I fratelli terroristi Chérif e Said Kouachi
9 GENNAIO – Si è interrotta dopo due giorni la scia di sangue e di terrore innescata lo scorso mercoledì dai fratelli terroristi Chérif e Said Kouachi. Barricati all’interno di un atélier che produce cartelli, insegne e stand a Dammartin-en-Goële, nella regione dell’Île-de-France, i due non si sarebbero accorti della presenza di un impiegato, che ha trascorso tutto il tempo nascosto in uno scatolone del magazzino. Da questa mattina, il malcapitato avrebbe sempre comunicato con le forze militari tramite cellulare, facendo attenzione a restare immobile e a non fare rumore. Sentendosi privi di una merce di scambio, i due terroristi avrebbero allora deciso di uscire all’esterno sparando all’impazzata sui militari presenti, finendo colpiti dai proiettili delle teste di cuoio francesi.
Il mondo intero ha trattenuto il fiato di fronte all’incremento di follia e tensione che ha paralizzato il Paese. Un crescendo di violenze degno della trama di un film d’azione, eppure drammaticamente lontano dall’essere frutto di invenzione. Ripercorrendo gli ultimi giorni di Chérif e Said, si scopre che questi non si sono fatti mancare niente. Hanno ucciso i 12 giornalisti di Charlie Hebdo la mattina di mercoledì 7 gennaio, poi si sono dati alla fuga su una Citroën C3, hanno investito un passante, poi hanno abbandonato la Citroën e rubato un’altra vettura dirigendosi a nord est verso la zona montuosa della Piccardia. Lì hanno rubato un’altra macchina che transitava sull’autostrada e sono infine giunti a Dammartin-en-Goële.piantina delle zone a rischio a Dammartin-en-Goële
Il loro piano era folle ma anche pieno di sbavature, errori, inesattezze. Dalla scarpa che uno dei fratelli perde uscendo dalla Citroën per entrare nella sede di Charlie Hebdo ai documenti di identità abbandonati nella vettura, tutto indica grossolanità e scarsa dimestichezza. Questo nonostante la militanza di Chérif nelle file yemenite di Al Qaeda. Eppure tanto è bastato per distruggere per sempre la vita di decine di persone, mobilitando 88mila soldati per una caccia all’uomo frenetica e disperata. Una caccia all’uomo che, agli occhi del mondo, svela tutta la fragilità del sistema di sicurezza europeo contro il terrorismo.
Amedy Coulibaly e la moglie Hayat Boumeddiene
Dalla violenza nasce nuova violenza, dall’odio altro odio. Chéfir e Said sono stati subito emulati da un altro estremista, Amedy Coulibaly. Reduce dall’assassinio di una poliziotta a Montrouge; alle ore 13 di oggi Coulibaly si è asserragliato con la moglie in un negozio ebraico, sempre a Parigi, prendendo in ostaggio altre 6 persone, tra le quali anche un bambino di pochi mesi e sua madre. Ha immediatamente rivendicato la morte dell’agente di polizia ed ha chiesto la liberazione dei fratelli Kouachi. Risultato: 4 ostaggi morti, deceduto anche l’attentatore. Nelle stesse ore, alcune bombe sono esplose contro un kebab a Lione e contro la moschea di Le Mans. Un clima da guerra civile o peggio, religiosa.
Il Presidente USA Barack Obama, in visita all’ambasciata francese di Washington per porgere le sue condoglianze, ha ricordato la lunga storia di alleanza che lega gli Stati Uniti alla Francia ed ha pronunciato un Vive la France! dal sapore comunque amaro. Mentre la leader dell’estrema destra francese Marine Le Pen afferma, più per provocazione, che sarebbe giusto indire un referendum sulla reintroduzione della pena di morte nel Paese, milioni di persone hanno seguito con incredulità tutta la vicenda. Impossibile vedere il mondo con gli stessi occhi all’indomani di queste stragi senza fine. Impossibile tornare nelle strade con la stessa spensieratezza e tranquillità. La democrazia europea, la libertà di pensiero e di espressione sono state destinatarie di una dichiarazione di guerra senza precedenti. Fa bene la vedova del defunto direttore Charb a dire, tra le lacrime, che le manifestazioni di affetto ora non cancellano la bruciante sconfitta della collettività. Lo stupore è tanto, il dolore ancora di più. Oggi si sentono sconfitti tutti i cittadini che credono nella sacralità delle parole di Voltaire, pronunciate ormai trecento anni fa: «Non sono d’accordo con te, ma darei la vita per consentirti di esprimere le tue idee». È lecito chiedersi come mai due soggetti già noti all’intelligence nazionale per il loro legame con il terrorismo, tanto da subire un processo nel 2008, fossero a piede libero in Europa. Chérif e Said Kouachi erano impossibilitati solo a spostarsi negli USA, in quanto iscritti alla no-fly list, ma per il resto liberi di entrare e uscire da Parigi, raggiungendo addirittura i campi di addestramento in Yemen e Siria. Tutto questo per poi far ritorno nel Paese che li aveva visti nascere e distruggere i sogni di cultura, democrazia e dialogo che accomunano tutti gli europei non estremisti, qualunque sia la loro fede.Silvia Dal Maso
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