Passekudah —-> Jaffna - 10 agosto
Jaffna fai da te – 10/11/12 agosto
10/8
Il tuk tuk (300 LKR) mi aspetta davanti alla pensione alle 5 del mattino e mi porta alla Valachchennai Junction. Del bus delle 6 diretto per Jaffna nemmeno l’ombra. Alle 6.30 ne passa uno per Vavuniya, che sarebbe di strada, ma lo snobbo per il diretto. Dopo un’altra mezz’ora decido che ne ho abbastanza e, qualsiasi cosa passi prossimamente, Jaffna, Vavuniya, non andrò troppo per il sottile, e così faccio. Il tragitto sino a Vavuniya non è male (384 LKR), e prendo al volo la coincidenza (190 LKR) per la mia destinazione finale, un bus scassato, senza le porte, e molto affollato. Sono anche dalla parte dove batte il sole, maledizione. Ci fermiamo ad un posto di blocco e devo compilare una specie di registro, indicando i giorni di permanenza. I controlli sono teorici, nessuno al ritorno (parto un giorno prima di quanto dichiarato) sta a verificare.
Jaffna, estremo avanposto a nord dell’Isola, è molto più simile all’India, meno pulita, e ci sono anche alcune mucche in giro. La stazione dei bus, circondata da portici giallo taxi, è abbastanza un casino, ed il caldo, unito alla confusione, inizialmente piuttosto fastidioso. La classica prima sensazione da arrivo in India.
Mi faccio portare da un tuk tuk alla Cosy Guesthouse, 1650 LKR, scelgo la stanza 203, grande, con ampia finestra, bagno enorme, e discretamente pulita.
Non c’è acqua calda, ma, come in altri luoghi, fa talmente caldo che non se ne sente il bisogno. Mi riposto un po’, praticamente ho passato quasi 10 ore in autobus. Faccio doccia e bucato, e noto che 1 dal lavandino l’acqua, anziché nel sifone, mi va direttamente sui piedi 2 la doccia non scarica bene, e quindi rimane una bella pozza d’acqua. Avendo una specie di presagio, intuisco che forse è meglio uscire a fare una passeggiata, e nel frattempo cercare un’alternativa. Ritornando verso il terminal, che disterà circa 500 mt, passo davanti ad un albergo decoroso, che mi era stato suggerito da una viaggiatrice solitaria malese, il Gnanam Hotel. E’ caro, 3500 LKR, ma i ragazzi alla reception sono gentili, mi mostrano una camera, e quindi prendo il loro biglietto da visita, caso mai…
Il centro è un’accozzaglia di negozi, ma nulla di interessante, invece ci sono parecchi ristorantini locali, che sembrano promettere bene. Mi informo sulle corse da Jaffna a Trincomalee, scoprendo che c’è un bus notturno. Mi fermo a cena al ristorante della Cosy GH, il Sanje, buona cucina indiana, meglio di quella dello Sri Lanka, più varia. Rientrando in stanza, noto con un po’ di disappunto che tutta l’acqua della doccia e del bucato non solo non è ancora trapassata dallo scarico, ma addirittura si è riversata in stanza.
Ripongo tutte le mie mercanzie su tavolo, sedie e altro letto, e scendo in reception a denunciare il disguido. Il manager manda su un manutentore, che ispeziona velocemente e mi promette che tornerà. Alle 21 nessuno arriva per cui spengo la luce e mi metto a letto vestita, con la porta aperta. Alle 21.30 nulla, chiudo la porta, mi spoglio, vado in bagno e mi metto a letto. E’ la prima volta che uso il wc e tiro lo sciacquone del water.
11/8
Durante la notte, forse alle 3, vado un’altra volta in bagno. Verso le 6 di mattina la prima luce mi sveglia, ed anche un odore strano, tipo fogna. Guardo il pavimento: diciamo che, per metterla giù in modo carino, lo sciacquone funziona a rovescio.
La sera prima avevo già preparato quasi tutto pronta a sloggiare in quattro e quattr’otto se le cose si fossero volte al peggio. Racimolo dunque le ultime cose e, senza più avvicinarmi al bagno, scendo, pago e mi eclisso. La tentazione di dileguarmi senza pagare è stata forte, ma in fondo non mi sembrava comunque corretto. Allo Gnanam mi aspettano a braccia aperte, diciamo che il personale è molto più professionale, per quanto io non sia particolarmente una cagacazzo mi rendo conto che sono pieni di premure e di attenzioni.
Una colazione di thè e torta ad un hotel al bus stand (80 LKR). Poi vado a comprare il biglietto per la sera successiva con destinazione Trincomalee, 508 LKR. Decido di visitare le isole a nord, tramite il bus pubblico 779 (70 LKR andata, ritorno 80) che raggiunge la punta estrema di Punkudutivu. La traversata dell’istmo è spettacolare, sembra di scivolare sull’acqua, sento un gran senso di libertà, è da tempo che mi mancava questa sensazione.
Bassi cespugli lasciano il posto ad una natura rigogliosa, palmeti oltre le staccionate dei giardini, il verde brillante delle foglie che spicca contro il blu del cielo.
Il bus ci scarica al terminal traghetti.
L’andata è in un barcone blu di legno panciuto, con finestre piccole tipo cantina, molta gente assiepata in piedi come in autobus, e Ganesh a protezione.
Prezzi variabili, così come gli gira, 50 LKR all’andata e 30 al ritorno. Pago la stessa cifra degli altri passeggeri, non è una fregatura riservata agli stranieri. A proposito di stranieri, sul 776 faccio conoscenza con 2 ragazze cinesi, una di esse, Aileen, dice di avermi notato ieri all’arrivo al terminal dei bus. Mi ha vista scendere e poi fermarmi a mangiare. Vuole sapere che giri ho fatto ed intendo fare, se viaggio da sola. Lei e la sua compagna, partite sole, si sono incontrate in aeroporto, e hanno deciso di condividere l’esperienza.
Il ferry attracca alll’isola di Nainativu, più piccola, e con vegetazione più rada. I punti di interesse sono due templi, uno buddhista ed uno indù.
Compro alcuni samosas e me li sbocconcello camminando sotto un sole impietoso nel rettilineo che collega i due siti. Nel secondo si sta svolgendo una poja, molto più animata di quella di Kataraghama: chiasso infernale, musica di tamburi e trombe, folla di fedeli in adorazione, offerte di cibo, nuvole di incenso, preti e processione di statue dorate, divinità sconosciute. Molto interessante e coinvolgente, anche se non ne capisco nulla. Come sempre, e come in India, non mi interessa sapere momento per momento cosa succede, quanto piuttosto assaporare il momento mistico, l’onda e cogliere l’attimo.
Rientro in bus nel primissimo pomeriggio, 80 LKR, e decido, sempre con un mezzo pubblico di raggiungere il tempio di Nallur, alla periferia di Jaffna, in tempo per la puja delle 5. Se a Nainativu ero rimasta un po’ defilata, questa volta mi lancio nella mischia e vado a sedermi per terra sul lato dove stanno tutte le donne, inizialmente i preti recitano formule, a cui ogni tanto i fedeli rispondono animatamente, un po’ come quando noi diciamo “amen” ma questi urlano proprio. Dopodichè, la processione, le offerte di cibo, un po’ come era successo questa mattina. Finita la cerimonia, vago nel tempio poi, uscendo vengo incuriosita da una piccola costruzione, della dimensione di un grosso garage, al cui ingresso campeggia la scritta “cultural centre”. Davanti un capannello di gente, ed alcune ragazze vestite da danzatrici, inanellate ed ingioiellate. All’interno, bambini suonano e cantano, come in un saggio di fine anno. Vengo avvisata che c’è la TV che riprende. Alcune signore passano offrendo vassoi di thè, e ne approfitto.
Ho una mezza idea di come siano articolate le danze indù e voglio assistere allo spettacolo, le ballerine, inghirlandate da fiori arancioni, hanno costumi bellissimi, colorati, lucenti d’oro.
L’esibizione è discreta, una delle due ragazzine è molto aggraziata, l’altra un po’ più legnosa, ma non importa.
Il pubblico era composto quasi tutto di sole donne, all’uscita dalla sala si radunano un po’ come fa la gente da noi sul sagrato della chiesa, noto che molte mi osservano, smartphone alla mano, come se volessero fotografarmi ma non si osassero. In vena di socializzazione, mi avvicino e mi presto al gioco. Vengo bersagliata da decine di scatti, con le ballerine, con i parenti delle ballerine, con altre ragazze, in gruppo con tutti i bimbi, addirittura mi mettono in braccio dei neonati.
Non sono mai stata una persona cui piace stare al centro dell’attenzione, ma in vacanza ci si trasforma, c’è chi all’estero si scatena, si ubriaca, e fa a pezzi una fontana antica, io divento socievole.
Arriva un’altra processione verso le 19 ed inizia a rabbuiare, vedo paramenti bardati di luci, o forse sono elefanti?? .. ma c’è così tanta gente che non riesco ad avvicinarmi, sciami di esseri umani brulicano nel piazzale, fra le bancarelle che vendono giochi e dolci come alle nostre feste paesane.
Mi sento felice e a casa. Magari questo paese non ha molto da offrire dal lato paesaggistico, o artistico, ma il calore e l’accoglienza della popolazione compensa le lacune, è un’esperienza che bisogna fare una volta nella vita.
Cena da Sanje, vicino al bus terminal. Un locale semplicissimo, dove vengo trattata con ogni onore, il ragazzino che fa un po’ da cameriere è premurosissimo, e non manca di rabboccarmi il bicchiere non appena lo vuoto.
Rientrando in hotel, vedo spazzini che si danno da fare raccogliendo rifiuti e portandoli via nelle carriole. Voglio godermi un po’ la bella stanza, la tv coi canali satellitari americani, le sensazioni di ciò che ho trascorso. Vado a letto più tardi del solito. Questa, Haputale, e Negombo sono state le giornate più belle della vacanza.
12/8
Solita colazione di thè e dolcetti in un hotel (80 LKR), non mi sono mai abituata al cibo locale alla mattina presto, al primo pasto preferisco mantenere le tradizioni di casa. Vado a visitare le sorgenti calde di Keerimalai, (50 LKR andata e idem il ritorno) ma sono una mezza delusione. Per intanto non sono calde, non ci sono sorgenti, e contengono acqua di mare. La parte femminile è un buco di cemento circondato da muri, sembra una prigione. La spiaggia antistante è abbastanza sporca, decido quindi di rientrare a Jaffna. La parte più carina di tutta la spedizione è stato il tragitto in bus. Pranzo al Rolex Hotel, 210 LKR.
Un sole deciso ha vinto la battaglia contro le coltri di nubi del mattino, decido di esplorare la città, e, per non scottarmi, mi proteggo con un ombrello. Fa piuttosto caldo. Le rovine della guerra, case pastello sventrate, mi passano davanti a testimonianza delle atrocità commesse.
Le chiese decantate sulla Lonely Planet, con la loro atmosfera placida e silenziosa, non compensano la pena provata precedentemente. Ne approfitto comunque per trovare riparo all’ombra, e riposarmi.
Qualcuno si sta riposando un po’ troppo, scorgo infatti un uomo, rosario alla mano, sdraiato lungo disteso su un banco, che russa come un maiale.
Il giro mi mette sete, sono così disidratata che ritorno al Rolex, ordino un succo di frutta, e me lo scolo alla velocità della luce senza nemmeno pormi il problema di quale acqua abbiano utilizzato per allungarlo. Me ne rendo conto oramai troppo tardi, ossia un’ora dopo quando, ordinato un succo simile in un altro baretto, mi viene chiesto se voglio acqua normale o acqua minerale, con sovrattassa. Per fortuna va tutto bene e niente squaraus.
Passando accanto alla torre dell’orologio,
vado quindi a bighellonare al forte, anch’esso bombardato durante la guerra. E’ in fase di ristrutturazione, ma comunque poco è rimasto.
E’ divertente passeggiare sui bastioni, per godersi l’aria, ammirare il mare, e l’istmo che ho percorso ieri in bus.
Aspetto il tramonto per qualche foto suggestiva.
Ceno nuovamente da Sanje, saluto i miei nuovi amici, vado in hotel a ritirare la roba, e ritorno al bus terminal. Non che nutrissi grandi speranze, ma il bus notturno che mi aspetta è del tutto simile a quelli che a decine ho già usato nei tragitti giornalieri, non ci sono sedili spaziosi, reclinabili, non c’è aria condizionata e neppure altri turisti bianchi. Quello che invece non manca, appena si parte, è una fastidiosa musica a tutto volume, che tuttavia non mi impedisce di addormentarmi, nonostante la scomoda posizione, ed il via vai di persone che sale e scende continuamente intorno a me.