Jarosław Mikołajewski

Da Paolo Statuti

Jarosław Mikołajewski

   Nato nel 1960 a Varsavia, è uno dei poeti polacchi contemporanei più apprezzati. E’ anche saggista, autore di libri per bambini, pubblicista e ha grandi meriti come traduttore in polacco di Dante, Petrarca, Michelangelo, Leopardi, Montale, Ungaretti, Luzi, Penna, Pavese, Pasolini, Levi e altri ancora. Dalla letteratura italiana per l’infanzia ha tradotto “Pinocchio” di Carlo Collodi e alcune opere di Gianni Rodari. Tra il 1991 e il 2014 ha pubblicato 11 raccolte di poesie. I suoi libri sono stati tradotti in più lingue. Ha ricevuto prestigiosi premi letterari, tra cui nel 2014 la medaglia d’argento per meriti speciali al servizio della Cultura “Gloria Artis”, e in Italia: Stella della Solidarietà Italiana, Premio Nazionale per la Traduzione, Premio della Città di Roma, Premio Flaiano.

Negli anni 1983-1998 è stato docente della cattedra di Lingua e Letteratura Italiana all’Università di Varsavia, e negli anni 2006-2012 direttore dell’Istituto Polacco a Roma. Da questo soggiorno romano è nata, tra l’altro, la raccolta di saggi “La Romana Commedia” (2011) – un peculiare diario-guida attraverso la città di Roma. La chiave per conoscere i segreti della Città Eterna è la “Divina Commedia” di Dante. Essa detta il ritmo delle scoperte di Jarosław Mikołajewski e determina la struttura di questo libro, che si compone di 100 canti suddivisi nelle tre cantiche: “Inferno”,”Purgatorio” e “Paradiso”. A proposito di questo libro la poetessa Julia Harwig scrive: “Si può ritrovare la Roma contemporanea grazie alla “Divina Commedia” di Dante? Jarosław Mikołajewski ha rischiato e ha scritto per noi un racconto di questa stupenda città, costruendolo intorno a frammenti dei “Canti” di Dante. Un’idea ardita, ma che non desta obiezioni. A Roma, presente e passato convivono e coesistono…Un carattere particolare è dato al libro dal personale rapporto dell’autore con questa città”.

Come romano trasferito in Polonia  posso capire perfettamente i sentimenti di questo poeta polacco trasferito a Roma, dove per sei anni , nella tradizione di altri illustri poeti polacchi, quali ad esempio Jarosław Iwaszkiewicz e Jerzy Hordyński, ha “visto e sentito” l’essenza di questa città. A Roma ci sono i classici luoghi per turisti: Colosseo, Fontana di Trevi, Bocca della Verità, ecc., e ci sono i “quadri” preferiti dai poeti: le Ville, i pini, i vecchi vicoli, le fontanelle, i tramonti, ecc., ed essi attingono le parole da ciò che “vedono e sentono”. Jarosław Mikołajewski ha lasciato le sue personali e durature impronte sul suolo di Roma, e se dovesse tornarci, sono sicuro che  le varie anime della Città lo riconoscerebbero subito e lo accoglierebbero come un vecchio amico.

Di proposito non voglio esprimere giudizi critici (anche perché non sono un critico letterario) sulla creazione di questo poeta, e nemmeno citare la critica ufficiale, ma ho tradotto 10 sue poesie – ciò significa che mi piacciono – e invito i lettori di questo mio post a manifestare i loro pareri, che sono certo saranno accolti con interesse da Jarosław Mikołajewski.

Poesie di Jarosław Mikołajewski tradotte da Paolo Statuti

Il prato

Le mie figlie si nutrono come giovani mucche

di erba

che cresce nei verdi pascoli

di latte

che ai pietosi animali

si stilla dalle turgide mammelle

le mie figlie bevono tisane

di erbe

dai nomi latini

e le loro guance profumano

come serici gusci ripieni di lavanda

le mie figlie sono tutte yoghurt

pane e sole

masticano i dolci petali

dei fiori di campo

e i loro capelli profumano

di rugiadosa violacciocca

Vivo accanto a loro come un maiale

come un cane crepato

sulla riva di un fiume cristallino

e che ancora non è diventato erba

né rugiada

che vola verso il sole

né l’acqua di questo fiume

O terra carnivora

inghiottisci finalmente la mia carne

o fa’ fiorire il mio corpo

imbalsama la mia pelle

Il museo degli oggetti antichi

le risorse sono limitate

un carro per il cielo

trascinato dall’ombra d’un cavallo

uccelli

onde

qualche caro oggetto di uso quotidiano

una bambola o la moglie

un pettine

e ancora una guida

un corvo

un raggio

un’ombra sulla bacheca

La valle

scendo in valle giulia con giulia

e con noi scendono signori e signore

e con loro i cani senza guinzaglio

anche mia moglie scende

e le due figlie maggiori

e ciascuna nel portamonete ha le foto

delle due nonne

di un nonno

e dell’altro nonno

che un tempo scese la valle con noi

quando scendiamo

si sentono gli elefanti

e i pavoni

forse è una tigre che domanda a giulia

forse

a valle giulia

al sole s’inchina l’erba

e all’erba il sole

e il sole nell’erba è come un leone

che a morsi si fa strada nella terra

e il tempo è strano per questa stagione invernale

anche qui a roma dove a gennaio al massimo

sono dieci gradi e invece guardate che roba

è così caldo in quest’ora serale

che dalle case escono

e scendono con noi in valle giulia

sirene di città e sirene marine

anemoni di mare e fiori

egiziani

venditori

massaggiatori e preti

parrucchiere con le gambe di vario tipo

quelle più in alto lunghe

quelle più in basso corte

e ognuno bagna i piedi nella propria ombra

che scorre nell’erba come un ruscello

Domanda

sono venuto al mondo

dove non c’ero né io né te

ma le mani applaudivano già le tue creazioni

i tuoi fiori si strofinavano a questi piedi

i chicchi nelle mie mani formavano manciate

ah come eravamo inutili

io non ero una creazione

ma i miei sensi

lo erano e come

io non c’ero

ma tu eri già il creatore

c’era un motivo per cambiare ciò

Un poeta molto vecchio

Andavo a incontrare

un poeta molto vecchio

tanto vecchio che se fosse stato una quercia

avrebbe avuto mille anni

Avrebbe ricordato i fratelli

che diventarono canoe

avrebbe ricordato

che poteva diventare un armadio

o san Sebastiano

nell’altare centrale o di lato

che la sua parte inferiore

poteva diventare il ceppo per la scure

(oggi al museo delle torture medioevali)

e la parte superiore

centinaia di migliaia di fiammiferi

(oggi nella cenere dei falò sui pendii dei Bieszczady)

Andavo da un poeta molto vecchio

dovevo notarlo ora nel suo nervosismo

ora nella sua assenza

prima ancora di scorgerlo

doveva sparire

prima ancora di orientarmi

doveva gettarmi dalle scale

dovevo essere come un pescatore

che abbraccia una sirena

Andavo da un poeta

che poteva essere una quercia

lungo un parco di alberi

che erano come maschere

guardavo in una cavità

senza scoiattoli e senza uccelli

toccavo la corteccia come palpebre

incollate da rivoli di resina fossile

Andavo da un poeta molto vecchio

tra gli alberi come tra armature

con le visiere calate

Quando entrai nella casa del poeta molto vecchio

le scale che potevano essere lui

se fosse stato una quercia

avrebbero scricchiolato sorde e morte

Quando entrai nell’appartamento

mi accolse in piedi

nelle dita millenarie strinse il bastone che

poteva essere lui stesso se fosse stato una quercia

e pesando nella mano il destino della quercia che

poteva essere lui stesso ma non lo era

fece ciò che nessuna quercia farebbe mai

se avesse mille o duemila anni

fece un passo

docile alla sua volontà di quercia

e le foglie stormirono

giovani come la terra

Requiem a santa cecilia

forse così si entra in paradiso

come l’orchestra nel concerto

ricevono gli applausi ma come preambolo

parlano di politica

di malattie

senza timore

non invidiano

non vanno in collera

il primo violino

non ce l’ha col solista

loro accordano gli strumenti

noi la tosse

così si vede dall’alto

dai posti scadenti dietro la scena

dove abbiamo davanti la faccia del direttore

Sconforto

voglio smarrire la bestia

che dorme sotto di me

come un pallone

mi sollevo

nella volta celeste

ma la bestia è con me

come l’ombra sotto la nube

ma la bestia è

con me

come l’ombra

sotto la nube

sotto il sole che si è levato

sul cielo sereno

la mia bestia

si stacca più scaltra di me

mi si alza dal letto

e fa ciò che non so

finché non la troverò

sulle lenzuola comuni

di ossicini

messi

nelle ali rosicate

Il mondo salvato

segno sulla mappa dove siamo stati

non siamo stati quasi in nessun luogo

guarda quanto mondo non morirà con noi

e sai una cosa?

risparmieremo sempre più posto

facciamo domenica

il piano di risparmio

qui non saremo più

e ancora là più vicino

là più lontano

guarda quanto mondo

ci sopravviverà

Ai magri

che per tutta la messa

in chiesa come un soldato

curati

inamidati

che nei treni

vi sistemate

come scapolare

come toletta

portatile con specchietto

sospirate nell’intenzione

dei corpi nel grasso sofferenti

ai quali l’anima non entra nella pelle

il ventre nella camicia

e nei pantaloni

i cui piedi bruciano

come se la fiamma li lambisse già

Il cerchio di gesso

passeggiano i colombi e non ci vedono

sfrecciano le barche e ci evitano

come se non ci fossimo

sulle piazze e nell’acqua?

che gente siamo che non ci siamo?

(C) by Paolo Statuti



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