaprio la rende uno dei momenti più toccanti del film.
Vedere per credere.

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :