Jeff Cookè un membro fondatore dello storico gruppo country degli Alabama. Questo gruppo ha raccolto più di 150 premi discografici nel corso di 24 anni (incluso il premio dell’Academy of Country Music come Artisti del Decennio, ricevuto nel 1989), ha ricevuto il riconoscimento di gruppo country del secolo da parte della Recording Industry Association of America, ed è entrato ufficialmente nella Country Music Hall of Fame. Non viene quindi come una sorpresa che dopo il ritiro dalle scene degli Alabama dai concerti dal vivo, annunciato nel 2004, l’entusiasmo di Jeff nei confronti delle esibizioni dal vivo è rimasto più vivo che mai. Ora Jeff, che nel frattempo ha perso una cinquantina di chili, suona con un gruppo che si chiama Allstar Goodtime Band, con i quali ha realizzato un nuovo album (il loro primo) dal titolo “Ashes Won’t Burn” che è uscito all’inizio dell’anno scorso. In una intervista poche settimane fa ha dichiarato che quando nel 1989 gli Alabama ricevettero il premio di artisti dell’anno da parte della ACM egli fu totalmente sorpreso. «Ricordo che quella sera ci fecero una sorpresa perché ci fecero sedere in prima fila con la scusa che saremmo stati chiamati sul palco per presentare un premio assegnato a qualcun altro. Ricordo che ero seduto accanto a Keith Whitley e Lorrie Morgan e quando fummo chiamati per ritirare il premio avvenne tutto come all’improvviso». Poi parla del tour d’addio del gruppo, avvenuto nel 2003, e della sua nuova band: «Penso che tutto avvenga per un motivo. Suppongo che ci siano stati diversi fattori decisivi che hanno portato gli Alabama a decidere per un tour d’addio. Io sentivo di essere pronto a fare quello che faccio oggi con gli Allstar Goodtime Band e allargare i miei orizzonti musicali. Volevo suonare diversi tipi di musica e fare un po’ di cover (…) Adoro suonare come ‘solo act’ con la mia band. Non tento assolutamente di monopolizzare l’attenzione sul palco. Tutti i miei ragazzi sono molto talentuosi, e durante i concerti io passo il microfono in giro, per così dire, di modo che ognuno faccia qualcosa. Però sono io che di volta in volta decido se programmare o meno le date in cui suoniamo dal vivo. Suonare in questo modo, senza programmare molto in avanti le date, senza nessuno che ti mandi una lista e ti dica “venerdì devi essere a San Diego” è totalmente diverso, da più libertà. Posso controllare meglio la cosa, adesso, e finché non avrò voglia di lavorare così tanto come lavoravo con gli Alabama, non programmerò le date».
Jeff vede nell’aver fatto parte degli Alabama un aspetto positivo: quello di non aver mai dovuto sopportare la pressione del successo da solo. Poi sulle differenze in fase di creazione di un disco: «Penso che se ci sono dei contrasti in fase di registrazione di un disco, è qui che entrano in gioco i produttori. Presumo che sia questo il motivo per cui tu hai dei produttori, che prendono decisioni per te quando tu non sei capace. Non sempre sono decisioni corrette, aggiungerei…». A riguardo dei rapporti individuali all’interno degli Alabama, Jeff dice che il pensiero c’è stato sempre ma che come gruppo erano sufficientemente esposti per risolvere quel particolare aspetto e non considerarlo un problema. «Passavamo un sacco di tempo insieme, facevamo un sacco di interviste, infinite direi… e poi apparizioni televisive… e avevamo un enorme numero di fan». Già, i fan… «Soprattutto nei confronti dei nostri fan ricordo che eravamo sempre raggiungibili. Non avevamo gente nel nostro staff che ci precedeva dicendo “non toccate i ragazzi quando arrivano, state tranquilli quando passeranno di qui”. Ho visto accadere qualcosa del genere un sacco di volte». Sul successo: «Noi [gli Alabama] abbiamo avuto un enorme successo. E’ stata una combinazione di divertimento e di duro lavoro. Abbiamo dovuto lavorare molto duramente per ottenere quel riconoscimento, essere trasmessi per radio, fare interviste e intervenire negli spettacoli televisivi. Fortunatamente tutto si è sviluppato in maniera positiva». Jeff Cook ha un ricordo distinto anche dell’ultimo spettacolo degli Alabama: «Prima di tutto, è davvero strano che una band di nome Alabama dovesse fare il suo ultimo show a Bismarck, in North Dakota. Dopo lo show mi sono preso una settimana di libertà e ho cominciato subito a lavorare sul progetto della mia band, quindi non mi sono mai davvero fermato. La prima cosa che ho fatto è stata quella di pubblicare un album strumentale che realizzasse una specie di “ponte musicale” tra quella che era stata l’esperienza con gli Alabama e quello che andavo realizzando da lì in poi con la Allstar Goodtime Band. E’ venuto abbastanza bene. Non mi aspettavo di ricevere nessun passaggio radiofonico con quel disco… E i fans hanno capito quello che volevo fare e si sono subito adattati. Ci tengo a dire che tutti i ragazzi sono davvero talentuosi e quasi tutti cantano e facciamo anche adattamenti vocali tipo quelli che fanno gli Eagles durante i loro concerti. Lo adoro. Ormai non è più un lavoro, presumo che sia perché abbiamo allargato lo scopo di quello che facciamo. Suoniamo qualsiasi cosa, da “Working Man Blues” a “Brick House”». L’intervista si chiude poi su un ipotetico reunion tour e sul fatto che altri (vedi Brooks & Dunn) hanno recentemente annunciato la loro separazione artistica: «Se la CMA chiamasse gli Alabama e chiedesse loro di fare una esibizione penso che non lo faremmo, almeno non ci rimetteremmo in gioco solo per quello. Dovrebbe essere davvero l’inizio di un grande “reunion tour” o qualcosa del genere. Questa sarebbe la mia idea. Credo che anche gli altri pensino una cosa del genere. Se ci sarà o meno, questo reunion tour, io non lo so; non ho la palla di cristallo ma forse quando gli asini voleranno… magari potrebbe anche essere il nome del tour… [ride]».
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