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J. Edgar (2011) è l'ennesimo affondo nella vita americana, del regista californiano Clint Eastwood, poeta contraddittorio degli States. Un affondo più analitico e meno narrativo, fatto dovuto all'intento di inquadrare il protagonista (interpretato da un ottimo Leonardo DiCaprio) dall'interno, onesto e sincero, ma tale squadernare qualsiasi progetto di coerenza o di verità storica. La presunta omosessualità del fondatore dell'FBI, ostacolata da una madre di severissime convinzioni religiose (una sorprendente e incantevole Judi Dench), il rapporto ambiguo con il suo aiutante "poco referenziato" e apertamente gay Clyde Tolson (Armie Hammer), che sembra precederlo nella tomba e invece erediterà i suoi beni, la totale soggezione della bella Helen (Naomi Watts). Il mondo che ruota intorno a J. Edgar Hoover non si riesce ad allargare oltre la sfera del potere, del dominio di sé e del mondo. Edgar sembra quasi un giornalista militante quando dice che L'informazione è potere, ma si riferisce solo alla raccolta, alla gestione delle vite degli americani: è potere in quanto possesso, non in quanto diffusione.
Il modo in cui Clint Eastwood si ricollega al patrimonio cinematografico a stelle e strisce non è dunque un semplice rimando, più o meno criptico, a Orson Welles, che certo non gli è lontano per molti aspetti; abbiamo qui, semmai, un'esplicita carrellata di come la fondazione dell'FBI influenzi l'immaginario collettivo cinematografico (splendida la citazione di Nemico pubblico di James Cagney) e non. Nel film si fa cenno al modo di intendere le aspirazioni e i sogni giovanili, alle proiezioni del pubblico e per il pubblico, indipendenti dalla realtà degli eventi. Di contro, mi sembra che il film di Eastwood non funzioni nell'intersezione tra ordine cronologico e meccanismo di flashback attraverso l'abusato strategia dell'intervista per costruire un libro biografico (strategia che ha esito già migliore ne Le passeggiate al campo di Marte). Mi sembra, insomma, che se si voleva puntare a scavare nell'intimo di una persona, di un uomo così potente e così solo, il risultato è qui insufficiente. C'è la possibilità che Eastwood volesse sfocare e lasciare nel vago il ritratto, ma J. Edgar lascia comunque uno spiacevole senso di incompiuto, soprattutto in rapporto all'impegno di un film d'autore così elaborato ed elegante.
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