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Je suis Charlie? Negli ultimi giorni in tanti hanno usato quest'espressione. Io no. Non me la sono sentita. Massimo rispetto per chi l'ha utilizzata come modo per esprimere vicinanza e solidarietà alla redazione di Charlie Hebdo, massacrata brutalmente il 7 gennaio scorso. Come hanno scritto già altri, dal comico Fabrizio Casalino a Elena Loewenthal su La Stampa, la verità è che non siamo tutti Charlie, per quanto sia diventato di moda dirlo. Alcuni di quelli che ora hanno come foto profilo su Facebook la scritta “Je suis Charlie” sono quelli che vanno al cinema e poi dicono: “Ho visto proprio una bella commedia. Non era volgare.” Ecco. Già solo questa è una pugnalata al cuore dello spirito di Charlie Hebdo. L'idea che l'umorismo debba essere buono, politically correct, addomesticato, che non debba dar fastidio a nessuno. Sbagliato. Un conto è la volgarità becera delle scoregge di Massimo Boldi e Scemo & + scemo, che volendo pure quella ha una sua dignità, un altro conto sono gli attacchi sarcastici e sovversivi proposti dai vignettisti di Charlie Hebdo, che non guardano in faccia a niente e a nessuno. Per molti però non c'è alcuna differenza e la comicità volgare non va bene e basta, salvo poi dichiarare: “Je suis Charlie”. Sicuri di essere Charlie?
Probabilmente non lo siete e neanche io sono Charlie. Da una parte ne sono addolorato. Mi piacerebbe avere le palle dei redattori e dei vignettisti del “journal irresponsable” francese. Dall'altra parte ne sono contento, perché io sono ancora vivo. A parole siamo tutti Charlie e siamo tutti a favore della più totale libertà di espressione. Nei fatti in pochi, in pochissimi lo sono e lo siamo. Io qui su Pensieri Cannibali non mi auto censuro mai. Scrivo sempre ciò che penso e non mi pongo alcun limite. Sulle questioni religiose devo però ammettere che a volte cerco di mettermi un freno. Non tanto per timore di ritorsioni o per non urtare la sensibilità di alcuni, quanto perché non credo sia il mio compito. Pensieri Cannibali è un blog che si occupa principalmente di cinema e intrattenimento, che guarda alla pop culture con un occhio attento a tutto ciò che capita nel mondo, ma senza entrare troppo all'interno di questioni che poco gli competono, come invece sto facendo proprio in questo post. Io attacco Vasco, attacco Paolo Ruffini, attacco gli ultimi film di Darren Aronofsky o di Clint W. Eastwood. Maometto e il Papa li lascio a Charlie Hebdo. Io non sono Charlie. Je suis Cannibal.
Tutto questo lungo pistolotto introduttivo per dire che i francesi sono troppo avanti. Sono troppo avanti in generale, e sono troppo avanti quando si tratta di religione in particolare. Un giornale come Charlie Hebdo ne è la più evidente delle dimostrazioni. Un'altra prova è presente nella prima puntata di P'tit Quinquin, miniserie in 4 episodi creata, scritta e diretta dal controverso regista Bruno Dumont. C'è una scena di un funerale che è una delle cose più comiche che abbia visto negli ultimi tempi. Una scena di funerale comica? In molti in questo momento staranno inorridendo. Gli stessi che magari c'hanno “Je suis Charlie” come foto profilo. Ebbene sì, anche un funerale può far ridere. La fenomenale sequenza presente nel primo episodio di P'tit Quinquin è uno sberleffo gigantesco nei confronti della Chiesa e dei riti solenni da essa celebrati. Durante questa manciata di epocali minuti ne succedono di tutti i tipi: preti e chierichetti che si mettono a ridere in mezzo alla funzione, la cerimonia che si trasforma in una specie di talent-show in cui l'organista e una ragazza chiamata a cantare un brano in ricordo della deceduta ne approfittano per mettere in mostra le loro doti musicali, e così via.
Io mi immagino una scena del genere all'interno di una fiction Rai, o anche Mediaset. O meglio, non me la immagino, perché non sarebbe possibile una cosa del genere. La Chiesa chiederebbe l'oscurazione immediata di un canale che trasmette una blasfemità come questa. In molti, anche tra quelli più liberali, rimarrebbero offesi da una sequenza così, salvo poi andare a gridare: “Je suis Charlie” su Facebook. Per carità, anche la Francia non è immune da questa ipocrisia. Basta solo osservare come il comico Dieudonné sia stato arrestato con l'accusa di apologia di terrorismo per aver scritto: “Je suis Charlie Coulibaly” il giorno dopo l'attentato nella sede del settimanale satirico. È una frase che fa ridere? No. Solo per questo però non merita di essere arrestato, altrimenti Enrico Brignano a questo punto dovrebbe essere condannato al carcere a vita. È una frase schifosa e magari pure pericolosa? Può essere, ma ciò non toglie che la libertà di espressione è sacrosanta e, mettendo dei paletti a ciò che si può o non si può dire, non si fa altro che uccidere Charlie Hebdo un 'altra volta.
Mi rendo conto di aver fatto un post dedicato alla serie P'tit Quinquin e di non averne quasi parlato. D'altra parte c'è libertà di parola, almeno spero, e quindi faccio come mi pare. Non lo faccio però certo perché questa serie non meriti tutte le attenzioni del mondo, ma solo perché preferisco non svelarvi troppo al suo riguardo. Vi posso dire brevemente che la miniserie parte con il ritrovamento in un p'ccolo paesino francese di un cadavere fatto a pezzi dentro una mucca. Sul misterioso e inquietante caso indaga un comandante pieno di tic nervosi insieme al suo sprovveduto aiutante e sullo sfondo di tutto ciò si muove un gruppetto di bambini capitanati dal chierichetto/teppistello del titolo, il p'tit Quinquin, il p'ccolo Quinquin. Tra personaggi strambi alla David Lynch, una canzone che è subito cult e non vi si staccherà più dalla testa come “Cause I Knew” cantata dalla giovane e non troppo intonata attrice Lisa Hartmann, atmosfere country, accenni da racconto di formazione, blasfemie varie, tic nervosi e quant'altro, P'tit Quinquin è una specie di Twin Peaks francese, meno inquietante e più inaspettatamente divertente. Al momento ho visto soltanto i primi due episodi e attendo con ansia che escano anche i sottotitoli italiani dei rimanenti due, però posso già dire che è una delle cose più particolari, folli, belle e pure comiche viste negli ultimi tempi. Se quei radical-chic illuminati del Cahiers du Cinema l'hanno eletto film dell'anno, benché tecnicamente sia una miniserie televisiva e non una pellicola per il cinema, un motivo ci sarà. Je suis Charlie? Per fortuna o purtroppo no. Sono solo un coglioncello qualunque, proprio come il p'ccolo Quinquin.
P'tit Quinquin (miniserie tv in 4 episodi, Francia 2014) Creata da: Bruno Dumont Regia: Bruno Dumont Sceneggiatura: Bruno Dumont Cast: Alane Delhaye, Lucy Caron, Bernard Pruvost, Philippe Jore, Lisa Hartmann, Philippe Peuvion, Julien Bodard, Corentin Carpentier, Pascal Fresch Genere: fuoriserie Se ti piace guarda anche: Twin Peaks, True Detective (voto ai primi due episodi 9/10)
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