Mettete sul piatto della bilancia la tecnica più accurata unita all’amore per l’estetica e sull’altro il piacere dell’esclusività : per quanto mi riguarda trovo che questi elementi siano in rapporto perfetto quando si parla di JAR. In aperto contrasto con l’ormai conclamata cultura del gioiello griffato di serie e pubblicizzato su tv, riviste, pagine facebook , distribuito da una rete di rivenditori minori in quasi tutte le più grandi città del pianeta o presentato attraverso notissime virago-testimonial sui red carpet, o da ofelie, valchirie, ninfette e veline nelle trasmissioni tv a più alto audience , JAR sembra riprendere l’aristocratico pensiero di D’Alembert sull’arte , in cui le si riconosce quel potere specifico e distinto indipendente dal capriccio e dalle mode , un’universalità ovvero, che si fregia anche di dignità culturale rispetto al semplice luxury-business , dissipando così il pregiudizio che il gioiello non sia in realtà soltanto un semplice e superfluo accessorio, ma un’opera d’arte da indossare. Il 20 Novembre 2013 , il Metropolitan Art museum di New York ha aperto per la prima volta le porte al gioielliere-designer vivente più schivo del pianeta , Joel Arthur Rosenthal. Apprendiamo da un articolo dedicato sul New York Times che si tratta di una mostra esposta su circa 3000 metri quadri e in cui saranno esposti circa 400 pezzi unici fino a Marzo 2014. Nato nel Bronx, laureato ad Harvard, appassionato d’arte, letteratura e cinema, si trasferisce a Parigi e apre nel ’78 in Place Vendome il suo negozio. Niente insegne, solo una camelia argentata come maniglia della porta di ingresso e un citofono. Nel prezioso atelier di Parigi non si entra e non si esce per curiosare , poichè Jar accoglie i suoi clienti solo su appuntamento.
Una volta che si è al suo cospetto non è neanche scontato comprare da lui ciò che si vuole, in quanto JAR ritiene che un particolare oggetto debba donare a chi lo indossa e l’ultima parola sull’acquisto è sempre e comunque sua. Ritiene infatti il suo lavoro davvero finito quando sente che il gioiello sia nelle mani della donna giusta. L’esclusività dei pezzi ( ogni pezzo è unico ) è data non solo dalla prevole fattura a pavè e dal singolare taglio delle gemme, ma anche all’uso disinvolto e creativo di svariati materiali come legno, titanio, acciaio, platino, oro e argento che abbracciano pietre preziose che abbina in ammalianti sfumature proprio come se fosse un pittore. L’arte di JAR è essenzialmente arte plastica , arte di forme significative e primordiali che rimanda ad una realtà vivente che si intreccia ad una rappresentazione fiabesca e che verrà tradotta in significati personali da parte di chi li indosserà attraverso un’esperienza soprattutto sensoriale.
Nell’ambito di un processo di creazione a beneficio dell’affermazione dell’immagine artistica piuttosto che allo status di marchio di produzione di lusso , i gioelli di JAR rappresentano la concettualizzazione dell’oggetto inteso come opera , rivendicando la loro specificità culturale e interdisciplinare, e aspirando ad una libertà espressiva che le permetta di evadere dalla tirannia del funzionalismo del puro oggetto-accessorio verso l’anarchia di prevalente articolazione simbolico- percettiva. La bellezza da contemplare e di cui pure averne una fruizione fenomenica immediata.
Ogni pezzo è teatrale, commovente e nella sua perfetta duttilità di forme, anche vagamente erotico . Tutte le sue opere, nell’essere polimateriche danno origine ad un’opera che accoglie interazioni omogenee tra materiali eterogenei sulla scia del trinomio arte-vita-tecnica, che presenta un più concreto rapporto con la realtà, arricchendo così la classica tradizione orafa – artigiana, non tanto per le preziose gemme incastonate sui materiali più disparati , ma secondo il radicale concetto di sostituzione, totale e integrale del gioiello classico con quello di vera e propria scultura che realizza la sublimazione dell’immagine reale. Viole, fresie, salici piangenti, rose selvatiche , tulipani, pappagalli, pecore, frutta , tutti appartenenti a collezioni private ,sfavillano ora nelle stanze del Met come i 35 anni di carriera di Jar. Alcuni pezzi che possono sembrare enormi e scomodi da indossare in realtà sono leggerissimi per l’uso dell’alluminio. Possano piacere o meno i suoi gioielli , possano bene o male indignare per la loro opulenza tanto cara alla upper-class, dal punto di vista tecnico, è innegabile che la loro realizzazione richiede perfetta conoscenza del disegno, della teoria delle ombre, della rappresentazione prospettica, degli effetti di luce, oltre che, naturalmente, una assoluta padronanza dell’uso del colore e dello sfumato, un insieme di conoscenze teoriche così precise che esaltano l’aspetto artistico e creativo a vantaggio di quello più specificatamente tecnico e virtuosistico, di quella costruzione schematica rigidamente sottoposta a regole geometriche che ha reso il gioiello ai giorni nostri alquanto monocorde, e per questo noioso e superfluo . Jar, quando si dice” arte e mestiere “, nel giusto connubio, a giusta ragione.
Tuttavia per quanto riguarda la mostra, il New York Times ha attaccato duramente il MET , tacciando l’organizzazione di superficialità e pigrizia , di spirito più commerciale che artistico nell’obiettivo primario di voler attirare solo un grande numero di spettatori. Uno spettacolo definito non all’altezza degli altri eventi tenutosi nel noto tempio dell’arte di New York, per il quale non si sono curati aspetti importanti quali il catalogo della mostra che il NYT definisce ” scialbo ed incompleto” e l’installazione e progettazione degli spazi definita poco ” people friendly” e da ” vetrina di boutique ” : ambienti senza luce, gioielli che si accalcano con una disposizione ridondante, targhette descrittive dei gioielli incomplete e poco significative, mancanza di specchi perchè l’osservatore possa mirare alla struttura che sorregge le preziose gemme. Il New York Times tra le altre cose, richiama ad una riflessione che noi stessi vorremmo in qualche modo approfondire , ovvero la storia di ciascuno dei 400 pezzi esposti. Sì perchè ogni oggetto di JAR non vive di solo luccichio, ma anche di un passato che in primis è ricostruibile attraverso la provenienza ed il taglio particolare delle gemme , e soprattutto attraverso quel potenziale affinamento della tecnica di JAR che lo porta ad annerire i metalli , ad arricchire il gioiello con potenti sfumature di iper-realismo a seconda della personalità del suo committente. Il NYT ha definito la mostra un ” trunk show ” , uno spettacolo decisamente monco per un artista quale JAR per il quale è forse davvero riduttivo definirlo soltanto uno ” scultore ” o ” designer”. Informazioni su questi adOccasionally, some of your visitors may see an advertisement here.