Magazine Cinema
Le petit soldat (Le petit soldat) (1960) - 1,5/5
La donna è donna (Une femme est une femme) (1961)
Questa è la mia vita (Vivre sa vie) (1962)
Les Carabiniers (1963)
Il disprezzo (Le mépris) (1963)
Bande à part (1964)
Una donna sposata (Une femme mariée) (1964)
Agente Lemmy Caution, missione Alphaville (Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution) (1965)
Il bandito delle undici (Pierrot le fou) (1965) - 3,5/5
Il maschio e la femmina (Masculin féminin) (1966)
Una storia americana (Made in U.S.A.) (1966) - 1/5
Due o tre cose che so di lei (Deux ou trois choses que je sais d'elle)[3] (1967)
La cinese (La Chinoise) (1967)
Week-end, un uomo e una donna dal sabato alla domenica (Weekend) (1967)
La gaia scienza (Le gai savoir) (1968)
Cinétracts (1968), film collettivo anonimo. Sono sicuramente di Godard alcuni "numeri" fra cui il 14, il 16 e il 23.
One plus one o Sympathy for the Devil (1968)
Un film comme les autres (1968)
One American Movie materiale inedito inserito in One P.M. (1969)
British Sounds (1969)
Pravda (1969)
Vento dell'est (Le Vent d'est) (1969)
Lotte in Italia (1970)
Vladimir et Rosa (1970)
Crepa padrone, tutto va bene (Tout va bien) (1972)
Letter to Jane - An Investigation About a Still (1972)
Numéro deux (1975)
Ici et ailleurs (1976)
Comment ça va? (1978)
Si salvi chi può (la vita) (Sauve qui peut (la vie)) (1980)
Passion (1982)
Changer d'image (1982)
Prénom Carmen (1983)
Je vous salue, Marie (1985)
Soft and Hard (1985)
Detective (Détective) (1985)
Grandeur et décadence d'un petit commerce de cinéma (1986)
Cura la tua destra... (Soigne ta droite) (1987)
King Lear (1987)
Le Rapport Darty (1989)
Nouvelle vague (1990)
Allemagne 90 neuf zéro (1991)
Ahimè! (Hélas pour moi) (1993)
Les Enfants jouent à la Russie (1993)
JLG/JLG - autoportrait de décembre (1995)
For Ever Mozart (1996)
Éloge de l'amour (2001)
Notre musique (2004)
Film socialisme (2010)
Il contributo dato da Godard (1930) al cinema è fondamentale per la nascita del cinema moderno. Dopo l'attività di critico presso i Cahiers du cinéma negli anni 1950-52, si dedica alla regia di cortometraggi fino ad approdare al lungometraggio con Fino all'ultimo respiro, girato nel '59 e proiettato dal '60, che diviene manifesto della Nouvelle Vague francese, dando vita di fatto ad un nuovo tipo di cinema; continua le sue sperimentazioni linguistiche per diversi anni, con risultati altalenanti, per poi dedicarsi a film più teorici e politici negli anni della contestazione. Dopo il '72 si dedica invece maggiormente ad una sperimentazione visiva ricorrendo ad apparecchiature elettroniche sempre più all'avanguardia. Autore quantomai prolifico, ha lasciato in un solco indelebile nella storia del cinema.
-Fino all'ultimo respiro
(A bout de souffle) di Jean-Luc Godard - Francia 1960 - commedia/drammatico - 87min
A Parigi un giovane balordo (Jean-Paul Belmondo) fa fuori un poliziotto che lo sta inseguendo. Poi torna a Parigi, dove cerca da una parte di riscuotere il debito da parte di un amico che non si trova mai, dall'altra di convincere una bella reporter americana (Jean Seberg) con cui ha avuto una storia a fuggire con lui in Italia (ricordiamoci che è l'epoca del boom economico!). Un detective (Daniel Boulanger) li tallona entrambi.
Probabilmente è uno dei migliori esordi cinematografici di sempre. Il film diventò da subito manifesto della nuovelle vague, corrente che si propose di riscrivere le regole tecnico/narrative del cinema, i cui effetti si vedono ancora oggi (Tarantino è un fan del filone; lo si può notare per quanto riguarda i dialoghi naturalistici dei suoi personaggi).
La vicenda, banale ed appena abbozzata, viene messa in scena in modo rivoluzionario: montaggio convulso fatto di stacchi netti per conferire ritmo a dialoghi e azioni, ricorso alla telecamera a spalla e riprese effettuate direttamente sul posto (gli esterni sono vere strade parigine affollate di passanti, alcuni dei quali possono essere scorti mentre guardano incuriositi verso la telecamera), lunghi e frequenti piani sequenza (necessità dovuta alla scarsità di finanze), ricerca della verosimiglianza nei lunghi dialoghi tra i due protagonisti, che parlano con naturalezza del più e del meno, come non si era mai fatto prima in un film. E' soprattutto una testimonianza della volontà di cambiamento, innovazione, originalità; voglia di dimostrare che non esistono modi prestabiliti per raccontare una storia, per girare un film, ma che ognuno può, deve farlo come ritiene sia più efficace: è insomma un film d'autore.
Memorabile.
Voto: 4/5
-Le petit soldat
di Jean-Luc Godard - Francia 1960 - drammatico/spionaggio - 88min.
Ginevra 1958. L' agente segreto e fotoreporter (?) Bruno è incaricato di uccidere un giornalista filo-algerino (siamo in piena guerra d'Algeria), ma ha dei dubbi esistenziali che glielo impediscono. Intanto si innamora di una ragazza appartenente ad un gruppo terroristico filo-algerino, gruppo che lo rapisce e tortura, ma da cui riesce a scappare.
Questo scialbo e svogliato film, corto ma non abbastanza, non ha in definitiva nulla da dire; è il tentativo di esprimere la confusione dell'epoca in un personaggio senza valori e ideali, che non sa che fare della sua vita. Tentativo vanificato da una regia fiacca ed una vicenda che non desta il minimo coinvolgimento o interesse nello spettatore. Citazioni letterarie e musicali a profusione senza uno scopo preciso e trama confusionaria.
Sconsigliato.
Voto: 1,5/5
-Il bandito delle undici
(Pierrot Le Fou) di Jean-Luc Godard - Francia 1965 - commedia - 110min.
(quella che segue è un'analisi sul film condotta per un lavoro universitario; è dissimile dalle mie solite recensioni perchè si focalizza solo su un aspetto specifico del film, ovvero lo spazio. Quando avrò tempo di farlo la integrerò con un discorso più completo)
“Lo spazio regna”: durante i titoli di testa (a schermo nero, con le lettere che compaiono in ordine alfabetico a formare il titolo del film ed i nomi del regista e degli attori protagonisti) e nelle prime scene della pellicola (due persone giocano a tennis; Ferdinand curiosa in un'edicola; Parigi al crepuscolo) la voice over del protagonista pronuncia queste parole - che poi si scoprirà stare leggendo su un libro di critica d'arte – a proposito del tardo Velasquez. Godard sembra voler applicare questo paradigma al suo film, creando qualcosa di fou, appunto. Folle non solo nel titolo, Pierrot Le Fou mette in scena degli spazi e delle figure, ancor prima che una vicenda: interni/esterni, città/campagna, fiumi/mari, boschi/isole, appartamenti borghesi e locali popolari, automobili e barche, corpi umani e corpi animali. Ma Godard non si limita a questo: mette in scena il movimento all'interno di questi spazi, saturando le inquadrature di "cose che si muovono", siano esse mezzi di trasporto (il film si può considerare un road movie) o personaggi che si muovono in modo frenetico (Ferdinand spesso passeggia in equilibrio precario su tronchi, tetti, scafi di barche), per non parlare della cinepresa che, con lunghe carrellate o a spalla in complicati piani-sequenza, penetra negli spazi del film attivamente, esplorando minuziosamente le locations entro cui i protagonisti parlano ed agiscono.
Concentriamoci uno per volta sugli elementi elencati, cominciando dalle coppie oppositive sopracitate. Tutto il film è costruito su opposizioni: Ferdinand è un borghese che si è sposato una ricca italiana per motivi finanziari, ma non sopporta quello stile di vita, iniziando di punto in bianco una vita ossimorica rispetto a quella vissuta fino ad allora, una vita all'aria aperta, non più al chiuso di feste mondane; una vita di espedienti, non di oziosi agi; una vita di pericoli, non di piatta routine lavorativa. Lo accompagna nel suo viaggio verso il nulla una ragazza, Marianne, con cui aveva avuto una relazione anni addietro, stufa anch'essa della banalità del quotidiano. C'è quindi una forte opposizione uomo/donna nel corso di tutto il film, poli magnetici che non sanno se attrarsi o respingersi, in una continua oscillazione (spesso vediamo Marianne girare attorno a Ferdinand e/o viceversa) fra un avvicinamento ed un distacco. Infine vi sono opposizioni geometriche, di forme e spazi: la rigorosa spogliatezza degli ambienti artificiali (la sequenza della serata altoborghese nei primi momenti del film è costruita con inquadrature fisse su mezze figure e piani americani con uno sfondo di pareti bianche e poca, essenziale mobilia; le scene di automobile in notturna, chiaramente ricostruite in studio con efficaci illuminazioni, si limitano ad inquadrature fisse sui volti dei due fuggiaschi incorniciati dal parabrezza della vettura) contro la sfuggente curvilineità degli ambienti naturali (inquadrature ampie spesso sature di "cose" – alberi, selva, grandi distese d'acqua che si perdono oltre l'orizzonte – che sfuggono ad un'umana organizzazione spaziale).
Parliamo ora del movimento all'interno di questi spazi: praticamente in ogni scena del film viene ripreso un movimento, i personaggi non sono mai fermi, si agitano, vagabondano per le locations, interagiscono con gli elementi dello scenario. Ciò appare ancor più evidente allorchè ci si focalizza sulle scene in apparenza più statiche: le inquadrature fisse della serata altoborghese sono spesso contraddistinte dal passaggio di Ferdinand, che percorre l'intero spazio ripreso da una parte all'altra del quadro; Molti dialoghi fra Ferdinand e Marianne si svolgono durante l'esecuzione di azioni più o meno marcate di uno o di entrambi: una scena di dialogo su una spiaggia inizia con un moto di avvicinamento della ragazza verso Ferdinand impegnato a scrivere (mentre si avvicina Marianne getta dei sassi nell'acqua), mentre parlano Ferdinand titilla continuamente un pappagallo che tiene sulla gamba sinistra, quando finiscono di parlare Marianne riprende a camminare allontanandosi da Ferdinand; in un'altra scena stanno discutendo presso un tavolaccio di legno, all'aperto, pieno di avanzi di cibo attorno a quali si muove freneticamente un cucciolo di volpe; in due occasioni si mettono addirittura a cantare, introducendo in questa folle pellicola anche degli elementi di musical (inutile dire che il canto è accompagnato dal movimento dei personaggi che cantano); altre volte, infine, i personaggi sono quasi immobili, ma si trovano su mezzi di trasporto in movimento. Insomma la stasi è completamente bandita in questo film ipercinetico. Come già accennato, inoltre, è spesso la macchina da presa stessa a muoversi, con carrellate laterali, movimenti sull'asse, oppure semplicemente a spalla, seguendo le azioni compiute dai protagonisti (basti pensare al virtuosistico piano-sequenza in cui i due fuggiaschi tramortiscono l'amante di lei, ne ascondono il corpo e fuggono dall'appartamento che funge da base operativa per un traffico d'armi).
E' in questa follia di movimenti, di fughe, di inseguimenti, di dinamismo spaziale forsennato che Godard trova il metro di espressione ideale per manifestare tutta la propria avversione verso il cinéma de papa, mummificato nell'infinita ripetizione di sè stesso.
Voto: 3,5/5
-Una storia americana
(Made in USA) di Jean-Luc Godard - Francia 1966 - 81min.
Una ragazza investiga ad Atlantic City sulla misteriosa morte del marito.
Orrendo. C'è poco da dire su questo film. Lento come non mai, si perde in una marea di chiacchiere inutili. Se a Godard interessava compiere "sperimentazioni" linguistiche, poteva scrivere un libro. Il risultato non è un film, bensì una serie di inquadrature di personaggi che parlano di cose assurde con frasi senza senso ed una vicenda inutilmente complicata. Non vedo come e perchè la cosa dovrebbe interessare chicchessia. Il suo unico scopo sembra la tortura dello spettatore. Inguardabile, inutile, insensato.
Voto: 1/5
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