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Qual è il principio sul quale, sin dalla sua origine, si basò la costituzione della proprietà e continua oggidì ancora a fondarsi ? L'occupazione violenta del suolo. Chi fu il primo essere che s'impossessò di una porzione di terra? Fu l'uomo il quale rinvenuto un albero portante frutta buone da mangiare, vi si accampò sotto e impedì con la forza ad altri di contrastargliene il possesso. Poi venne un Polifemo qualunque, il quale avendo addomesticato alcune pecore, per cibarsi del loro latte e della carne dei loro agnelli, recinse, onde procurar loro il voluto nutrimento, un terreno sul quale crescevano erbe succulenti per ricoverarle, indi s'impadronì di qualche caverna, mettendo a morte chi — al pari degl'incauti compagni di Ulisse — avesse avuto l'ardire d'introdurvisi. Più tardi, un individuo dotato di spirito d'osservazione essendosi accorto che nella terra smossa dal grugno dei cinghiali, un seme, apportatovi dal vento, nasceva e cresceva rigoglioso, ebbe la luminosa idea di imitare tale esempio: con il ramo strappato da un albero, che gli serviva di difesa contro gli animali selvaggi e suoi congeneri, avrà smosso la crosta della terra e vi avrà immesso la semenza di qualche pianta commestibile. Al fine di assicurarsene l'incontestato possesso, egli avrà recinto con sassi il terreno lavorato, difendendolo poi, con la violenza, contro l'invasione dei suoi consimili. E così nacque il primo agricoltore, il Caino di cui le Sacre Scritture ci narrano che fu lavoratore della terra, mentre suo fratello Abele fu pastore di pecore. « Ora avvenne che (ved. Genesi IV) essendo essi ai campi, Caino si levò contro ad Abele e l'uccise». Ecco in poche scultorie parole la descrizione del modo con cui la proprietà venne costituita: Abele, il pastore di pecore, come fanno ancora oggidì i suoi consimili, si sarà introdotto nella terra da Caino lavorata, e questi, per difendere la sua proprietà, uccise l'invasore. La storia della proprietà non è altro che l'occupazione violenta della terra da parte di chi intende coltivarla. Allorquando il popolo d'Israele, uscito dall'Egitto, volle stabilirsi nel paese di Canaan, un dì occupato dal suo capostirpe Abramo, trovò questa contrada in possesso di una fitta popolazione: allora la conquistò colla violenza, annientandone gli abitanti. Nel libro di Giosuè cap. X leggiamo : « Giosuè « percosse tutto quel paese, la contrada del monte ed «il mezzodì della pianura e delle pendici dei monti, « insieme con tutti i re loro. Egli non ne lasciò alcuno « in vita, anzi distrusse ogni anima ». Così le terre di Canaan entrarono, in virtù del diritto d'occupazione, in possesso del popolo d'Israele. In seguito, tutti i popoli che invasero terre altrui ricorsero come gli Israeliti, alla violenza, ossia hanno praticato il diritto di occupazione. E questo è oggidì ancora in vigore. Allorquando William Penn, il 16 settembre 1620 sbarcava con i suoi seguaci (i cosidetti Padri pellegrini) sulla costa atlantica del Nuovo Continente, per erigervi uno Stato basato sulla giustizia, egli trovò la terra occupata da una popolazione pacifica, con la quale quel sant'uomo visse in perfetta armonia. Nella costituzione ch'egli largiva allo Stato da lui fondato (che porta il nome suo), era formalmente proibito di spandere una sola goccia di sangue indiano. Ma poche diecine d'anni dopo la di lui morte, sotto il flusso degli emigranti che occupavano la terra per lavorarla, non rimaneva più nello Stato della Pensilvania un pelle-rossa : Caino aveva ucciso Abele ; e questo si ripeteva ovunque. I disgraziati aborigeni vennero di Stato in Stato cacciati dalla loro terra, per finire coll'essere oggidì relegati negli estremi lembi del Far-West. Così gli ultimi discendenti di tribù un dì fiorenti, si trovano ora confinati in poche riserve, come l'auerochs lo è nelle foreste della Lituania, e gli stambecchi nelle proprietà reali della Valle d'Aosta. Tutta la colonizzazione del continente nero dal Mediterraneo fino all'estrema punta del Capo di Buona Speranza, è pure basata sull'occupazione violenta della terra. Pochi anni fa i giornali inglesi contenevano ancora vivaci proteste contro gli orrori commessi dai coloni europei nel Congo e nelle colonie portoghesi. E dopo quanto ho esposto, dobbiamo riconoscere che Proudhon dichiarando che « la proprietà è un furto » non aveva completamente torto. Il Morelli, altro forte pensatore, lasciò scritto : « La propriété est la cause generale et prédominante de tous les désordres». Anche costui ha ragione. Il desiderio di acquistare «della proprietà», desiderio radicato nell’uomo, sarà in avvenire — come lo fu nel passato — fonte di disordini, se la società non saprà adottare le volute misure per soddisfarlo. Gli abitanti delle campagne reclamanti il possesso della terra devono essere contentati. Suggerire il modo migliore per risolvere questo problema è il fine che mi propongo col presente mio scritto. Prima però di esporre le misure da prendersi, ritengo utile di tracciare la storia della costituzione della proprietà sotto le varie sue forme, e di esaminare poi qual'è quella che oggi più confà allo stato attuale della società, e che per conseguenza potrà meglio soddisfare le nostre popolazioni rurali. Ma anzitutto sarà opportuno indicare quali sono e quali debbono essere i diritti del possessore di terra. I giureconsulti romani, i cui principi formano la base del nostro diritto, dichiararono che la proprietà si compone di tre elementi: 1° il jus atendi, ossia il diritto di usare della cosa e di ritrarne il genere di utilità che essa comporta; 2° il jus fruendi, ossia il diritto di percepirne i frutti che rinascono periodicamente ; 3° il jus abutendi, ossia il diritto di disporre della cosa, alienandola e anche deteriorandola, magari distruggendola. Ora i principii moderni non possono più permettere l’ntegrale esercizio del jus abutendi della terra. Il diritto di alienarla deve rimanere al suo proprietario, ma non quello di distruggerla, e nemmeno di deteriorarla. Il jus utendi poi dovrà essere esercitato in modo da ritirare dalla terra il maggior utile possibile. Justus Liebig, il creatore dell'agricoltura scientifica, lasciò scritto: «L'agricoltura è un modo di sfruttare il terreno, che ha per oggetto principale di produrre, nelle condizioni più vantaggiose, il maximum di sostanze o di organi vegetali utili all'economia domestica od all'industria». Basandomi su tale affermazione, dichiaro che a chi non saprà, o non sarà in grado di esercitare in tal modo il jus utendi, l’uso della terra della quale ha il possesso deve essere tolto, per esser concesso a chi potrà ricavarne il maggior profitto possibile. E questo principio dovrà essere applicato, senza partigianeria, tanto ai grandi come ai piccoli detentori di terre.
JAMES AGUET, (Proprietario dell'ex feudo di S. Felice Circeo, Consigliere dell'Istituto di fondi rustici, del Comitato agrario nazionale della Società degli agricoltori italiani, ecc.) La terra ai contadini: Il passato, il presente e l'avvenire della proprietà in Italia Athenaeum 1919
Avrei voluto che sulla porta del cancello che dà sulla piazzetta del Palazzo Comunale di San Felice Circeo (per questo ho inoltrato diverse richieste al Comune senza mai avere risposta) ci fosse semplicemente scritto: “In questa casa visse e morì James Aguet Senior – Firenze 1848 San Felice Circeo 1932” Avrei desiderato che rimanesse una traccia di quest’uomo, mio nonno materno che tanto ha amato questo Paese, occupandosi essenzialmente di agricoltura. James Aguet era originario del Cantone di Vaud, in Svizzera. Di famiglia economicamente modesta, rimasto orfano giovanetto con fratelli e sorelle più piccoli, aveva interrotto gli studi per mettersi a lavorare e da semplice commesso di banca era presto divenuto condirettore, poi finanziere, accumulando una grossa sostanza. Successivamente si era occupato soprattutto dell’industria alimentare, che era allora ai suoi primi albori, ed era stato tra i fondatori della società Cirio, avendo procurato a Francesco Cirio i capitali per iniziare la sua attività conserviera. Il nonno conduceva una vita laboriosissima. Collaborava a giornali economici sia italiani che svizzeri, scambiava amichevoli polemiche con Luigi Enaudi e con De Viti De Marco.
Rigido con se stesso e con i figli era tenerissimo con la moglie, conosciuta a Roma nel 1875 e sposata dopo pochi mesi nella chiesa ortodossa di Nizza: la nonna infatti era russa.
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