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Jean-Pierre Duprey - Poesie

Da Ellisse

J.-P. Duprey (1930-1959) è stato definito una "cometa tra le più magneticheJean-Pierre Duprey della seconda metà de XX secolo" (Ch. Dauphin). Poeta, pittore e scultore, dopo un'infanzia difficile con problemi caratteriali e psichici e di anoressia, comincia verso i sedici anni a scrivere le sue prime poesie, trasferendosi intorno ai diciotto, insieme alla sua compagna Jacqueline Sénart,  da Rouen a Parigi, dove inizia la scrittura di Derrière son double, il suo primo lavoro in versi che invia subito per posta ad André Breton. Il teorico del Surrealismo gli risponde prontamente nel gennaio del 1949:"Lei è certamente un grande poeta, e in più anche qualcun altro che mi intriga. La sua prospettiva è straordinaria".  Da quel momento la partecipazione alle attività e alle pubblicazioni del gruppo surrealista si fanno intense, anche se l'interesse creativo di Duprey si orienterà soprattutto verso le arti plastiche e figurative. Le altre sue opere in versi di fatto usciranno postume: La Fin et la manière (1965) e La Forêt sacrilège (1970). Personalità complessa e sensibile, appassionata e accanita, Duprey è tuttavia fragile ed esposto ai conflitti esistenziali ma anche a quelli quotidiani, le continue liti con la moglie, le crisi dei nervi che lo lasciavano distrutto. Anche la situazione politica di quegli anni colpisce la sua sensibilità eccessiva. E' l'epoca della guerra d'Algeria, riguardo alla quale gli intellettuali sentono pressante la necessità di schierarsi, di prendere una posizione politica (basti pensare, tra gli altri, a Sartre, Fanon, Camus). Duprey fa la sua scelta, a suo modo: dichiara di voler "commettere un atto oggettivo contro l'esercito impegnato in una guerra ingiusta piuttosto che sottoscrivere delle prese di posizione intellettuali", dopo di che va a pisciare sotto l'Arco di Trionfo, sulla fiamma del Milite Ignoto. Arrestato e pestato ferocemente dalla polizia, passa qualche tempo in prigione e circa un mese nel manicomio Sainte-Anne di Parigi. Viene rilasciato il 30 luglio 1959 e si rinchiude in casa, dove si dedica al suo ultimo lavoro letterario, La Fin et la manière. Il 2 ottobre 1959, dopo aver chiesto alla moglie Jacqueline di andare alla posta per inviare il manoscritto a Breton, Duprey si impicca ad una trave del suo studio di scultore. Poesia onirica e fantastica, come si conviene ad un surrealista, ma di un onirismo tenebroso e disperato, "nero", venato di ferocia e di fuoco, e in cui la notte (una notte spesso popolata di inquietudini e di grida come - secondo la testimonianza di Alain Jouffroy - quelle passate nella cella a Sainte-Anne) e un sangue che scorre impetuoso si affacciano sempre dietro una realtà spesso immaginata, spesso temuta, sempre disvelata con il piglio di un giovane "homme révolté". Una poesia, al di là dei pegni pagati ad una incurabile difficoltà di vivere, libera nella sua sostanza e nella sua forma, che in alcuni testi sembra, secondo Julien Gracq, "una Apocalisse arredata da De Chirico e filmata da Bunuel". Una poesia vissuta intensamente e pagata a caro prezzo. Con un silenzio definitivo e tuttavia significante, sottolineato con l'invio a Breton, pochi minuti prima della morte, dei suoi ultimi scritti. Come alla ricerca di una qualche posterità. (g.c.)

J.-P. Duprey, a parte qualche prova sparsa (v. ad es. QUI e QUI), è sostanzialmente inedito in Italia, o introvabile. Queste traduzioni fanno parte di un lavoro più complessivo tuttora in corso. (g.c.)



da Prime poesie (1945-1947)


Statua
La tua bocca  mastica senza capire L'erba folle del pasto. Tutto attorno il nulla Forma un buco.
Del tuo cuore tu sopporti L'eterna sorveglianza E come uno stagno che sonnecchia Tu rincasi nel tuo interno.
La donna dello specchio
Ripiègati all'interno della tua ombra, lo specchio che si è incaricato di riflettere ogni tuo minimo brivido si infrange e i pezzi si incastonano nei tuoi occhi. A ogni passo il tuo sandalo fa il rumore di un grosso granchio sul guanciale Il tuo paese è fuori del tempo, ogni giorno che viene ti sprofonda e ti trascina attraverso questo paese di vetro e di specchio verso alberi gonfi di cenere. Puoi vivere e camminare proprio come un'altra ma hai ancora da sostenere la notte fino al giorno, quando rigenerando nella tua testa il sonno leggero dei suicidi attraverserai lo spazio sconosciuto del vento di questo procedere incolore che è il tuo.
Tu il cui sguardo mi rabbrividisce nella testa, tu  la cui testa s'incastona nello specchio, tu hai il mio nome, il segno dei miei sguardi intrecciati insieme e l'ombra delle mie dieci dita annodate alla tua ombra, ma le  eco nella mia testa distruggeranno la tua incolore maschera d'assenza, e io costruirò su di te lo smalto impossibile del vento, il gelo delle farse e di muscoli come carichi di piombo, l'ombra grigia dei giorni sulle tue unghie e ti adatterò,
Affinché costruisca  me stesso su di te, tutt'uno con te, sui cocci fosforescenti dello specchio infranto.
Il giorno comincia al bordo della notte
Sentite, io mi butto! Pianto la notte nella mia testa a colpi di coltello A colpi di martello, d'una mazza d'una sbarra rossa La pianto e la tiro fuori tutta fumante Come un corto circuito senza scintille.
Lasciatemi, mi butto! Mi caccio la notte nella bocca Per sentirla tutta. Il mio cranio è il parabrezza Dove sanguinano i segreti Mi affondo ad ogni buon conto La luna nell'occhio Per vederla piangere.
La canzoni sono tornate in gola Questo silenzio mi rode i denti Ho in testa il vento freddo dei ricordi Che serve  quanto una candela Ma forse uno di questi giorni Anch'io canterò La bianca lebbra dell'amore.
Gli occhi e il risveglio
Le sette. Ascolto il rumore che faccio rientrando nel mio corpo. La mia testa esce dal lenzuolo come una sigaretta. Apro le paratoie del mondo. L'aria vortica intorno a me come una  rete elettrica. Giro intorno alla mia ombra dondolando le membra sotto la mia testa. Una gamba a destra, una gamba a sinistra. Un occhio all'insù e dentro la boccia di cristallo blu che si gonfia. L'occhio si gonfia. Enorme. Mi gonfio tutto intero dentro questa boccia e il sangue scoppia. Esplosione. Il mondo ravvivato di calore si ferma. Una nota dispersa si innalza senza poter finire e i miei occhi risalgono le pareti del cielo come un uccello impazzito...vi si perde.
Gli occhi del silenzio recidono la circolazione.
Tra la mia vita e me
Tra la mia vita e me c'è ora lo sgualcirsi d'un nuovo corpo sconosciuto e irritante che si appiccica al mio lo chiamerò Realtà.
Sono a letto: sto sognando; i miei amici hanno teste di legno e i miei compagni rassomigliano a negri tutto solo scalo le fondamenta di un nuovo mondo.
Io ordino la fucilazione delle antiche pietre
Seduto al tavolo davanti al cielo io consumo lo spazio
A Calcutta il mio corpo risvegliato si esercita in questo nuovo mestiere io nuoto nell'ombra naturale degli anni di silenzio la mia magia si eserciterà su tutti i mostri della creazione gentiluomo delle palme da cocco io sogno la follia del mondo.
Ogni primavera ha il suo meraviglioso
Movimenti d'alveari e pietre Illuminateci, un violino giace sull'erba La placida pozza è rovesciata Dal suo amico il sole Pensé, violette, Aspettate io ho un nuovo inizio Il sol maggiore si impiglia ai rami Ah, quant'è sporco il mio paradiso!
Il tempo passa a modo suo A lungo il tempo è stato la pillola e il bicchier d'acqua. Un bel giorno una fata lo appese al sole. I fiori piansero, il sole tramonta i suoi profumi E il cielo corrompe i ribes ormai senza età Io vivo perché la notte Baratti le sue lacrime, per la vita, Pulviscolo di stella, antologia delle notti novelle.
Giardino
Il più bel giardino nasconde una menzogna Cosa sono allora, mio Dio, questi pioppi vaghi, forse dei morti ? Lacerano le loro foglie e le incollano sul ruscello Stelle vagano sopra il cielo opaco
Il più bel giardino nasconde una menzogna Gocce di sangue si aggirano tra le felci Le betulle s'insinuano tra noi inquieti E lassù forse qualcuno è stato anche impiccato
Al di sopra il cielo diventa eloquente Avrà comunque un valore zero.

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