Il 7 Gennaio 2015, ricorderete, è avvenuto l'attacco terroristico alla sede della rivista satirica "Charlie Hebdo".
Il mondo, anche grazie ai social network, ha espresso immediata solidarietà nei confronti delle dodici vittime al grido di "Je suis Charlie".
Con quella frase abbiamo mostrato le nostre paure, abbiamo ammesso di esserci sentiti vittime, ma allo stesso tempo ci siamo uniti e abbiamo ritrovato una nuova forza.
Ieri sera su Raidue, è stato necessario riutilizzare ancora una volta la frase "Je suis..." non "Charlie" ma "Ilan".
In prima tv è andato in onda "Je suis Ilan - 24 jours" un film che ricostruisce il rapimento del giovane Ilan, scelto da un gruppo di criminali solo perché ebreo. I fatti sono avvenuti nel 2006 a Parigi. Il ragazzo è stato lasciato a digiuno, torturato, bruciato, abbandonato in un bosco dopo 24 giorni di inutili trattative. Ilan, finalmente libero, è riuscito a farsi notare, ma è giunto in ospedale in condizioni gravissime e non ce l'ha fatta.
Secondo la madre del ragazzo, se la polizia, invece di seguire le procedure per un rapimento, avesse capito di avere a che fare con un crimine antisemita, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente.
Una storia che fa male. E come tutte le storie serie e vere di questo tipo, al cinema ha trovato scarsa distribuzione e poca considerazione da parte del pubblico, che preferisce film d'evasione.
Capisco il comportamento del pubblico, anch'io spesso preferisco evitare storie come queste, che ti lasciano addosso una profonda malinconia e tutta una serie di domande a cui nessuno sembra in grado di rispondere.
Tipo: perché c'è gente che spreca tempo a odiare il suo prossimo per i motivi più assurdi?!
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