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Jan Kasprowicz (1860-1926)

Da Paolo Statuti
Jacek Malczewski: ritratto di Jan Kasprowicz

Jacek Malczewski: ritratto di Jan Kasprowicz

Jan Kasprowicz (1860-1926), poeta, drammaturgo, critico, traduttore, uno dei principali rappresentanti del neoromanticismo polacco, noto sotto il nome di Młoda Polska (Giovane Polonia).

Nelle sue prime opere si avverte l’influenza del romanticismo inglese e della filosofia tedesca, ad esempio nel poema Giordano Bruno (1884), successivamente fu vicino al naturalismo, affrontando la tematica contadina, come nel ciclo di poesie Dal casolare (1887): 40 sonetti, scritti nella prigione di Wrocław, ove era stato rinchiuso per la sua partecipazione a organizzazioni giovanili clandestine socialiste. Ricordiamo anche le opere filosofico-religiose, quali Cristo (1890) e Anima lachrymans (1894). Dal 1891 Kasprowicz aderì al modernismo, tra l’altro con le raccolte Amore (1895) e Il cespo di rosa canina (1898), considerata uno dei capolavori di questa corrente, che fa di Kasprowicz il principale rappresentante del simbolismo letterario polacco. Il periodo successivo è l’espressionismo, evidente negli inni Al mondo che perisce (1902), Salve Regina (1902), nonché nel poema drammatico Il banchetto di Erodiade (1905) e nel volume di prosa poetica Il valoroso cavallo e la casa che crolla (1906). In questa fase della creazione di Kasprowicz è significativa l’influenza del folclore e del primitivismo popolare, come ad esempio nella Ballata del girasole (1908), e in seguito del francescanesimo, come negli Istanti (1911) e Il libro dei poveri (1916).

Nella mia versione pubblico qui i 4 sonetti che danno il titolo alla raccolta Il cespo di rosa canina. Da notare come quest’opera di Kasprowicz sia intrisa di simbolismo e di impressionismo. Quest’ultimo è evidente soprattutto nella descrizione del paesaggio in diverse ore del giorno, nonché nel gioco dei colori e della luce. Viene in mente il ciclo di quadri di Claude Monet La cattedrale di Rouen, dipinta in varie ore del giorno.

I poeti della Giovane Polonia cercavano spesso ispirazione nella natura. Le loro descrizioni diventavano simboli delle sensazioni interiori o delle loro riflessioni. I 4 sonetti in questione non sono quindi soltanto poesia del paesaggio, ma soprattutto una rappresentazione simbolica della lotta per la sopravvivenza. La rosa sopravvive, malgrado l’aridità del terreno e le condizioni atmosferiche avverse dei monti Tatra, dove il cespo cresce. La rosa è una allegoria dell’uomo, che nonostante le avversità del destino lotta per sopravvivere. Ad essa è contrapposto il cembro che giace tarlato e coperto di muffa – simbolo del trascorrere del tempo e della ineluttabile fine. Kasprowicz si serve della natura dei monti per illustrare la dualità del destino umano, il dilemma della vita e della morte, del bene e del male, della speranza e della disperazione. La rosa simboleggia l’amore e la vitalità, è sola, pensierosa, assonnata, è consapevole della sua fragilità, teme la bufera e per questo cerca riparo stringendosi alla fredda roccia, alla fine si addormenta coperta dalla rugiada. Il cembro che le giace accanto è il secondo protagonista di questi sonetti. Tarlato, ammuffito, abbattuto dal vento durante la bufera, è il simbolo della vecchiaia, della morte, del disfacimento – la sconfitta dell’uomo ad opera delle ineluttabili leggi di natura. La fine dell’esistenza del grande e forte cembro e la resistenza della rosa sopravvissuta alla tempesta, suggeriscono una interpretazione filosofica: condizione per sconfiggere le avversità del destino non è la forza fisica, ma la forza spirituale, la consapevolezza della fragilità dell’esistenza e la gioia di vivere ogni momento.

 4 sonetti “Il cespo di rosa canina” di Jan Kasprowicz tradotti da Paolo Statuti

    I

Tra scuri ammassi di detriti,

Un cespo di rosa canina

I grigi macigni arrossa,

Là, tra gli stagni insonnoliti.

Ai suoi piedi un rigoglio erboso,

Un groviglio di pini nani

Fa da bordo ai grandi massi,

Di fianco a un picco scivoloso.

Pensoso, assonnato, solitario,

Della fredda parete al riparo,

Il cespo sa d’essere indifeso.

Silenzio… Anche il vento è fermo,

Soltanto un cembro si corrode

Accanto alla rosa disteso.

   II

Il sole nell’aria cristallina

Illumina le rocce di granito,

Il bosco scuro è avvolto

Da una lieve nebbiolina.

Scroscia sulle rocce il torrente,

Corre come cintura argentata,

Attraverso la nebbia e l’azzurro

Come un sospirar si sente.

Negli anfratti, nel quieto riparo,

Tra le creste al sole arde chiaro

Il cespo di rosa nel frusciare…

Si stringe alla rupe timoroso,

E il cembro dalla muffa è roso,

Steso dal soffio del temporale.

   III

Paure! Sospiri! Amarezze

Pervadono l’inconsapevole

Immensità dell’aria!… Lassù,

Alla luce e all’ombra delle vette

Un branco di camosci bruca;

Avido di voli ultraterreni

Un uccello spiega le sue ali.

La marmotta fischia in una buca.

Tra erbacce e rami abbattuti,

Rimpianti, diletti perduti,

Si stringe il cespo della rosa.

Accanto, vittima del fato –

Il cembro a terra rovesciato

Dalla bufera furiosa.

   IV

O lamenti! O sospiri dolorosi!

O strani, arcani timori!…

Un fresco profumo di erbe

Dai campi tra i monti rocciosi.

Echi di suoni nell’aria,

Quasi fossero d’altri mondi,

Scorrono sulla rugiada

Che il velluto dei campi ripara.

Il cielo si tinge di giada,

L’umido bianco della rugiada

Brilla sui fiori del cespo.

E un quieto soffio le gocce

Fa scendere lente sul cembro,

Che giace corroso e riverso…

(C) by Paolo Statuti



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