Da quando è arrivato in Italia per presentare il suo ultimo, visionario, saggio, La società a costo marginale zero (Mondadori), in cui profetizza l’ascesa dell’anticapitalismo a favore di un modello economico basato sul consumo collaborativo, le interviste e gli articoli a lui dedicati si sono moltiplicati in modo esponenziale. Dopo averlo conosciuto ho compreso il perché di tanto interesse.
Rifkin, che ha 69 anni ma un’invidiabile energia, è un oratore instancabile. Nonostante avesse già tenuto una conferenza davanti al numeroso pubblico del Festivaletteratura di Mantova e la mia intervista fosse l’ultima della giornata, ha risposto in modo generoso alle domande, prolungando la conversazione per oltre un’ora.
Le sue idee, esposte con estrema chiarezza ne La società a costo marginale zero (504 pagine – 22€), si basano sulla convinzione che la nostra epoca stia vivendo il principio di una terza rivoluzione industriale e che il futuro sia rappresentato dalla sharing economy la quale ha il suo fulcro nell’Internet delle cose, ovvero la connessione totale di ogni settore per l’accumulo e la condivisione dei big data.
L’Internet delle cose, come spiega lo stesso Rifkin nel suo saggio
«è costituita da un’Internet delle comunicazioni, un’Internet dell’energia e un’Internet della logistica che lavorano insieme in un unico sistema operativo [...] Insieme, questi tre sistemi operativi costituiscono la fisiologia del nuovo organismo economico».
In quest’ottica, secondo Rifkin, l’attuale, classico acquirente, è destinato a diventare prosumer, ovvero produttore e consumatore allo stesso tempo dei beni e servizi, mentre l’imprenditoria sociale, basata sul Commons collaborativo, dovrebbe presto affermarsi a discapito del mercato capitalistico.
Riassumere le risposte di Rifkin, oltre a essere riduttivo, è un’impresa ardua, visto la quantità di dati e informazioni che riesce a fornire in breve tempo. Per comprendere a fondo le ragioni della sua visione di futuro, la lettura de La società a costo marginale zero, testo estremamente comprensibile nonostante la complessità dei problemi affrontati, è davvero consigliabile. Per farsi un’idea, questa è, in sintesi, la nostra conversazione.
La società costo marginale zero è un lavoro imponente, pieno di teorie affascinanti sul futuro. Ma come è arrivato a formulare le sue previsioni?
Mi sono dedicato a questi temi per molto tempo. Sul paradigma energetico ho cominciato a lavorare nel 1973 e sul cambio climatico nel 1980. Gli elementi c’erano già tutti, bisognava metterli insieme e le conferme sono presto arrivate. Tutte le rivoluzioni industriali del passato si sono basate sull’innovazione di tre fattori fondamentali: nuove forme di comunicazione, di energia e di trasporto. Ora sta accadendo lo stesso. La seconda rivoluzione industriale sta lentamente morendo, le aziende chiudono, i giovani sono senza lavoro ed emerge un nuovo modello sociale, quello del Commons collaborativo. Le nuove generazioni producono musica, video, informazione e adesso in alcuni paesi come la Germania, anche energia pulita, a costo marginale vicino allo zero perché saltano i passaggi della catena di produzione. Possiamo davvero cominciare a pensare all’umanità come un’enorme famiglia che condivide ogni cosa. Sempre più strade, negozi, fabbriche e case sono dotati di sensori capaci di trasmettere dati. Grazie a specifiche applicazioni ogni giorno di più siamo in grado di controllare qualsiasi tipo di apparecchio e di condividere risorse e informazioni. L’Internet delle cose è già una realtà. Questa è la parte sorprendente ed entusiasmante della terza rivoluzione industriale, ma ci sono anche aspetti preoccupanti come quelli legati alla privacy e alla sicurezza.
Si possono risolvere questi problemi?
Si deve tentare di farlo. Ho parlato proprio oggi di questo tema con il vostro presidente della Camera, Laura Boldrini (che ha assistito alla conferenza di Rifkin a Mantova, ndr). Mi ha detto che sta preparando un progetto di legge per la tutela dei diritti in ambito digitale che coinvolga anche l’Europa.
L’economia della condivisione sembra fondarsi su un principio di bontà e generosità che contraddice l’immagine capitalista dell’essere umano, basata sul beneficio individuale. Ma davvero l’uomo può rinunciare al profitto?
Sì, perché ogni essere umano cerca il riconoscimento sociale. Le generazioni più giovani lo stanno provando. Ci sono milioni di ragazzi che ogni giorno mettono a disposizione il frutto della propria creatività più o meno gratis: musica, video, software, notizie. Sono imprenditori sociali e contraddicono in pieno la teoria di Adam Smith secondo cui mano invisibile del mercato opera esclusivamente attraverso il perseguimento degli interessi personali. Il riconoscimento sociale non è soltanto ottenere profitto materiale, ma anche aumentare la propria reputazione, sentirsi dire: “tu fai la differenza”.
In Italia stanno nascendo compagnie di consumo collaborativo, che permettono agli iscritti che fanno acquisti nei loro circuiti non solo di risparmiare, ma anche di guadagnare. Il futuro va in questa direzione?
Sì, certo, lo dico nel libro. Le nuove generazioni cercano l’accesso, non la proprietà. I prosumers condividono a costo marginale vicino allo zero energia pulita, musica, cultura, prodotti realizzati con stampanti 3D, ma anche case, vestiti e ogni altro tipo di bene. L’esempio più eclatante è l’auto. Nel ventesimo secolo possedere l’automobile era un simbolo, le nuove generazioni, invece, vogliono l’accesso alla mobilità, non sono interessate alla proprietà del mezzo fisico.
Recentemente lei ha affermato che nessun paese più indicato dell’Italia per prosperare nell’era digitale. Perché?
Perché in Italia c’è un’immensa creatività in ogni settore: tecnologia, alimentazione, moda, logistica, architettura, design. La creatività è nel vostro Dna. Pensiamo alla storia, all’impero romano o al rinascimento, per esempio. Gli italiani erano protagonisti e hanno sempre realizzato opere meravigliose. Io ho viaggiato molto per il mondo, ma ho passato più tempo in Italia che in qualsiasi altra nazione perché mi piace la vostra creatività. Un esempio splendido: la Strati, la prima auto interamente prodotta con una stampante 3D, è opera di un designer italiano (Michele Anoè che l’ha presentata a Chicago nel corso de dell’Imts, l’International Manufacturing Technology Show, ndr). È inconcepibile e vergognoso che i giovani italiani a trent’anni stiano ancora a casa con i genitori perché non trovano lavoro.
Cosa pensa del governo Renzi?
Ho passato un piacevole pomeriggio a conversare con Renzi, poi mi ha invitato a Venezia lo scorso luglio per partecipare al convegno Digital Venice. Renzi è un giovane pieno d’energia e so che per lui l’economia digitale è una priorità, ma non basta augurarsi che le prossime generazioni crescano con le idee contenute nel mio libro. L’economia digitale non è riducibile solo alla banda larga e al wi-fi. Tutti i settori dell’economia devono essere digitalizzati per arrivare alla società a costo marginale zero. Germania e Danimarca, economie fortissime, sono ai primi posti nel mondo per utilizzo delle risorse energetiche alternative e nella loro condivisione attraverso cooperative di consumatori. Bisogna dotare ogni comunità, ogni casa, di pannelli solari o pale eoliche in modo che ciascuno possa autoprodurre in modo pulito elettricità e, attraverso reti intelligenti organizzate da Internet, mettere a disposizione degli altri l’eccesso di produzione. Occorre modificare il sistema di trasporti. Sarà una grande battaglia.
Il digitale in Italia rappresenta poco meno del 2% del Pil, nel mondo poco di più. Nei prossimi anni quanto è destinato ad aumentare secondo lei?
Parlare di Pil in generale è riduttivo perché in realtà il Pil sta diminuendo o crescendo più lentamente ovunque, è un dato di fatto. Ciò si deve a molte ragioni tra cui gli elevati costi dell’energia, la crescita della disoccupazione, l’indebitamento degli Stati, ma c’è un motivo che non viene mai citato che è l’emergere della sharing economy. Il consumo collaborativo fa sì che la gente condivida sempre più beni invece di acquistarli e ciò implica una riduzione della loro produzione e una vita più lunga per quelli già esistenti con una conseguente perdita del Pil. Credo che oggi il Pil non sia più un indicatore fedele del valore, anche perché non distingue tra economia negativa e quella positiva. Se si costruiscono molte prigioni o armi, queste vengono considerate nel Pil, ma molti beni positivi realizzati e condivisi dai prosumers, informazione, video, musica etc., non entrano nel calcolo del Pil, eppure la qualità della vita della gente migliora grazie a loro. I nuovi indicatori del valore, perciò, dovranno essere diversi: aspettative di vita, quantità di tempo libero, benessere psicofisico…
Sì, senza dubbio. Nel secolo scorso in Europa e in America è stata l’energia elettrica a liberare le donne dalla “schiavitù” dell’ignoranza, dei lavori di casa e dei figli. Una società senza elettricità è sempre una società patriarcale. Con l’elettricità le donne hanno potuto istruirsi e conquistare maggiore indipendenza. Ancora oggi, però, il 20% della popolazione mondiale non ha accesso all’elettricità. Parliamo dei paesi con i tassi di natalità e di povertà più elevati. L’obiettivo del Unido (Organizzazione delle nazioni Unite per lo sviluppo industriale) è quello di aiutare queste persone a creare cooperative di autoproduzione di energia pulita, proprio come già avviene in Germania. Un esempio concreto: nei villaggi dell’Africa subsahariana con solo duemila dollari sono stati già installati pannelli solari che permettono di immagazzinare energia verde. Solo duemila dollari! Questo emanciperà le donne come è già avvenuto da noi.
Il clima è una delle preoccupazioni principali espresse nel suo libro. Che cosa sta accedendo?
Sì, sono molto preoccupato per i cambiamenti climatici del nostro pianeta. Abbiamo assolutamente bisogno di questa nuova società a costo marginale zero. Credo che la gente non abbia ancora capito l’urgenza e l’importanza di questo momento. Il clima sta mutando a una velocità inimmaginabile solo quarant’anni fa. L’aumento della temperatura, dovuto alle emissioni di anidride carbonica e alla concentrazione di gas nell’atmosfera, sta causando fenomeni estremi: piogge torrenziali, uragani violentissimi, ma anche gravi siccità. Il nostro pianeta ha già vissuto ere in cui l’alterazione degli ecosistemi ha causato l’estinzione di intere specie e ogni volta per riprendersi ci sono voluti, in media, dieci milioni di anni. Tutti gli studi indicano che entro la fine di questo secolo il 70% delle specie viventi sulla terra potrebbe sparire e non abbiamo la garanzia che la razza umana sia tra quelle che sopravvivrebbero. Ecco perché è fondamentale passare a un’economia della condivisione che favorisca il riciclo dei beni e utilizzi energia verde. Mi chiedono spesso una previsione. Io non sono né ottimista né pessimista, so solo che se tutti ci diamo una mossa possiamo farcela a cambiare le cose. Siamo esseri sociali, se vogliamo, sappiamo agire per il bene della collettività.
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