Se si parla di avanguardia in riferimento al jazz, la mente corre subito ai movimenti che, dopo la rivoluzione Bebop, si sono succeduti dalla fine degli anni ’50 fino ai nostri giorni: dal jazz modale e free fino all’avant-garde e alla fusion. Ma se si da un respiro più ampio all’accezione del termine avanguardia, si può tranquillamente sostenere, senza eccessive forzature, che il jazz sia avanguardistico per sua stessa natura; proprio per questo, lo stile afro-americano risulta essere il più connotante del novecento, il secolo appunto delle avanguardie. Non è difficile, difatti, riscontrare nel jazz, fin dalle sue umili ed emarginate origini, tutte o quasi le caratteristiche delle avanguardie artistiche del novecento. La prima che salta agli occhi è la formula aperta sia alla contaminazione tra diverse tradizioni culturali, sia all’improvvisazione, quindi alla preponderanza dell’hic et nunc dell’interpretazione performativa, un approccio che porta inevitabilmente verso la frammentazione, la dissoluzione e l’astrazione della forma nell’eterno divenire del flusso musicale.
Proprio per questo, la tradizione colta si è presto interessata al jazz come veicolo di rinnovamento, capace di rappresentare con immediatezza un mondo che si andava facendo sempre più frenetico e frammentato, globale e ricco di contrasti. Di contro, il jazz ha cercato nella tradizione colta ordine e riconoscimento ufficiale, la canonizzazione della propria dignità artistica, stemperando la frenesia orgasmica e la tendenza al rumorismo e alla cacofonia in armonie ed orchestrazioni più tradizionali. Due opere di Gershwin come Un americano a Parigi e Rapsodia in blue, alle quali aggiungerei West Side story di Bernstein, sintetizzano perfettamente questo rapporto di reciproca attrazione tra tradizione colta e jazz, rappresentando un sorprendente anello di congiunzione tra avanguardia e accademia.
La stessa contaminazione del jazz si è mossa nella direzione di un recupero dell’essenza originaria delle diverse tradizioni e degli impulsi umani primordiali, caratterizzando lo stile con un altro elemento comune alle avanguardie storiche: il primitivismo. Ritorno alle origini che si manifesta anche come regressione al precosciente, all’infanzia, al gioco, con una tendenza alla rilettura surreale e parodistica di una realtà alla quale non ci si sente di appartenere, che si esplica con un atteggiamento anti-accademico e iconoclasta. Paradossalmente, proprio quando si è iniziato a parlare di jazz d’avanguardia, la musica afro-americana ha perso (almeno in parte) questo atteggiamento ludico e irriverente, annegandolo nel rigore formale, lasciandolo trascendere nella solennità mistica o connotandolo di rivendicazioni politiche e razziali.